L'Indesit taglia i rami secchi

L'Indesit taglia i rami secchi Senza avvenire i televisori in bianco-nero, i cinescopi, le radio L'Indesit taglia i rami secchi Gli effetti dell'assalto della concorrenza straniera - L'azienda ha chiesto 13 settimane di cassa integrazione nelle fabbriche del Sud - Ma lascia intendere che forse dovrà licenziare Otto settimane di «cassa» per 800 persone anche nelle fabbriche di None e Rivalta TORINO — ; nodi vengono al pettine, le difficoltà dell'elettronica •civile* (quella che produce televisori, radio, radioregistratori) per qualche azienda stanno diventando insopportabili. La Indesit ha annunciato 13 settimane di cassa integrazione negli stabilimenti del Sud e otto settimane per circa 800 persone occupate in quelli di Rivalta e None Torinese. «Ma—dicono a Rivalta, negli uffici direzionali del gruppo presieduto da Armando Campioni—se negli stabilimenti del Nord dopo la parentesi della cassa integrazione tutto dovrebbe tornare alla normalità, per quel che riguarda il Sud dopo la "cassa", se non succede 11 miracolo si dovrà passare ai licenziamenti». La Indesit ha avuto nell'ultimo esercizio un fatturato di 273 miliardi e un utile di 3 miliardi e 46 milioni; l'occupazione si è mantenuta poco al disotto dette 12 mila persone. L'azienda produce frigoriferi a Rivalta (è lo stabilimento da cui è cominciato il decollo dell'impero di Campioni); negli stabilimenti di None si producono invece lavatrici, lavastoviglie, cucine, televisori a colori, apparecchiature speciali ed elettroniche. Nello stabilimento di Tavernola, in provincia di Caserta, si costruiscono prevalentemente televisori in bianco e nero, radio, registratori, cinescopi, piccoli elettrodomestici e congelatori. L'azienda attribuisce le difficoltà alla spietata concorrenza che l'industria italiana radio-televisiva subisce da tempo da parte dei prodotti stranieri; il sindacato riconosce queste difficoltà obiettive ma accusa anche la Indesit di incertezze e di errori. Le due parti si incontreranno giovedì mattina nel tentativo di trovare un accordo che consenta all'azienda di uscire dalla crisi senza provocare, nel precario tessuto occupazionale del Sud, conseguenze traumatiche. All'origine della decisione della Indesit di chiedere la cassa integrazione in modo massiccio c'è una lettera inviata il 13 febbraio ai ministri Bisaglia, Reviglio, Scotti, Starnutati e alla Firn. Nella lettera l'azienda affermava che per tre stabilimenti del Sud (quello che produce tv in bianco s nero, quello che fabbrica cinescopi e quello che produce apparecchi radio) a causa della insostenibile concorrenza di alcuni Paesi europei, del Giappone, dei Paesi dell'Est, dei Paesi emergenti dell'Estremo Oriente «era in forse la possibilità di sopravvivenza», i bilanci erano «disastrosi», erano «urgenti adeguati provvedimenti». Poiché il governo non ha dato risposte il 24 marzo è partita una seconda lettera in cui la Indesit comunicava di essere costretta a fermare la produzione in tre degli stabilimenti del Sud e a chiedere 13 settimane di cassa integrazione, finite le quali la socie¬ tà sarà «costretta a dare iniziò alla procedura di riduzione del personale». Diversa la situazione per gli stabilimenti torinesi. «Le 8 settimane di cassa integrazione — dice il vicedirettore generale della Indesit, /tornano Monastero — sono dovute unicamente a difficoltà di mercato dei televisori a colori, difficoltà comuni a tutti 1 produttori italiani schiacciati dalla concorrenza straniera. Riteniamo però che questo settore abbia un avvenire e non pensiamo affatto di abbandonarlo». In pratica la Indesit non fa mistero di voler cessare produzioni che ritiene senza avvenire: radio e registratori, cinescopi (.Ci siamo trovati a competere, ad esempio, con i russi, che vendono i cinescopi a 16 mila lire l'uno, mentre a noi costano di materiale e di manodopera non meno di 30 mila lire» dice Manassero) e televisori in bianco-, nero. C'è un programma per la produzione di videoterminali per l'informatica ma non è di immediata attuazione. «Stiamo facendo delle campionature per numerose società, tra cui la Olivetti — dice ancora Mimassero —; abbiamo la capacità per entrare in questo settore in forte espansione; ma la produzione potrà cominciare solo nel primo semestre dell'ai*. Nel frattempo c'è il vuoto. Massimo Trinci, della Federazione lavoratori metalmeccanici nazionale, che segue le vicende della Indesit, parla però di cattiva programmazione. «Il gruppo che aveva una forte. posizione sul mercato italiano dei televisori in bianconero, non ha saputo mantenerla nel colore. Non ha capito che la battaglia non si combatteva più con i bassi prezzi ma con un'Immagine di prestigio e di qualità. Adesso l'azienda ha imboccato questa strada con l'ultimo modello di tv-color messo sul mercato ma il ritardo non si recupera da un giorno all'altro». Il sindacato intende ora affrontare il caso-Indesit su due linee: la prima, quella della difesa dell'occupazione nel gruppo (■«Chiediamo un preciso impegno a non abbandonare l'elettronica civile» dice Trinci); la seconda consistente nella richiesta al governo di una politica di sostegno del settore dell'elettronica civile. «Il mercato italiano permette ancora incrementi delle vendite ma le nostre imprese sonò troppo piccole e deboli per resistere all'assalto di quelle straniere — dice Trinci —; occorre che il governo promuova la costituzione di un consorzio tra di esse, anche se ci rendiamo conto che si tratta di un'impresa difficilissima mettere d'accordo tutti». Intanto parte una serie di scioperi articolati e di assemblee nelle fabbriche del gruppo. Vittorio Ravizza

Persone citate: Armando Campioni, Bisaglia, Manassero, None Torinese, Reviglio, Vittorio Ravizza

Luoghi citati: Caserta, Estremo Oriente, Giappone, None, Rivalta, Torino