A che punto è la vicenda dei 61

A che punto è la vicenda dei 61 Sono passati 13 mesi; ieri un punto a favore degli avvocati delFFIm A che punto è la vicenda dei 61 Sette sentenze già pronunciate (2 hanno dato ragione e 5 torto alla Fiat), 4 processi in corso - Degli altri, 35 hanno accettato il licenziamento, 2 non hanno fatto nulla, per 13 il processo di lavoro è sospeso: hanno ricevuto comunicazione giudiziaria per violenze Si è conclusa ieri in pretura un'altra tappa del •coso Fìat» relativo ai 61 licenziati. Ines Arditolo, operaia alla Carrozzeria Mirafiori, ha vinto la causa contro l'azienda che è stata condannata dal giudice (dott. Fulvio Rossi) a reintegrare la lavoratrice, pagare le spese di giudizio e il danno valutato circa quattro milioni e mezzo di lire. Alla licenziata si contestava di aver fatto parte di un gruppo che, durante il corteo del 16 febbraio 1969, devastò alcuni uffici; di aver partecipato alla manifestazione del 6 giugno scorso quando alcuni capi furono costretti a «sfilare»; di aver bloccato le fosse di convergenza in più occasioni; dì aver minacciato dirigenti aziendali e responsabili Firn il 13 settembre '79, quando faceva parte di una delegazione sindacale che trattava con l'azienda il caso dei cabinisti di verniciatura. TI processo è stato lungo: 205 pagine di verbale, 19 udienze, la deposizione di una quindicina di testi (tra questi Leonardo Policastro, giunto in manette dal carcere di Belluno, il delegato Firn sospettato di essere un brigatista). Ieri al dibattimento gii avvocati delle parti hanno ripercorso le fasi dell'inchiesta analizzando da opposti punti di vista episodi e testimonianze. Il giudice ha sostanzialmente accolto le tesi dei legali Firn (Raffone e Villani) che con una conclusione appassionata hanno cercato di smontare le accuse. Sono cosi finora sette le cause andate a sentenza in pretura del lavoro: due hanno dato ragione alla Fiat, cinque hanno dichiarato illegittimo il licenziamento, altri quattro processi sono in corso. In totale 11 su 61. E gli altri? Il quadro è com¬ plesso: 35 dipendenti hanno trovato un accordo con la Fiat accettando il licenziamento; due per ora non hanno fatto nulla, né la transazione né la causa; per altri tredici (Salerno, Caiazza, Bandiera e Licio Rossi che avevano accettato la difesa della Firn dichiarando di condannare oltre che il terrorismo ogni forma di violenza, intimidazione e prevaricazione; e nove che avevano rifiutato questa clausola scegliendo un «collegio legale alternativo.) il processo di lavoro è stato sospeso in attesa che si concluda l'inchiesta della Procura della Repubblica. Tutti hanno infatti ricevuto dal magistrato penale comunicazioni giudiziarie per violenza privata, minacce e danneggiamento. Sono passati tredici mesi dalla prima lettera di sospensione inviata dalla Fiat ai 61 (40 della Mirafiori, 13 di Rivalta, 8 della Lancia di Chivasso) e il caso è ancora lontano dalla conclusione, ma due cose sembrano chiare. Da un lato l'esistenza di un clima di violenza e ingovernabilità In azienda, almeno fino all'autunno dell'anno scorso; l'ha accertato in modo inequivocabile il pretore Denaro nel processo per «comportamento antisindacale, perso dalla Firn che rinunciò a presentare appello. Dall'altro la presenza in fabbrica di frange armate, terroristi o fiancheggiatori. Non bisogna dimenticare che finora sette dei 61 licenziati sono finiti in carcere con l'accusa di appartenere alle brigate rosse o a Prima Linea: Pennacchio, D'Andrea (entrambi avevano accettato il licenziamento), Fa- rioli, Santilli, La Spina, lovine (processato a Biella il 10 aprile disse al tribunale «sono un brigatista»), Mattacchinl (secondo 11 «memoriale Peci» era un br, avvicinato da La Spina che voleva metterlo in contatto con Prima Linea). Il Mattachini, nei giorni scorsi, avrebbe fatto uscire dal carcere di Saluzzo un lungo documento poi distribuito in fabbrica che conclude: •La lotta armata per il comunismo deve continuare e penetrare all'interno della classe ». Prendere atto di ciò non vuol dire criminalizzare i «61». Se violenze hanno commesso, o no, sarà accertato dai processi di lavoro; se le accuse sono più gravi, fino a quella di terrorismo, l'ultima parola spetta al giudice penale. Francesco Bullo