Dagli uomini della cultura l'appello a respingere la violenza di ogni tipo
Dagli uomini della cultura l'appello a respingere la violenza di ogni tipo Dagli uomini della cultura l'appello a respingere la violenza di ogni tipo Le opinioni del rettore dell'Ateneo, Cavallo, del prof. Firpo e del sociologo Barbano Violenza in fabbrica, una città impaurita dal terrorismo: Torino vive questo dramma ormai da quattro anni. Un malessere all'inizio sottile, poi, con il passare del tempo, sempre più palpabile: in discussioni, dibattiti, analisi, nei fiumi di parole di centinaia di assemblee. Ora la Fiat ha smosso le acque con la classica pietra nello stagno: ha preso l'iniziativa sospendendo 61 dipendenti, senza però affibbiar loro nessuna etichetta, rifacendosi semplicemente al contratto di lavoro. C'è chi ha parlato di errore tattico della maggior azienda italiana; c'è, al contrarlo, chi l'ha definito un primo appello alle altre componenti del Paese. Cioè: l'azienda ha fatto la propria parte, ora (anche se tardi) tocca agli altri (soprattutto al governo ed ai rappresentanti dei lavoratori) fare la loro. Che cosa ne pensano gli esponenti della cultura torinese? Come valutano la situazione in fabbrica ed in città? Per molti — almeno ieri — non è stato facile rispondere, più semplice prendere tempo: «Lasciateci riflettere; sono temi delicati, non forzateci la mano-. Solo il rettore dell'Università prof. Giorgio Cavallo, il prof. Luigi Firpo ed il sociologo Filippo Barbano hanno accettato il confronto anche per «aprire un dibattito» che considerano «doveroso». Sul problema dei 61 licenziamenti Giorgio Cavallo non ha voluto però dare giudizi definitivi. «JVon conoscendo la vita interna della Fiat non posso entrare nel merito del problema. La questione, pen- so, finirà all'esame della magistratura del lavoro, il che esclude interferenze di ogni tipo-. Cavallo preferisce quindi analizzare il discorso in generale, «da cittadino». Afferma: -Posso però aggiungere che, avendo esperienza diretta di organismi in crisi (l'Università, ndr), determinata da stati di tensione, per risolvere il problema c'è bisogno del concorso leale e chiaro di tutti e Aoè dei datori di lavoro, dei dipendenti e dei sindacati. Vorrei concludere precisando che non basta condannare il terrorismo: è la violenza di ogni tipo che va respinta-. Anche il professor Firpo ammette di non avere 'alcuna esperienza dei problemi della fabbrica-. Ma subito aggiunge: «C'è comunque un discorso generale importante: viviamo in un'epoca di tecnologie sempre piii complesse che richiedono un altissimo grado di integrazione e coordinamento nell'organizzazione del lavoro. 'Il rifiuto dell'autorità (sia pur con tutte le garanzie per la dignità e la libertà del lavoratore) non può che risultare autodistruttivo. E' sotto i nostri occhi un esempio terribile: quando nell'organismo umano le cellule rifiutano il loro compito altamente specializzato e subordinato, insorge un fenomeno che chiamiamo cancro-. E allora, prof. Firpo, quali soluzioni? Conclude: -Se è vero che in fabbrica non si può e i i : , i i più organizzare il lavoro, qualche cosa bisogna fare. L'ideale sarebbe che fosse il sindacato stesso a prendere l'iniziativa-. Il sociologo Barbano pone sul tappeto molti interrogati' vi: -Perché l'operaio afferma che la sua vita incomincia fuori dai cancelli della fabbrica? Purtroppo la gente comu ne, i cittadini che non entrano nelle officine, non sanno che cosa succede esattamente. 'Da un lato parrebbe che i 61 licenziamenti siano connessi con il problema del terrorismo; dall'altro che siano avvenuti in un momento cruciale, per un disegno di ristrutturazione aziendale. Un giudizio non può separare questi due aspetti, queste sensazioni. 'Non saprei dire insomma che cosa prevale nel provvedimento Fiat: se la necessità di emarginare presunti violenti 0 la volontà di dare avvio ad un progetto di ristrutturazione che consenta all'azienda di attrezzarsi contro la guerriglia nelle officine. 'Probabilmente una specie di dibattito, un'informazione collettiva fra imprese, sindacati, enti locali, sarebbe non solo interessante, ma doverosa, visto che ognuno dei tre organismi ha assunto posizioni diverse, talvolta contrastanti». n provvedimento della Fiat, a suo giudizio, servirà a smuovere qualche cosa? «E' difficile dirlo, oggi. Certo, all'interno delle officine avvengono episodi di intolleranza. Ma nella maggior parte dei casi all'esterno se ne sa troppo poco: manca l'informazione. Adesso bisognerà vedere quali saranno le reazioni di un sindacato ancora impreparato all'attuale situazione. •Negli Anni 60, rappresentanti dei lavoratori ed imprese si fronteggiavano come due eserciti fermi, con metodi tradizionali. Oggi la classe operaia è più frantumata e la battaglia è di diverso tipo. Anche 1 sindacati dunque dovranno •rivedere la loro strategia. Ecco perché sarebbe auspicabile un grande dibattito: per non trovarci impreparati agli Anni 80, per non giungervi con strutture vecchie di20 anni». Giuseppe Sangiorgio Primo giorno di lavoro, ieri, per questo operaio, che mostra la lettera d'assunzione, una delle ultime inviate prima del blocco
Luoghi citati: Torino
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