DA MASTRONARDI AL LIBRO DI PINA FO MENTRE SI PARLA DI SFRUTTARE DI PIÙ' I GIACIMENTI CARBONIFERI

DA MASTRONARDI AL LIBRO DI PINA FO MENTRE SI PARLA DI SFRUTTARE DI PIÙ' I GIACIMENTI CARBONIFERI DA MASTRONARDI AL LIBRO DI PINA FO MENTRE SI PARLA DI SFRUTTARE DI PIÙ' I GIACIMENTI CARBONIFERI Rane a Vigevano vita e morte in fondo ai pozzi Ho conosciuto Lucio Matdi ll ria nella quale Mastronardi contro di me., e quello era Ho conosciuto Lucio Mastronardi sulla spiaggia del Cinquale. a giuochi fatti di un Premio Viareggio che l'infelice romanziere avrebbe anche potuto vincere-, lo accompagnava Velso Mucci. scrittore di formazione torinese, che non nascondeva la propria delusione per la sorte toccata ad una sua raccolta di poesie che si era convinto di poter vedere cinta di lauro nella stessa occasione. L'uno e l'altro non nascondevano, pur ridacchiando, di essere degli sconfitti, ma il Mastronardi. che aveva respirato a pieni polmoni l'atmosfera mondana e le lodi per essere quasi giunto al traguardo, portava con naturalezza aggressiva la sua delusione mentre Velso Mucci rannuvolatissimo pareva continuasse a chiedersi quale errore avesse commesso per essere stato cosi ingiustamente punito. Errore di organizzazione del proprio successo, s'intende, che egli s'era dato per sicuro dopo certi atti e certe frequentazioni che l'avevano impegnato a lungo in vista di quel maledetto Premio Viareggio. Basta là. le cose erano andate come erano andate e adesso non serviva recriminare; anzi, dato che io ero della Lomellina e Mastronardi era già famoso quale giudice e torturatore di Vigevano, tanto valeva che il discorso prendesse la strada di quell'umido territorio ih provincia di Pavia dal quale ero assente da almeno trent'anni. A Vigevano, verso il 1930. avevo lontani parenti autorevoli e ricchi, soprattutto un certo Alessio N.. esperto di assicurazioni, persona assai fine, che aveva pensato di aiutarmi nella carriera pittorica proponendomi di esporre qualche quadro nel circolo che egli frequentava, molto esclusivo, ma aperto alle belle arti saggiamente intese. Bisognoso di vendere anche un solo quadretto, avevo scelto un po' di studietti di paesaggio e li avevo spediti a Vigevano in compagnia di un dipinto fatto apposta per l'occasione che rappresentava un catino pieno di rane vive. Pensavo che i distinti vigevanesi apprezzassero tale omaggio alla fauna locale e che i ha traci mi portassero fortuna. Non avevo visto giusto. Andato a Vigevano a ritirare la mia roba alla quale i soci del circolo avevano voltato la schiena, con tutto il rispetto per il signor Alessio, venivo rimproverato da un commendatore addetto agli affari culturali del sodalizio, soprattutto quale autore delle Rane. «Un'indecenza... non si capiva come mi fosse venuta in mente una cattiva azione del genere... E proprio lì. in quel circolo di persone distinte...». «Dovevo essere un poco di buono per lasciarmi andate a certe cose ripugnanti...». Chi parlava così era un ometto in doppiopetto blu. assai ricercato in ogni gesto e particolare della persona, armato di un vistoso monocolo, con la erre moscia sulla lingua e l'unghia lunga ai mignoli, gemelli preziosi ai polsini, forse un portasigarette d'oro in tasca, al polso un orologino d'oro minuscolo con il bracciale, suprema raffinatezza, di velluto nero. Come difendersi da certi connotati? Non mi era rimasto che arretrare nel silenzio, nel sonno, nel nulla, lasciando Vigevano al suo destino. Avrei potuto raccontare questa mia sconfitta a Mastronardi ed a Mucci. tanto per star con loro in quel dopo-Viareggio. ma non me lo consentirono. Erano tanto eccitati dal comune impegno letterario da non ammettere che altri ne occupasse un po' di spazio Pareva poi che Mastronardi si tenesse stretto Vigevano con tutti i suoi abitanti e che non ammettesse che altri vi potesse essere entrato per scontrarsi (gravissima colpa!) con qualche esecrabile marionetta d'un ambiente che. forse, lui stesso non aveva ancora conosciuto. Adesso, a distanza di tanti anni, suppongo che allo scrittore difettasse la conoscenza della parte signorile d'una cittadina di «industrialotti» che non sarebbe stata tenera verso un giudizio ostile ed avrebbe saputo rendergli ancora più diffide la vita e, per quanto so dell'opera sua. non credo eh*; egli quella conoscenza abbia realizzata in seguitoe resa letterariamente. 11 tema imposto alla conversazione di quel giorno su quella spiaggia marina doveva essere per forza il dialetto di Vigevano <■ dintorni, mate¬ ria nella quale Mastronardi era ferratissimo, aiutato anelli; dall'esperienza scolastica, mentre io ne sapevo poco o nulla perché, se ero nato come lui nel paese delle rane, vi ero rimasto pochi anni soltanto e immunizzato da ogni influenza dialettale. In seguito avrei sofferto di questa mancanza di linguaggio, proprio nell'infanzia e nell'adolescenza quando è formativo del carattere l'essere o non essere a proprio agio in un certo ambiente ed intenderne e parlarne la lingua. Trapiantato a Torino dopo tre anni di Genova, avrei cercato di apprenderne il dialet-, to che mi appariva difficilissimo, ma ecco che d'estate i miei genitori avevan preso l'abitudine di villeggiare in certi paesini di montagna dovi: la parlata era ben diversa da quella cittadina, così i miei contatti con gli indigeni restavano infruttuosi e rientravo nella scolaresca delle elementari meno provveduto di prima. Passando poi dalla tenera infanzia alla turpe adolescenza, ormai padrone di tutte le parolacce e delle storie infami senza le quali non si è veri uomini, ecco venire a sapere che il mio «torinese» non era quello buono parlato dal re Carlo Alberto e dalle dame di Corte, ma tutt'al più il linguaggio d'un servo, anzi d'una serva, e che avrei dovuto sciacquarlo in qualche nobile salotto di via della Rocca se volevo essere ammesso in società. Questo per i rapporti di città e coi paesi limitrofi: figuriamoci cosa capitava col dialetto lomellinese che avrei voluto possedere per i quindici giorni all'anno che andavamo a passare da quei parenti che mi sopportavano da quando mia mamma era rimasta vedova. Avevo soltanto delle cuginette. imbottite di paterni ceffoni, nessun maschio col quale combinare qualche carognata, le rare amiche di mia mamma avevano già i figli al-, l'università... ero ma' -dettamente solo anche all ru e ii dialetto aveva la sua parte in ■quell'isolamento. Una volta che un carretto carico d'erba mi era passato davanti stringendomi al parapetto d'un ponticello e il ragazzo che vi stava sopra con la frusta in mano mi aveva detto qualcosa piena di disprezzo per quello studentello in vacanza che ero. uno studentello venuto da fuori, figlio di chissà chi. avevo cercato di mettermi alla sua altezza chiedendogli in piemontese che cosa mai avesse NELLA «VECC contro di me., e quello era scoppiato a ridere . Avevo detto e ripetuto: «co'l-l'as... che cosa hai contro di me?, co'l-l'as cantra \l mi?" che non ti faccio nulla mentre tu vuoi schiacciarmi con le tue ruote., ma quello aveva capito «coltellaccio» che nella lingua del posto era curllis e l'aveva forse presa per un'offesa, una minaccia ridicola. C'era proprio da ridere. Cosa poteva fare un verme come me contro il suo carro, contro la sua corta frusta tenuta come uno scettro? Questa storia del curllis, del coltellaccio, dunque, avrei potuto infilarla nel discorso con Mucci e Mastronardi se allora mi fosse venuta in mente: troppo poco tuttavia per meritare un po' di considerazione quale lomellinese vissuto sempre in Piemonte. E' ben vero che potevo vantare genitori nonni e bisnonni della stessa risicola regione, mentre i miei due interlocutori erano di padre meridionale, e uno dei due. il Mucci. era forse la prima volta che sentiva parole di quel certo dialetto, così pieno di espressioni e di cadenzi: lombarde. A ripensarci, quel caso infantile di incomunicabilità resta piccola cosa di fronte al grande amore che ho tuttora per la Lomellina e che un tempo si manifestava con un tuffo al cuore quando il treno, preso ad Alessandria, varcava il Po e cominciava a trotterellare tra le risaie. Si fermava a Sartirana per prendere fiato, poi ripartiva sbuffando e rotolava per quattro chilometri fino alla stazione di Valle dove era ad attendere qualche parente con la carrozza per raggiungere l'abitato mille metri più in là. Assai più lontano, altri tre buoni chilometri, ero nato io ma non avevo più né parenti né amici. Sono rimasto con la voglia insoddisfatta di avere un vero paesi: alle spalle, una casa avita, lunghe memorie. La lettura recente del libro // paese delle ratte di Pina Rota Po. uscito quest'anno da Einaudi, amabilissimo racconto di una giovinezza vissuta in una cascina di Sartirana Lomellina. mi ha risvegliato certi desideri e qualche ricordo Ma ho sentito dire che certe splendide stalle, capolavori di architettura rurale ottocentesca, sono deserte, scomparse, le rane, rari gli aironi: sul castello di Sartirana non sventola più da molti anni la bandiera dei principi Hohenlohe. signori austriaci (o tedeschi) di molti: terre. Italo Cremona HIA PROVINCIA» A differenza del petrolio, il carbone ha in comune con l'atomo la vicinanza ai centri industriali, è competitivo e sotto controllo nazionale - Ma il lavoro di scavo (anche se qualcosa è cambiato) richiama alla mente tragedie, infortuni e vite rovinate dalla silicosi Viaggio tra le miniere del Belgio piene di tristi ricordi - La frase di un italiano: «Ci compriamo la cassa da morto, non la casa» BRUXELLES — Sono le cinque del pomeriggio, le nubi sul bacino di Charleroi sono rosse per le fiammate defili alti/orni e. nelle strade già illuminale, si affrettano verso la miniera centinaia di persone anonime, per lo più arabi e turchi, tutte con la. borsa sotto il braccio, mentre nei vicoli attorno alla slustonc si aprono i bar con le, rugasse che scoprono le ginocchia In vetrina. Sulla soglia delle casette, gli ammalati di silicosi ansimano, boccheggiano come pesci ai quali e venuta a mancare l'acqua e guardano con odio e rassegnasene le ciminiere e le torrette delle miniere. Attendono cosi la morte, con la pensione in tasca e i polmoni rivestiti di polvere di carboìie. tanto che al mattino sputano nero. Molti sono italiani. E' l'ultimo cupitolo della storia del carbone, l'elemenlo determinante delta prima rivolusione industriale. Gli umcricuni della Pennsylvania lo chiamavano «king coni», il re carbone. Nel 1938 la produzione mondiale arrivò all'apice di 227 milioni di tonnellate. Le nasioni che lo possedevano, come l'Inghilterra, dominarono il mondo. Dietro, ci furono mille e mille drammi di sofferensu. di sfruttamento, di morte. La letteratura («Com'era verde la mia valle». «E le stelle stanno a guardare»! ci ha narrato la passione e la tragedia dell'uomo che a mille metri di profondità scava il presioso minerale. Le miniere di carbone cominciarono a essere sfruttate in Inghilterra nel regno di Elisabetta I. ma solo nel 1842 fu approvata dalla Camera dei Comuni la prima legge per migliorare le condizioni di lavoro dei minatori. Ciononostante, i bambini dì 10-12anni, ovunque in Europa, continuarono ad andare sottoterra, al buio, perche erutto piccoli e si potevano infilare nei cunicoli piti stretti. Se noti morivano per gli scoppi dì grisou. prima dell'invenzione della lampada di sicurezza Davi/, crepavano di stenti, giovani te dire che litta cansoitcltia di quei tempi diceva: «Al minatore va l'oro e l'argento, all'operaio di fabbrica solò l'ottone...». l'n uruppo di minatori in attesa di scendere nei pozzi. Un lavor greggio a 33 dollari il barile, sul increato spot (o per consegna immediata! di Rotterdam, della depressione economica, dell'iti (Iasione, dei sette milioni di disoccupati nella Cee. C'era uiiasperunsa: «rutilino pacìfico» con cui l'Occidente doveva affrancarsi dalla dipendènza esterna per lesue fonti di energia, a costi bassi e in quantità pressoché illimitate. Ma il fungo di Hiroshima pesa sullo sviluppo dell'industria nucleare come un peccato originale non redimibile. Movimenti combattivi e bene intensionati contestano nel mondo occidentale le centrali nucleari. (Nei paesi comunisti la nuelearizzazioite cresce di anno in annoi. Infine, l'incidente di Harrìsburg e gli ultimi rialai dei pressi petroliferi. L'intensìficuzione dello sfruttamento del carbone e cosi tornata ut! èssere politica ufflclule della Comunità europea per ridurre la dipendenza energetica. Il' carbone, u differensa del petrolio, ha in comune con l'alomo la vicittunsa ai centri industriali, e competitivo, è soliti controllo nasionale e ce n'e in abbondanza. Anche se non ci sono statistiche globali, sappiamo che ì morti per incidenti nelle centrati nucleari si contano sulle dita di una mano nell'Occidente, mentre ogni setllmunu. nella Slesia o nel Galles, a Charleroi 0 in Pennsylvania, qualche minatore muore, i feriti sono a decine e migliaia passeranno la vecchiaia afflitti dalla silicosi. Non per nulla, in Belgio, bastano quindici unni di luvoro In fondo u unu miniera per meritarsi unu buona pensione. Si muore di meno udesso, ci si ferisce meno, mu si soffre ancora e lo sfruttamento continua. Una l'olta. nella miniera di Bevercotes. un minatore produceva sessanta quintali di carbone al giorno, adesso ne produce più di tre volte tanto. Per quesiti, lo pagano meglio (lei postini. o sempre posante, anche se le condizquasi dieci anni. Eppure quella cittadina sembrava ancora popolata du feriti: chi senzu un piede, chi con le mani bruciate, o la testa rolla. Infatti, perprimu cosn visititi il modernissimo ••Centra truumutologico». allora diretto dal signor Brain. Mi fece girare l'ospedale, raccontandomi con gentilesca: «Ecco, questa e la stanza nella quale sono accolti gli infortunati delle miniere: in questa bella vasca vengono lavati per bene (sapete, i minatori sono sporchi) e poi vengono condotti sul tavolo operatorio. No. non possiamo entrare perché stanno operando, ma potete vedere i corpi dei feriti. Passiamo oltre: ecco le camerette: quel giovanotto è italiano, questo è il refettorio, quei tavoli sono riservati ai musulmani, perché non mangiano carne di maiale: questa è la sala della ergoterapia: ogni invalido ha il suo telaio cln manovrare: di là c'è la piscina, la cura funziona sul principio di Archimede. Il Centro è stato costruito dalle società minerarie... Perche dite: per ripulirsi la coscienza dopo il disastro di Marcinelle?... Questa é la cappella con il posto in mezzo per le carrozzelle: per favore firmate il libro dei visitatori, ha firmato anche la principessa Paola... Lo volete col ghiaccio, o senza, lo .scotch'.'». Charleroi mi parve ulloru unu città-ospedale. Nel 1974. ci dissero, morirono in minieru tredici italiani (uno alla volta, senza clamore) e ci furono quattromila feriti di varie nazionalità, gravi e leggeri: la battaglia per il eurbone costava, e costa, quanto unu ■ piccola» guerra. Ancora oggi, chi scende in miniera si ferisce spesso e di frequente muore per silicosi, nel ricordodegli anni passati sdruiato. in una nube di polvere nera, a martellare lu parete di carbone. Bisogna visitare una miniera e addentrarsi carponi nelle sue budella, dopo essere discesi con il rumoroso cassone, prima di dire «Carbone si, atomo no». A meno che i disastri, le morti, i ferimenti e i decessi per silicosi oggi si possano ignorare perché riguardano ciuasi esclusivamente i marocchini e i turchi, e sempre meno gli itulluni. che nelle miniere belghe un tempo chiamavano ••cannibali». Ora li rispettano, hanno pullulo con il sangue e con le ossa rotte per guadagnare, a quei tempi, circa centomila lire al mese (quanto unu buona segretaria). Unu volta, incontrili u Cliurleroi venticinque lavoratori Italiani in un bar: in periodi diversi erano stati tutti infortunati. Dei dieci minatori italiani, scelti con cura per un colloquio con ine dalla direzione delta miniera «Tini Marcinelle». uno aveva perso un dito, un ultro lu mano sinistra. Ancora oggi, lungo il budello che dall'edificio centrale conduce al pozzo numero 19 dalla miniera di ••Marchenne uu Pont», i minatori euro-africani si avviano al lavoro con le Iute strappate, i fazzoletti rossi stretti al collo, il casco con la pilu di sicurezza e un fugotlo. Quando arriva ullu superficie il cassone colmo di minatori che hanno finito il turno, si sentono grida di gioia, vogliono correre all'aria aperta, non hanno tempo di posare per le foto e di rilasciar dichiarazioni Ma un italiano fece in tempo a dirmi: »Ci comperiamo la cassa da morto, non la casa... Un delegato per la prevenzione degli infortuni italiuno, raccontava: «Non si può più andare avanti, non c'è abbastanza sicurezza contro gli infortuni. Gli infortunati a gli ammalati sono sottoposti alla visita fiscale e i medici belgi non semine riconoscono la malattia. Lavoran¬ do cre inesstraUrli dmincatcosrittScoti fre., fera In pminNeSeDise aLa utoDaCodeEnzCodelin IRicilLapGCDPSADPPiDPP((DPP(CDAPICNIPB do coi turchi, dobbiamo stare più attenti, perché sono inesperti. Siamo la legione straniera del lavoro». Una volta, quando si morirli di silicosi, il medico della miniera scriveva sul certificato: «Collasso cardiaco», cosi la vedova non aveva diritto a tutta la pensione. Scoppi di grisou. allagamènti frane, crollo di impalcature., ferimenti, silicosi: questo era il destino del minatore. In parte e cambiato, si. ma in miniera ci vanno gli altri. gDisoccupazione giovanile e azione pubblica La "legge giovani" tra utopia e assistenzialismo David Matza Come si diventa deviarti Costituzione e sviluppo delle istituzioni in Italia ioni sono un po' mutate eH"'Universale P rgio Bruno i zo Cheli chiedete in libreria il cat mi- gli ecologi. A Marcinelle arrivano ancora delegazioni di pomici ilaliuni che lasciano nel cimitero una corona alla memorili dei nostri elidati. Sulle tombe dei minatori marocchini, invece, non ci sono neppure i fiori dei loro parlamentari. Renato Proni "Cartello d'acquisto" per il petrolio? NEW YORK —I Paesi industrializzati sarebbero intenzionati a costituire un «cartello d'acquisto» del petrolio per lottare contro i recenti rialzi di prezzo decisi dall'organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec). Lo scrive Newsweek nell'ultimo numero. Secondo il settimanale americano, che non cita la fonte delle sue informazioni, questo progetto sarà uno dei principali argomenti all'ordine del giorno del prossimo vertice economico di Tokyo. Nello stesso articolo, dedicato ai problemi degli approvvigionamenti petroliferi americani, il settimanale menziona anche un accordo che sarebbe intervenuto recentemente fra Stati Uniti e Arabia Saudita in base ai quale quest'ultima avrebbe accettato di portare la sua produzione l'estate prossima da 8.5 a 9 milioni di barili il giorno. Newsweek sostiene che i sauditi sono favorevoli al piano del presidente Carter per liberalizzare i prezzi del petrolio estratto negli Usa e portarli ai livelli mondiali, piano che incontra attualmente una forte opposizione nel Congresso. L'Arabia Saudita, secondo Newsweek, avrebbe accolto la richiesta di Washington aperbacks il Mulino": Antonio Pedone Evasori e tartassati I nodi della politica tributaria italiana Domenicantonio Fausto Il sistema italiano di sicurezza sociale Anthony Giddens Nuove regole del metodo sociologico alogo della collana 1979 alle ore 19 Tavola Rotonda