L'oro della Valle Anzasca e i pericoli della silicosi
L'oro della Valle Anzasca e i pericoli della silicosi Una lettera del professor Giacomo Mottura L'oro della Valle Anzasca e i pericoli della silicosi L'informazione, pubblicata il 1' novembre su La Stampa riguardo alle riserve auree che tuttora offrono i giacimenti di' Pestarena e di Ceppo Morelli, in Valle Anzasca, mette in evidenza i vantaggi che si ricaverebbero dalla riattivazione di quelle miniere, data l'elevata quotazione dell'oro e la possibilità di dare lavoro a qualche centinaio di minatori. E' certamente affascinante la prospettiva di utilizzare queste risorse; ma la bella notizia si può anche discutere sotto altri aspetti. Chi ha esperienza di disavventure nazionali ricorda die queste modeste miniere, come altre che si trovano nel nostro paese, tornano attuali ogni qual volta l'oro tocca certi vertici di appetibilità; rientrano poi nel dimenticatoio, quando le cose tornano ad andare meglio. Ricordo personalmente l'occasione delle sanzioni contro l'impresa africana, nel 1936, e quelia della seconda guerra mondii ». Solo a livelli di questo genere queste miniere di¬ vengono -rimunerative». Non ci sarebbe bisogno di tale indizio per accorgerci che non viviamo tempi felici per la lira. Ma vorrei fermarmi un momento sulla valutazione del rimunerativo, che dipende ovviamente dal rapporto tra costi e profitti. Ho bene presenti, per averli visti in autopsie giudiziarie eseguite nei cimiteri di Pestarena e di Ceppo Morelli durante la guerra, come fossero conciati i polmoni di quei minatori. Appunto il dono naturale di quei giacimenti fece sorgere in Valle Anzasca la tradizione secolare del mestiere di minatore, che quegli uomini vi esercitarono con orgoglio e valentia, oltre che per necessità, anche emigrando in diverse miniere del mondo, ritornando infine al paese per terminarvi anzitempo la vita minata dalla silicosi. Infatti, i paesi della Valle Anzasca si collocano fra quelli che si dicevano eccessivamente popolati da vedove. Ricordo quei tempi di duri contrasti, quando una sparu- ta schiera di medici e di patologi cercava di dimostrare, con radiografie e autopsie, che anche in Italia esisteva la silicosi, quantunque disconosciuta affatto dal governo, dai -padroni delle miniere», dalle assicurazioni (allora chiamate Infail) e poco conosciuta dagli stessi operai. Si giunse allora a conquistare l'assicurazione obbligatoria, ma non certo ad abolire l'inevitabile pericolosità di ogni silice cristallina, quale è il quarzo, sia pure aurifero. Non bisogna dimenticare in nessun momento, anzitutto da parte dei lavoratori che sopportano i rischi, che i dieci grammi d'oro che si ricavano da una tonnellata di roccia costano, con l'escavazione e la riduzione in polvere di quella tonnellata, anche il prezzo della malattia che regolarmente si sviluppa, se quella polvere, anche pochissima di quella polvere, viene lasciata nell'aria che gli operai respirarono. Non vi è altra prevenzione al di fuori della radicale elìminazione della polvere sul posto di lavoro, ed è una prevenzione oggi tecnicamente possibile, ma ben costosa se condotta a fondo, senza alternative umanamente valide. Infatti non è da far conto, come si usava, né sulla buona sorte di chi si ammala un po' meno di un altro, né sull'imbonitura del miglior salario aggiunto di un bicchiere di latte. Come alternativa alla prevenzione radicale non rimane che l'indennizzo assicurativo per la salute perduta e la pensione alla vedova. Di tutto ciò deve essere tenuto conto accurato, quando si calcola la remuneratività. Giacomo Mottura Professore di anatomia patologica e istologia dell'Università di Torino
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