Dibattito sulla violenza in fabbrica di Francesco Bullo

Dibattito sulla violenza in fabbrica Il rapporto tra operaio e capo, tra azienda e sindacato: parliamone Dibattito sulla violenza in fabbrica Il licenziamento dei 61 dipendenti Fiat è diventato un caso nazionale, un argomento di scottante attualità - Se ne parla dappertutto: telefonate, lettere, interventi - Sono voci spesso discordanti, appassionate e amare, talvolta provocatorie, in alcuni casi aberranti - E* giusto continuare a discuterne tutti insieme Il licenziamento di 61 operai della Fiat è uscito dalle mura della fabbrica e dallo stretto binario del rapporto di lavoro, regolato da leggi e contratti, per diventare un .caso» nazionale. Una vicenda che ha portato in prima pagina alcune contraddizioni della società contemporanea, la sua crisi di identità, le secche in cui sembra essersi impantanato il rapporto fra azienda e sindacato, le difficoltà del movimento operaio agitato da spinte contrapposte. Tra i molti temi, quello che più ha fatto discutere e ha coinvolto ogni strato sociale è la -violenza in fabbrica», una violenza che va dall'aggressione all'intimidazione, dalle minacce all'avvertimento mafioso, al rifiuto strafottente di lavorare o di accettare il rapporto gerarchico. E' un clima che presenta contorni indefiniti. In questi giorni il cronista ha raccolto decine e decine di testimonianze, di impressioni, di giudizi attraverso le telefonate al giornale, le lettere, i colloqui ai cancelli delle fabbriche con gli operai e con i capì, le assemblee sindacali, i pareri dei dirigenti e dei «padroni». Spesso si tratta di storie personali che squarciano un velo su una realtà poco conosciuta. -Sono stato trascinato in un corteo a spinte e calci — racconta un capo — poi mi hanno avvertito che era meglio non parlare. Non sono un eroe. Non ho denunciato nessuno. Ho moglie e due figli». E' la paura che uno si porta addosso, che entra nelle case : la telefonata anonima, un bi¬ glietto con poche righe nella buca delle lettere: «Dica a suo marito di ricordarsi di Coggiola (il dirigente Lancia ucciso sotto casa - ndr)». Un episodio scelto a caso fra 1 tanti, che conferma la tesi dell'ingovernabilità delle aziende. •La paura — dice un dirigente — non l'hanno soltanto i capi. Prenda i dati dell'assenteismo: il fenomeno ha un'impennata durante gli scioperi. C'è chi non vuole perdere la paga della giornata, ma c'è anche chi teme violente». I sindacalisti non si nascondono il problema. -E' scorretto però generalizzare — dicono nelle leghe dei metalmeccanici — partendo da alcuni episodi per far credere che tutti i capi siano vittime della persecuzione operaia. Forme di esasperazione derivano spesso dal comportamento dei capi. Questa comunque non è la regola». Le organizzazioni dei lavoratori, non da oggi, condannano la violenza rifiutandola come metodo di lotta sindacale e di recente hanno teso la mano ai «capi» ritenendo importante non alienarsi la categoria con il rischio di gettarla nelle braccia del padrone. Ma l'altro giorno, al Palasport, quando Lama di fronte a cinquemila delegati ha detto «anefc* i capi sono sfruttati» la platea ha risposto con una bordata di fischi. Una reazione emotiva, forse. Resta difficile però cancellare l'impressione che nell'universo operaio esistano terre incolte dove l'albero della violenza prospera. Si tratta di gruppi poco consistenti, ma non per questo da sottovalutare. «La riolenza è quella del padrone — sostengono — cinica, bestiale, terroristica; una violenza che porta alla strage degli operai attraverso i carichi di lavoro, l'aumento crescente dei ritmi, la nocività negli stabilimenti». Il loro bersaglio preferito è il sindacato -complice di Agnelli» e «corresponsabile dei 61 licenziamenti». L'hanno ripetuto ieri in una conferenza stampa i «collettivi operai Fiat» con parole di fuoco: * E 1 del sindacato la responsabilità di anni di svendita delle istanze operaie, di cedimenti, di repressione vera e propria delle lotte». Ma accusano tutti; la politica repressiva del pei, 1 giornali asserviti, lo Stato. -Siamo contro lo Stato» hanno detto. E ancora: -I blocchi stradali, le ronde operaie negli uffici Fiat, i pullman sequestrati, l'illegalità di massa rappresentano una svolta reale nella lotta di classe operaia». Non si tratta solo di parole. -Illancio di un bullone — ha spiegato un "compagno" —fa ridere. E' una forma di lotta acquisita dal movimento operaio. I capi nel '50 finivano nei forni. E ti ricordi dell'operaio che uccise il capo con il cacciavite? Non era un terrorista, l'avevano portato all'esasperazione». Parlano anche di -militarizzazione della produzione», i capi che girano armati, di gorilla guardaspalle (Umberto Farioli, uno dei 61 licenziati, entra nei particolari e assicura di aver visto caricatori a 40 colpi) che aprono le macchine dei lavoratori «con lo spadino» per cercare volantini, scoprire che cosa leggono. Rifiutano il terrorismo ma giustifi cano la violenza: -lo non l'ho fatta, ma se l'hanno fatta gli operai è giusta». Ecco: Il dibattito sulla violenza in fabbrica comprende quelle che abbiamo riportato e molte altre voci: continuano a giungere alla Stampa lette' re, telefonate, interventi di studenti e casalinghe, giovani operai o lavoratori più anzia ni, disoccupati che vorrebbe ro entrare in fabbrica, impie gati e capi intermedi, sinda' calisti e politici, sociologi e piccoli imprenditori, nego' zianti. Sono voci spesso discordanti, appassionate e amare, talvolta provocatorie in alcuni casi aberranti. Le pubblicheremo, per aprire un dibattito che coinvolge tutta la città. Francesco Bullo

Persone citate: Agnelli, Lama, Spesso, Umberto Farioli