Cinema indiano

Cinema indiano L'influsso di Zavattini, Visconti, De Sica Cinema indiano Aprirà la serie, come al solito lunga e nutrita, dei festival cinematografici 1965 la rassegna intemazionale di Nuova Delhi, in gennai , cui seguirà, nel mese successivo, quella del film etnografico e sociologico, a Firenze. In questi ultimi mesi, l'India c tornata al centro dell'attenzione; c anche questo ci induce a dare uno sguardo a una cinematografia che realizza circa trecento film l'anno, ed è quindi al secondo posto della produzione mondiale, subito dopo la giapponese. Seppure scar se siano le notizie su di essa, possiamo dire che è in grandissima parte folldoristica in sciv so deteriore, sovraccarica di can zoni locali, di temi falsamente storici, mitologici, destinata in genere al solo mercato interno. Poche le opere c gli autori che hanno saputo imporsi all'estero, entrare nella « storia » del cinema. in Italia, e anche altrove, si e cominciato a parlare di cinema indiano soltanto nel 1953, quando apparve, a Cannes, Due ettari di terra. Sull'esempio de! nostro neorealismo, il regista Bimal Roy presenta e descrive alcuni aspetti del proletariato a Calcutta, il tentativo di due contadini — padre e figlio — di riscattare un piccolo campo. An che All'erta, successivamente esposto a Karlovy Vary, ci por ta in una grande città, ancora Calcutta, dove un miserevole uomo assetato, alla ricerca di un po' d'acqua, viene preso per ladro. Prodotto e interpretato da Rai Kapoor, la struttura allegorico-satirica dell'opera intende denunciare lo stato di arretratezza di un popoio, le contraddizioni laceranti di una società Il temperamento più spiccato e maturo del nuovo cinema indiano, tale da assumere un peso e una risonanza davvero internazionali, è quello di Satyajit Ray, autore di un'importante trilogia sull'esistenza, e la trasformazione, di una famiglia bengalese primitiva, in un villaggio che, per usare un'espressione di Gandhi, è « un mucchio di sterco ». Come uscire da questo pantano? Si possono senza dubbio escogitare i mezzi, annota Nchru nella sua Autobiografia, auche se è compito arduo elevare masse di persone scese tanto in basso. Autobiografico è il romanzo di tiibutibhusan Baudapadhai, da cui il film è tratto. L'aggettivo assume qui un valore determinante: Ray sintetizza infatti alcuni caratteri essenziali non di uno stato d'animo, ma di un preciso momento storico cui egli partecipa quale attivo rappre sentante di una nazione giova ne e ancora in fermento. Le sue fonti culturali sono palesi La ballata del sentiero, L'invitto e II mondo di Apu (1952-1959), gli episodi della trilogia, da una parte rimandano a Zavattini c De Sica e al Visconti de La terra trema; dall'altra al documentarismo lirico di Flaherty e al Renoir de II fiume. Ma i motivi ispiratori del re gif' sono anche e soprattutto nazionali. Il suo umanesimo affonda le radici nella cultura li beralc di "l'agore, al quale deve un risveglio artistico d tutta l'India. E a quello del filo sofo e letterato premio Nobel 1913, nella cui università Ray fece i suoi studi, si può aggiun gere il nome di Nehru. Analo gamente allo statista, il suo ascolto è teso a certe correnti del pensiero moderno, a un ap pello intellettuale fondato sui fatti, su'argomentazioni e critiche particolareggiate, a un atteggiamento, posizione, in favore degli studi scientifici più che letterari. Dinanzi alle « due culture i), Apu, il protagonista dell'opera, sceglie la prima. Questo ascolto costituisce una costante di Ray, nell'ambito stesso del significato limpidamente augurale del proprio nome: Satyajit corrisponde infatti a « conquistatore della verità ». Oltre a Tagore e Nchru, influiscono su di lui, con peso maggiore che quello di registi quali Flaherty e Renoir, il magistero e l'opera di Gorkij. « lo penso alla mia infanzia come a un alveare », scriveva Gorkii, « m citi diversi uomini semplici modesti portarono, come api, il miele del loro sapere e della loro visione della vita per arricchire la mia anima con quel che Ognuno aveva. Spesso il miele era impuro e amaro, ma in sostanza ogni sapere è miele ». Realizzato con limitati mezzi finanziari, senza tecnici e attori professionisti, soprattutto in esterni, il metodo artistico impiegato da Ray nel primo episodio, La ballata del sentiero, è naturalistico. Il regista osserva e descrive nei particolari la vita quotidiana del nucleo familiare al centro della vicenda. E' qui che si avverte la presenza di Zavattini. nella « realtà colta in flagrante », e il documentarismo lirico di Flaherty (l'amore per lamnopadesalinciundtitupatestpascnvdtuvravlaesaraticpcnrscgsfsrd«ilgmt la natura) e il Renoir de II fin- giudicare ognuno dei tre film, me (lo scorrere lento e monoto- parti di un tutto, a sé stanti. In no del tempo). Questa prima esso è incorso anche Moravia là parte non raggiunge la forza dove afferma che la bellezza de della narrazione. A Ray interes- La ballata del sentiero deriva da sano per il momento il diretto linguaggio delle cose, la denuncia delle vecchie strutture, di una tradizione fatalistica. Dopo la descrizione, l'immediato contatto con la realtà quotidiana, la mediocrità e l'inettitudine della vita, nella seconda parte dell'opera, L'invitto, si determina la scelta del protagonista: Apu decide di respingere il passato, di affrontare gli studi scientifici. La sua è una prima e nodale presa di coscienza. Si avvertono i sintomi di un passaggio dalla cronaca alla storia, dal naturalismo al realismo critico. Una volta indicato il « donde » del ragazzo, la sua provenienza, si vuole ora mostrare il « dove ». la sua direzione. una conoscenza dolorosa, fatalisticamente rassegnata, religiosamente apatica, dai limiti insieme angusti e vastissimi del più normale modo di esistere. D'altra parte L'invitto non è affatto la storia di un amore materno, di una madre che vede allontanarsi il figlio, quando questi abbandona la casa e il villaggio per l'università. Si tratta invece di una vicenda con ampie implicazioni e rimandi. La trilogia di Ray rappresenta la « commedia umana » dell'India moderna, che ancora fatica a uscire dalle secche di una tradizione feudale, dall'oscurantismo, per entrare in una cultura scientifica e razionale. Al regista, come appunto a Gorkij, la storia Con II mondo di Apu, terzo ed . ultimo episodio, questo passaggio, il superamento del naturalismo, fi fa più evidente e articolato, all'interno stesso dellcontraddizioni del personaggio Ormai adulto, alle prese con iproblema del lavoro, gli ostacoche gli si presentano, in lui torna a farsi viva la tradizione irrazionalistica, così radicata nesuo popolo. Ed egli cade in uncrisi che sembra portarlo alla negazione della sua scelta, ma posi riprende, continua ad approfondire la propria cultura in senso scientifico. Apu diventa, veramente,'un «invitto». L'opera di Ray costituisce undegli esempi più convincenti d« film romanzo »; per impianto itinerario ideale, si rifa ai tre volumi di Gorkii : Infanzia, Tra lgente, Le mie università. Si commette un grave errore nel voletiliMimiiiiiiiiiiimiilliiMiiilMiiiMiimiiiiii una conoscenza dolorosa, fatalisticamente rassegnata, religiosamente apatica, dai limiti insieme angusti e vastissimi del più normale modo di esistere. D'altra parte L'invitto non è affatto la storia di un amore materno, di una madre che vede allontanarsi il figlio, quando questi abbandona la casa e il villaggio per l'università. Si tratta invece di una vicenda con ampie implicazioni e rimandi. La trilogia di Ray rappresenta la « commedia umana » dell'India moderna, che ancora fatica a uscire dalle secche di una tradizione feudale, dall'oscurantismo, per entrare in una cultura scientifica e razionale. Al regista, come appunto a Gorkij, la storia della propria infanzia appare come una « favola tetra » : la verità è superiore a ogni sensibilità, e in effetti l'oggetto di codesto « romanzo » non è tanto la sua persona quanto gli errori opprimenti e angosciosi tra i quali ha vissuto e tra i quali l'uomo semplice continua a vivere. Il senso di una emancipazione, la necessità di educare i giovani connazionali a una vita non fatalistica ma piena e ricca e solerte pur nelle contraddizioni, l'accorgersi che non si può più vivere « al modo di prima », costituiscono dunque la tematica di Ray. C'è in lui appunto il « cuore intelligente » di chi non domanda : « Com'è l'uomo mediocre? » ma invece : « Qual è l'origine di un uomo mediocre? ». Come può egli essersi deformato e ridotto a mediocrità? Come può uscirne? Guido Aristarco

Luoghi citati: Calcutta, Cannes, Firenze, India, Italia, Nuova Delhi