La storia di sette anni di violenza alla Fiat

La storia di sette anni di violenza alla Fiat La storia di sette anni di violenza alla Fiat La Fiat dice basta alla violenza. Denuncia -il quotidiano uso delle minacce, delì'avvertimento mafioso e della rappresaglia" nei confronti degli operai e dei capi, e pubblica un dossier sugli episodi che hanno turbato e turbano la vita dell'azienda. E' uno spoglio, scheletrico elenco di date e di nomi diffuso ieri pomeriggio, dopo l'annuncio delle 61 lettere di licenziamento inviate a dipendenti di Mirafiori, di Rivalla e della Lancia di Chivasso. Scandisce i ritmi con cui il terrorismo si è insinuato, facendosi di giorno in giorno più arrogante e sicuro. Entrando nei reparti, ha seminato tensione e paura, due scomodissimi compagni di lavoro. Finora, -nella mai persa sperama che la ragione prevalesse", l'azienda non aveva 'richiamato l'attemione del mondo esterno alla fabbrica su quanto, ogni giorno, avvie ne dietro i suoi cancelli o contro i suoi uominU. Solo gli episodi più cruenti erano noti: le uccisioni feroci, i ferimenti, i sequestri di persona. Tornano alla mente i nomi di Carmine De Rosa, assassi nato a Cassino nel gennaio '78, di Piero Coggiola ucciso il 28 settembre dello stesso an no, di Carlo Ghiglieno, colpito a morte sotto gli occhi della moglie il 21 settembre scorso Tornano alla mente scene strazianti di dolore, aspre im magini di sangue, l'incertezza di un'intera città che non trova risposta a cento perché. Ma agguati mortali e feri menti sono soltanto l'aspetto più evidente e doloroso, la punta emergente di un iceberg la cui base affonda in lunghi anni di minacce, di distruzioni, di pestaggi, soprusi e avvilenti umiliazioni. «Si vi¬ ve con la paura —confessa un capo —. Tutto il giorno, pare di toccarla. Temi ogni momento una coltellata alle spalle, una ritorsione, un calcio, una spinta, uno sputo. E quando sei a casa squilla il te¬ lefono, voci anonime annunciano rappresaglie". La Fiat fornisce un lungo elenco di violenze. S'apre con brevi annotazioni che risalgono al '72. Episodi isolati, lontani fra loro. Non c'è ancora clima di tensione. Sono squarci di aggressività isolata, ferite che si rimarginano subito. Poi, l'escalation, asfissiante, sanguinaria. La città è sgomenta e impotente, la più grande azienda italiana diventa un bersaglio. Non è il solo, certamente il più colpito. La strategia dei terroristi subisce una prima, radicale svolta nel dicembre '73 con il rapimento di Ettore Amerio; poi, i ferimenti. Il primo è compiuto nel dicembre '75, vittima il responsabile dei servizi sanitari di Mirafiori. E' da quel momento che i terroristi escono allo scoperto, senza reticenze, si ammantano di sigle, allargano a ventaglio i loro obiettivi. Nel '75, dunque, un ferimento, due aggressioni, 14 incendi d'auto. L'anno successivo le persone ferite sono tre, gli incendi d'auto salgono a 20, quelli di impianti a 5; altrettante le aggressioni a persone, due i danneggiamenti contro case di dipendenti Fiat. Nel '77 le pistole colpiscono 7 persone; 8 le auto incendiate, 5 gli impianti messi a fuoco. 13 le aggressioni a persone. Nel '78 i primi due agguati mortali, tre i ferimenti, 4 gli incendi d'auto e altrettanti quelli degli impianti; quattro pure le aggressioni a lavoratori. E veniamo al '79: sotto casa viene ucciso l'ing. Ghiglieno; un pestaggio, tre ferimenti; 12 le auto date alle fiamme, 4 gli incendi di impianti, 3 i danneggiamenti alle abitazioni di lavoratori. Dietro queste cifre, il dramma di tante famiglie, l'ansia di Torino, la preoccupazione per il clima che si respira dentro e fuori della Fiat, gli appelli alla mobilitazione contro la violenza. I terroristi riescono a sgusciare tra le maglie che si stringono intorno a loro, continuano a colpire con furia premeditata, in ogni direzione, alzando progressivamente il tiro. Deliranti messaggi squarciano di più ferite che non si titillili i i iiiiiiiii 11 ■ 11111111111 r possono rimarginare. Con logica assurda e spietata, gli autori dettano incredibili spiegazioni dall'ombra del loro covi, per poi agire ancora e tenere la città sul filo del rasoio. L'elenco della Fiat manca del nome delle vittime che hanno subito pestaggi, danni all'auto o all'abitazione. « Vogliamo evitare rappresaglie", spiegano all'azienda. I! dossier contiene solo la descrizione dei danni, l'analisi schematica delle conseguenze delle violenze prodotte da azioni improvvise e imprevedibili. Dal lancio di bombe, da agguati tesi negli androni, al buio, ma anche in fabbrica, durante il lavoro. Capi e operai ne sono usciti pesti e malconci, avviliti nella loro dignità. Gli incendi d'auto rappresentano i gesti dimostrativi più frequenti. Sono stati una sessantina in questi ultimi quattro anni. Non si contano quelli compiuti fra il '72 e il '75, quando il terrorismo cominciava a muovere i primi passi nella clandestinità, quando non era ancora prevedibile e pensabile l'esplosici ne della violenza al livelli più tragici. In quel momento cominciava ad allungarsi una scia orribile di paura, di sangue e di morte che ha colpito centi naia di volte la Fiat. Tre i morti, 18 i feriti. Incalcolabile il danno materiale a impianti abitazioni e auto. Cosi come quello morale, alle famiglie delle vittime, a Torino, all'uomo, alla sua dignità. Renato Romanelli Cesare Varetto, ferito giovedì scorso dalle Br, è il ventunesimo tra i dirìgenti Fiat colpiti dai terroristi in quattro anni