«La nuova Indesit studia la Cina» di Marco Zatterin
«La nuova Indesit studia la Cina» «CI SIAMO DA ANNI MA NON NEL COMMERCIALE. E' UN GRANDE MERCATO E VOGLIAMO ESPLORARLO» «La nuova Indesit studia la Cina» Merloni: ho cambiato il nome per creare valore intervista Marco Zatterin DALLA cartellina gialloblù salta fuori il grafico che mette a confronto i marchi che si sfidano sul mercato mondiale di apparecchiature per la casa, e il dito indice dì Vittorio Merloni comincia a rimbalzare da una colonna all'altra. «Ecco - dice - qui si vede bene. In Europa Whirlpool vende Whirlpool, negh Stati Uniti General Electric vende General Electric, in Asia Samsung vende Samsung, nessuno di questi riconducibile direttamente alla socie-, tà. Merloni Elettrodomestici vendeva Indesit, Ariston, Hotpoint, Scholtès. Era una situazione che poteva creare qualche incertezza. Cosi ho deciso di cambiare il nome adottando il nostro marchio più conosciuto a livello internazionale». Il risultato è che il gruppo nato trent'anni fa a Fabriano si chiama dal primo gennaio Indesit Company, è lo stesso gruppo con un'identità nuova, ha alle spalle solo, bilanci in attivo, è uno dei primi tre produttori europei con fatturato complessivo superiore ai tre miliardi dì euro. Giura d'essere soddisfatto, il presidente: «Mi dispiace veder scomparire il mìo cognome dalla flqstra .r^ion^socjaje^m^ statìj una[ sceltà'necéssaria per comunicare in modo immediato, innovare e vìncere le sfide intemazionali che ci aspettano. Adesso siamo più riconoscibili». Quando passa di fronte al frigorifero ultimo grido, quello con l'apertura frontale per le bevande, Merloni ha gh occhi che brillano. «E' comodo e fa risparmiare energìa», assicura, prima di riprendere a narrare la storia di come le coetanee Indesit e Merloni, entrambe fondate nel 1975, si sono sfidate per anni prima di ritrovarsi unite. Antagoniste e poi alleate. Ora sono una cosa sola. «Fu un'operazione difficile, ma per noi si trattò di una sorta dì ritomo a casa - racconta l'ex presidente di Confindustria -. Prima di rientrare neUe Marche, mio padre aveva lungamente lavorato a Pinerolo, conosceva bene la zona, gh piaceva. Nella Indesit Company c'è parecchio sangue piemontese». Era la prima vostra grande acquisizione. Cinquanta miliardi dell 985. «Volevamo crescere. Dal 1975, per dieri anni, Indesit è stato il maggiore rivale in Itaha. A un certo punto, però, l'azienda s'è fermata, ha perso la sfida dell'Europa, ha cercato dì conquistare un mercato più evoluto rispetto a quello italiano con prodotti non innovativi, Sono andati in crisi e h abbiamo comprati. E' forse una delle operazioni più strategiche che abbiamo fatto. Ci ha permesso dì allargare la prospettiva ed uscire dai confini nazionali» Com'era l'Indesit di venti anni fa? «Era in profondo stato di degrado. Da due anni era in amministrazione con la legge Prodi, gestita da un commissario che aveva il compito di trovare un compratore. Andava male, però aveva posizioni importanti sul mercato europeo che per noi potevano essere cruciali». In quell'occasione avete mangiato un boccone più grosso di voi. «Fu la prova che non basta il capitale per far sviluppare un'azienda. Indesit, in partenza, ne aveva dieci volte più della Merloni. Ma i nostri prodotti e i nostri risultati erano migliori». E' stata difficile l'integrazione? «In origine il loro marchio era più noto del nostro. L'azienda non era però più in grado di garantire un'assistenza di qualità e non aveva prodotti adatti ai nuovi tempi. La strategia Indesit puntava sui bassi costi, mentre noi avevamo obiettivi differenti, volevamo innovare. E' stato un processo laborioso». Come mai? «Per due ragioni. Era la nostra prima grande acquisizione e non avevamo ancora l'esperienza di oggi. H secondo problema fu proprio l'esser stati a lungo nemici sul mercato. All'interno del gruppo c'era chi si considerava "uomo Indesit" e "uomo Ariston". C'è voluto un significativo sforzo per spiegare che non esistevano più due sodetà, ma una con due marchi. Abbiamo anche fatto ricorso a comunicatori e psicologi per portare a termine quella che, alla fine, è stata una vera rivoluzione culturale». All'epoca, equivaleva a sposa¬ re la Juventus con il Torino? «Proprio così. C'è stato persino un momento in cui Indesit sponsorizzava i granata e Ariston i bianconeri. La competizione era a tutto tondo». Siete rimasti in Piemonte per scelta ò per necessità? «E' stata Una scelta. Non abbiamo delocalizzato a Torino perché siamo riusdti ad aumentare l'efficienza produttiva che ha portato gh impianti dì None ad essere competitivi. Abbiamo cambiato la strategìa, siamo passati da tre prodotti al monoprodotto: i risultati sono raddoppiati». Quanto fa in lavastoviglie? «Nel 1985 None non andava oltre i centomila pezzi l'anno. Adesso ne sforna un milione, di un solo modello, e compete a livello europeo contro Bosch e Siemens, come la Thesis combatte contro l'Audi. Non è facile, ma questo è il mandato». Pensate anche voi alla Cina? «Ci sono andato per la prima volta nel 1975, con la delegazione dì Confindustria guidata da Gianni Agnelli. Nei vmti anni successivi la Merloni Prr itti ha realizzato e venduto alle Autorità Regionah cinesi 25 stabilimenti, ma noi non eravamo mai entrati nella parte commerciale. Oggi, grazie alla nuova joint venture con Little Swan, vogliamo esplorare quello che è uno dei, mercati più grandi del mondo».' La campagna di lancio di Indesit Company è costruita sul passaggio dai volumi ai valori. Lo slogan è "Simply batter", inteso come "sempre megho, giorno dopo giorno". E' un impegno ambizioso.... «Mio padre diceva che "in ogni iniziativa industriale non c'è valore del successo economico se non c'è anche l'impegno nel progresso sociale". Non penso che sia un obiettivo semphee, ma lo ritengo necessario. E' così che si cresce». A proposito. Il governo promette da mesi un piano per la competitività. Crede si riesca ad andare oltre le promesse? «Vorrei vedere i fatti, le parole non contano e, comunque, non si può diventare competitivi per legge. La soluzione è nel risolvere i problemi che esistono, le poche infrastrutture, la troppa burocrazia... Ci sono tante cose da fare. Una legge può forse semplificare il sistema, ma per la competitività d vuole ben altro; Soprattutto tanta buona volontà e impegno da parte degli imprenditori». ^^ Il piano per la 99, competitività? Vorrei vedere i fatti, le parole non contano Ci vuole più A A ^e ma legge yj ^^ Non è facile ™™ unire il successo economico col progresso sociale, ma è questa la soluzione per crescere i Vittorio Merloni, presidente della Indesit Company
Persone citate: Gianni Agnelli, Little Swan, Merloni, Merloni Elettrodomestici, Simply, Vittorio Merloni
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