In fabbrica non si vive

In fabbrica non si vive In fabbrica non si vive (Segue dalla l'pagina) chiamo anche se ormai è "fisiologica"; ma stiamo attenti a non "buttare dalla finestra il bambino con l'acqua calda". Il secondo tipo di violenza, sul quale intendiamo porre l'accento, è quella irrazionale all'interno della fabbrica. Non una rabbia occasionale, ma l'azione di forze divergenti, anche rispetto agli obicttivi sindacali, che rappresentano un elemento dirompente che opera con predeterminazione e finalità precise. E' questa l'area sulla quale sentiamo il dovere di esercitare la nostra responsabilità come azienda». E il terrorismo? •E' il terzo tipo di violenza. Mi domandate se c'è una connessione con la violenza in fabbrica. Se avessimo di questi elementi faremmo delle denunce alla magistratura. Però non c'è dubbio che a livello di consuntivo l'analisi della realtà è quella che è. Voglio dire che la connessione, nell'insieme, è visibilissima. Mi spiego con un esempio: quando un medico di fabbrica dichiara idonei al lavoro quattro operai e il giorno dopo viene colpito la connessione c'è. Ciò non significa che a colpirlo sia stato uno dei quattro operai visitati. Qualcuno però hw sfruttato l'episodio. Cioè la connessione esiste nei fatti; nessuno dice se c'è anche a livello di persone. Questo non è compito nostro ma della magistratura». Si osserva che la motivazione delle lettere di sospensione è generica. •Se chiamati esibiremo le prove in nostro possesso». Il sindacato parla già di strumentalizzazione contro le lotte dei lavoratori. Lei che cosa risponde? •Siamo convinti che gli interventi sulla violenza organizzata interna sono un'opera che serve in generale. Non c'è nulla contro il sindacato. Anzi sono problemi sui quali il sindacato da solo non basta e non basta nemmeno la Fiat da sola. Al limite occorre anche l'intervento dello Stato. Noi cerchiamo di dare una mano. Se gli altri concorreranno bene; altrimenti ognuno si assumerà le proprie responsabilità. Nella nostra decisione ci sono dei rischi politici. Lo sappiamo, ma non abbiamo secondi o terzi fini. Il rischio più grosso è che tutto diventi torbido e che si faccia della confusione. Noi lottiamo contro una disgregazione visibile. Cerchiamo di arginarla. Magari c'è una punta di aziendalismo, ma non è una politica sbagliata. Un minimo di aziendalismo è indispensabile. Ripeto che l'azienda deve fare la sua parte per tutelare il lavoro di ZOO mila persone di fronte ad una piccola minoranza. C'è un senso etico del lavoro che deve essere difeso. Visto che nessuno fa niente abbiamo mossonoi il primo passo. In questo modo crediamo di aiutare anche il sindacato, forse non a breve termine, ma a media distanza. Sui luoghi di lavoro esistono ancora le controforze che tutti insieme possiamo mobilitare contro la disgregazione». Annibaldi ha parlato «a braccio» ricevendo i giornalisti che via via affluivano in corso Marconi. In precedenza la Fiat aveva emesso una nota che tra l'altro dice: •Fino ad oggi, nella mai persa speranza che la ragione prevalesse, la Fìat non ha mai richiamato l'attenzione del mondo esterno alla fabbrica su quanto, quasi ogni giorno, avviene dentro i suoi cancelli o contro i suoi uomini. Solo gli episodi più clamorosi vengono a conoscenza dell'opinione pubblica». (La Fiat ha fornito un lungo dossier con un centinaio di violenze che riportiamo a parte). •Al momento di fare una somma ragionata di quanto è avvenuto nelle sue fabbriche negli ultimi anni — prosegue il testo dell'azienda — la Fiat non può ignorare quanto i suoi capi e i suoi operai vivono ogni giorno. Per questo la Fiat non può disgiungere nel giudizio gli atti criminali che si sostanziano in ferimenti e uccisioni, da questi atti, che, superando i limiti di un corretto confronto tra le parti sociali, finiscono per contribuire ad un clima di tensione e di terrore». •Il quotidiano uso delle minacce — conclude la Fiat — dell'avvertimento mafioso, della rappresaglia, della violenza fisica e morale, porta allo sgretolamento di quei fondamenti etici senza i quali non solo il terrorismo si sviluppa ma le stesse premesse di qualsiasi convivenza civile sono messe in pericolo». Le lettere ai 61, sono tutte uguali, lunghe una paginetta\ Nella parte essenziale, contestano un comportamento •consistente nell'aver fornito ■prestazioni di lavoro non rispondenti ai principi della diligenza, correttezza e buona fede e nell'aver costantemente manifestato comportamenti non consoni ai principi della .civile convivenza sui luoghi di lavoro». Il termine tecnico del provvedimento è •sospensione cautelare non disciplinare» e si richiama all'articolo 26 del contratto di lavoro che riconosce all'azienda la facoltà di sospendere il lavoratore «con effetto immediato, per un periodo massimo di sei giorni». L'articolo 26 si applica quando ricorrono gli estremi del comma B dell'articolo 25 del contratto che al titolo «Licenziamento senza preavviso e con indennità di anzianità» dice: «/n tale provvedimento incorre il lavoratore che provochi all'azienda grave nocumento morale o materiale o che compia, in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, azioni che costituiscono delitto a termini di legge». Sergio Devecchi

Persone citate: Annibaldi, Sergio Devecchi