Biella: confessa di essere un br uno dei 61 licenziati dalla Fiat di Claudio Cerasuolo

Biella: confessa di essere un br uno dei 61 licenziati dalla Fiat In tribunale i cinque arrestati nel blitz del 28 marzo Biella: confessa di essere un br uno dei 61 licenziati dalla Fiat Domenico Jovine ha scagionato i coniugi che lo ospitavano: «Ignoravano la mia identità» - Un imputato: «Nel mio giardino è nascosto altro esplosivo» Dopo un'ora di camera di consiglio gli atti rinviati al giudice istruttore DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE BIELLA — Tutto da rifare al processo contro i cinque arrestati per detenzione di armi ed esplosivi a Biella. Dopo un'ora di camera di consiglio ieri alle 17 il tribunale (pres. Majorana) ha deciso di rinviare gli atti al giudice istruttore. E' stata una sorpresa, in un certo senso prevedibile, dopo i colpi di scena che avevano animato il dibattimento fin dall'inizio. L'imputato Domenico Jovine, uno dei 61 licenziati della Fiat, ha fatto in aula una dichiarazione di militanza nelle Br. Un altro imputato, il chimico Mauro Curinga, ha confessato ai giudici che nel suo orto di via Arbo 5, dove i carabinieri di Dalla Chiesa avevano dissotterrato un sacco di plastica con dentro armi ed esplosivo, c'è un sacco simile al primo. Dopo una giornata convulsa, in cui Biella ha avuto il suo primo impatto con il terrorismo e con i processi politici, la città si è come liberata da Un senso di angoscia di isolamento. Mentre in àula si celebrava il processo, fuori, nella stessa Biella, a Torino, a Milano e in altre città italiane, i carabinieri di Dalla Chiesa operavano una serie di arresti, probabilmente tutti collegati al blitz del 28 marzo scorso. Anche gli imputati che, ieri erano alla sbarra, fatino parte di quella operazione ed è quindi opportuno che il giudice istruttore indaghi ancora. Fin dalle prime ore del mattino la principale arteria cittadina, via Repubblica, è stata interrotta al traffico. Militari in armi presidiavano la zona del tribunale. All'in gres so del palazzo di giustizia, severi controlli, schedatura dei documenti di identità, perquisizione con il «metal detector», proibito entrare in aula se non ai parenti e agii amici stretti degli imputati. Tutte misure che hanno sollevato forti perplessità nel collegio dei difensori. Appena cominciato il processo il p.m D'Alessandro ha contestato ai cinque imputati l'aggravante ''prevista dalla - recente legge del 6 febbraio sOor$o: quella per la tutela dell'ordine pùbblico che aumenta della metà le pene per i reati a fine di terrorismo. I difensori, avvocati Zancan e Mirini di Torino, Piscopo e Spazzali di Milano, Chiorino di Biella, hanno chiesto un termine: sono state concesse due ore. Alle 11 è cominciato l'interrogatorio degli imputati. Ha esordito spavaldo, le mani infilate nelle tasche della «salopette» blu, Domenico Jovine, uno dei 61 licenziati della Fiat: •Sono un operaio comunista militante nelle Br. Le armi trovate nella casa in cui mi avete catturato appartengono alla mia organiszazione ed erano state affidate a me. Io solo dunque sono responsabile per la detensione, in guanto gli amici che mi hanno ospitato ignoravano del tutto sia il contenuto dei miei bagagli sia la mia identità politica. Falcone l'ho conosciuto a una manifestasione a Torino. Sono tornato a trovarlo e lui mi ha ospitato. Mi sono fatto passare per Marco Borri (il sindaco di Biella ha lo stesso cognome, n.d.r.)». Il presidente Maiorana lo interrompe: «Si rende conto che non faceva un favore a un amico?». Jovine non risponde e consegna il documento che ha preparato. E' un'analisi completamente nuova degli ultimi fatti di terrorismo e aiuta a capire la spirale della violenza che ha investito Torino dal luglio dell'anno scorso. «Sono un licensiato Fiat; uno dei 61 — si legge del documento — e questo fatto potrà imbarassare chi ha sempre straparlato di isolamento politico della lotta armata e della classe operaia. Invece eccomi qui, sono operaio comunista e rivolusionarìo. Nel luglio dello scorso anno, durante il rinnovo del contratto, abbiamo dimostrato ad Agnelli e alla sua qittà che cosa succede quando gli operai sfuggono al controllo sindacale e revisionista. A Torino allora tirava aria di rivolta: cosi il contratto l'hanno chiuso in fretta, preoccupati prima di tutto di evitare guaipeggiori». Dopo il consueto attacco ai carabinieri di Dalla Chiesa, ai magistrati che conducono le indagini sull'eversione, ai giornalisti, definiti «fiancheggiatori e sciacalli; tutti accomunati sotto l'etichetta di •terroristi veri; il documento di Jovine chiude con minàcce di nuòvi delitti: -Altri compagni hanno già sostituito i quattro caduti di Genova». La coppia che aveva ospitato Domenico Jovine, il portalettere Piero Falcone e la moglie Giuseppina Bianchi, impiegata alla Cassa di Risparmio di Bielìa, hanno negato di sapere qualcosa sulle armi e il materiale che Jovine aveva con sé: «Ci ha chiesto ospitalità, gliel'àbbiamo data senza andare a frugàre'nella sua valigia: Il tipografo Sergio Corli, 41 anni, ha ripetuto che un conoscente, pochi giorni prima, gli aveva chiesto di custodire quel sacco: dentro c'erano, mitra Sterling, Mab, bombe anticarrro «Energa», del tipo usato dal commando brigatista, per gli assalti alla caser¬ ma Lamarmora prima del «processone» alle Br. Il pubblico ministero (D'Aiessandro se n'era andato, sostituito dalla collega Allegretti) ha svolto la sua requisitoria in una manciata di minuti chiedendo pene per complessivi 44 anni di carcere, cosi suddivisi: 10 anni per il chimico Curinga, 8 anni e mezzo a testa per Jovine e per la coppia Falcone-Bianchi, 9 3 mezzo per il tipografo Corli. I difensori hanno svolto le loro arringhe, disseminando i loro discorsi di dubbi e perplessità sul modo in cui era stata condotta l'istruttoria sommaria, per celebrare il processo per direttissima. Claudio Cerasuolo Biella. I cinque imputati in aula, poco prima dell'udienza: Piero Falcone e la moglie Giuseppina Bianchi; alle loro spalle, da sinistra, Domenico Jovine, Mauro Curinga e Sergio Gorli (Ansa)