Milano: la fatica di respirare

Milano: la fatica di respirare TUTTE LE CITTA9 ITALIANE SONO IN CIMISI Milano: la fatica di respirare La città che ha il più alto reddito d'Italia è anche quella con l'aria peggiore - Da qualche anno la scomparsa dell'antracite e delle nafte pesanti ha migliorato la situazione, ma gli indici di inquinamento atmosferico sono sempre drammatici - A fine settimana, 200 mila dei suoi abitanti «fuggono» in cerca di ossigeno, come accade nelle megalopoli ameri fte - La responsabilità non è solo del clima, ma dello sviluppo irrazionale dell'insediamento - La pianificazione, specie nella cintura, costerà molto meno che rimediare, dopo, alla mancanza di verde e servizi essenziali (Dal nostro inviato speciale) Milano, gennaio. L'aria sembrava avvelenata. Aria pesante e pastosa, dal gusto dolciastro: irrita gli occhi e la gola: provoca la parziale asfissia del cervello con maggiore fatica sul lavoro: corrode i marmi del Duomo e le strutture metalliche. Attacca gli alberi. « Tempo fa i nostri giardinieri rifiutarono di piantare nuovi tigli lungo i viali, morivano subito », ricorda il sindaco Aniasi. Il fatto riassume un malessere esistenziale; viene in mente « la città-tumore maligno», come la definì F. Lloyd Wright. E le statistiche accentuano 10 smarrimento: benzopirene, cancerogeno, 33,5 grammi per metro cubo d'aria contro 15 grammi a Londra. In via Manzoni i passanti fanno inalazioni di ossido di carbonio: l'aria del centro milanese ne ha 60 parti per milione, in certe ore, e 11 limite tollerabile è di 50 parti. Il prof. Sirtori, presidente della fondazione «Carlo Erba», ammonisce: «L'ossido di carbonio provoca capogiri, stanchezza. Gli. altri agenti, come l'anidride solforosa, causano asma bronchiale, enfisema ». Invita i milanesi ad allontanarsi appena possibile, in cerca di ossigeno. La fuga dalla città assordante e appestata, opposta agli spazi sereni delle coste e delle campagne, ha alimentato vecchie polemiche. I milanesi le ignorano, perché i loro figli soffrono di epatiti e di dermatosi allergiche prima sconosciute, come si legge nei rapporti scientifici: perché in tutti si moltiplicano malanni fisici e psichici, ad esempio la « nevrosi delle casalinghe », ossessionate dalla pulizia dei davanzali. 200 mila lasciano Milano per il fine settimana, quando le condizioni meteorologiche esterne sono invitanti. 80 mila hanno casa in riviera o in montagna. Si ripete la situazione delle megalopoli americane, afflitte da esodi massicci che le svuotano di valori sociali e culturali, riducendole a posti di lavoro con appendici di quartieri per cittadini meno fortunati che non conoscono il week-end. Da qualche anno, grazie alla scomparsa dell'antracite e poi delle nafte pesanti, l'aria di Milano sarebbe migliorata, secondo i responsabili del Centro speciale per lo studio dell'inquinamento. Il prof. Allavena e l'ing. Pavelka si stupiscono dei recenti allarmi: « Benzopirene? Q'insi scomparso. Anidride solforosa? Da indici spaventosi siamo scesi a 0,30-0,50 parti per milione ». Il controllo e la repressione servono indubbiamente. I motori d'automobile hanno rendimenti migliori e lasciano una quantità ridotta di «idrocarburi incombusti». Però un fatto è certo: questa è l'aria più inquinata d'Italia. L'indice di 0,30-0,50 per l'anidride solforosa dice che Milano sta peggio di Londra (0,15). « Il problema può aggravarsi se non adottiamo su larga scala i rimedi offerti dalle nuove tecniche e soprattutto se non decongestioniamo la città », commenta il sindaco Aniasi. La capitale morale, la città che ha il più alto reddito d'Italia (oltre un milione di lire per obi- tante: la media nazionale non arriva a 600 mila), che raccoglie ben 4000 miliardi nelle sue banche, che attira un quinto degli investimenti italiani, ha anche il primato dell'inquinamento dell'aria come frutto del disordine in cui è avvenuto il suo sviluppo industriale e residenziale. « Addensando case e fabbriche attorno alla vecchia struttura monocentrica, Milano ha dato prova di vedute ristrette, e si è caricata di un enorme bagaglio di malanni » dice ancora il sindaco. La debolezza dei venti e l'abbondanza di nebbia non sono scusanti: se ne doveva tener conto. 50 mila camini di abitazioni e di fabbriche, 600 mila automezzi usano uno strato atmosferico quasi immobile, spesso una trentina di metri, come un deposito illimitato di gas e di aerosol velenosi. In dieci anni l'occupazione nell'industria è quasi raddoppiata: da 365 mila a 650 mila addetti. Ma la città non aveva fatto nulla per darsi un certo respiro. Londra ebbe il suo piano di sviluppo nel 1944, in piena guerra. I suoi amministratori puntarono al decongestionamento, con creazione di una corona verde, profonda otto chilometri, come cuscinetto fra il vecchio centro e le zone di espansione. Milano continuò tranquillamente a dilatarsi sulla vecchia struttura a tela di ragno, paga dei «giardini » e del « parco ». L'episodio dei quattro bambini che « occuparono » un'aiuola spellata rientra nella logica dell'enorme deficit di verde pubblico. Da un rapporto che mi offre l'assessore all'Urbanistica, Hazon, ecco la misura della povertà di Milano: 3.690.000 metri quadrati di verde pubblico, metà del minimo prescritto dalla legge. I parchi dovrebbero estendersi su 25 milioni di metri quadrati, per garantire 15 mq. per abitante, ma non si arriva a 3 milioni e il rapporto è di 1 metro e 76 centimetri per abitante. La povertà di spazi condiziona gli abitanti: « Scompare il tipo del bambino pacifico » mi dicono all'Istituto di psicologia. « Soltanto oggi si va affermando una coscienza urbanistica », ammettono gli amministratori. Per un secolo Milano è vissuta nelle certezze della filosofia ambrosiana: efficienza, generosità, capacità di far denaro e anche di distribuirne. Ma ha chiuso gli occhi su alcuni aspetti difficili della sua crescita, al pari di New York, o di Parigi (dove il 76 per cento delle abitazioni sono insoddisfacenti). Giovanni Battista Pirelli avvertiva nella sua relazione al piano regolatore del 1886: « Vasti bisogni si manifestano, dei quali però non si accorge chi si culla nella comoda credenza che Milano la ricca, l'operosa, la bella, sia in tutto quale dovrebbe essere ». La guerra distrusse o danneggiò metà del patrimonio edilizio milanese (di 930 mila vani, soltanto 380 mila rimasero intatti), ma l'occasione per immaginare una città veramente moderna non venne colte. Milano fu ricostruita mentre la cintura di 90 comuni si gremiva di fabbriche senza alcun sistema di trasporti pubblici (i trecentomila «pendolari» costretti ad alzarsi ogni mattina alle 4 per essere al lavoro alle 7 in città). Il centro divenne campo della sfrenata speculazione. Il valore delle aree residenziali superò i 700 miliardi. Si arrivò a densità pazzesche: 200 mila metri cubi per ettaro, trascurando le necessità collettive. Oggi l'arretrato si valuta in 1000 miliardi di lire per opere e servizi indispensabili. « Il fabbisogno di aree comunali per scuole, giardini, parcheggi, servizi, è di 29 milioni di metri quadrati », dice l'assessore all'Urbanistica. Il sindaco Aniasi: « Si impone la necessità di invertire la tendenza. Ridurremo ancora le volumetrie, già scese a 65 mila metri cubi per ettaro, portandole a 30 mila. Puntiamo al decongestionamento di Milano, e alla riqualificazione della sua peri¬ feria, dove abbiamo investito somme enormi per costruire quartieri sbagliati ». Milano aveva compiuto uno sforzo per l'edilizia popolare senza confronti in Italia: 320 mila vani. Gallaratese, Gratosolio, Chiesa Rossa, S. Ambrogio sono i nomi di vere e proprie città nuove, sorte sui campi marginali per dare abitazioni degne a operai e piccoli impiegati. Le architetture sono buone in molti casi; te costruzioni spesso ottime. « Ma abbiamo creato dei quartieri per sottocittadini, impoverendo il tessuto sociale di Milano e creando discriminazioni », riconosce il sindaco. Il cumulo degli errori viene oggi soppesato. « Nel 1980 il costo della congestione sarà doppio del costo di un programma di ristrutturazione » mi dice l'ing. Guiducci direttore della « Tekne ». Attorno a Milano si stanno preparando, in disordine, insediamenti che richiedono subito 350 miliardi. Si avrebbero, fra 10 anni, altri 300 mila nuovi posti di lavoro in stabilimenti costruiti seguendo il gioco delle aree nei comuni semirurali. Per soddisfare i nuovi bisogni di strade, scuole, ospedali, case, non basterebbero 5 mila miliardi. Con interventi pubblici e privati per 600700 miliardi si potrebbe invece creare nel cuore della regione un ampio « cuscinetto » di aree attrezzate e un sistema di strade e di metropolitane saldato alla corona di città esterne, come Varese o Pavia. Mi dice ancora l'ing. Guiducci: « Dobbiamo rivalutare i vecchi centri minori: un patrimo¬ nio che non si può sprecare. Altro che città nuove. Per mettere ordine in questa immensa maglia occorre pianificare in modo concreto, con una buona dose di empirismo inglese ». Mario Fazio