La politica supermarket di Filippo Ceccarelli

La politica supermarket NON CONTANO PIÙ LE CLASSI O LE IDEOLOGIE, VINCE IL LEADER CHE SI VENDE MEGLIO: COME UN PRODOTTO La politica supermarket Filippo Ceccarelli OH scandaloso marketing! Per capire quel che davvero si muove nella società, Klaus Davi consiglia ai dirigènti della sinistra di lasciar perdere Antonio Gramsci e di farsi piuttosto un giro al Cosmoprof, che sarebbe il Salone intemazionale della Profumeria e della Cosmesi. E insiste per 224 pagine, con tanto di note e aggiornatissima bibliografia, questo 37enne evoluto professionista della comunicazione, già ideatore di campagne pubblicitarie di grande successo. Nel suo «Dì qualcosa di sinistra» (Marsilio, 223 pagg., 11,00 euro) Davi rovescia con precisione antiche e faticatissime prospettive. Al giorno d'oggi, thmostra, non contano più le distinzioni di classe, ma gli orientamenti del gusto e il glamour; non più il procedere razionale della storia, ma i varchi simbohci e linguistici aperti dal provvidenziale martellamento pubbhcitario. E ancora. In luogo delle «belle bandiere» (come da evocazione pasoliniana) valga la potenza immaginaria degli spot e la loro resa catodica. E' finito il tempo dei cittadini e anche quello degli elettori. Se la poUtica del XXI secolo ha qualche speranza di vivere, sempre più sarà grazie ai consumatori di politica. Detto proprio così: «consumatori di politica». Non può che raccomandarlo un personaggio di questo tempo. Milioni di telespettatori conoscono Davi - gli occhialini, i modi garbati - per un congruo e invidiatissimo numero di apparizioni televisive. Ma ciò che rende degne di nota le sue analisi è che lui è dal dicembre 2002 ascoltato consigliere del segretario ds, nonché portavoce della Lista Unitaria, Piero Fassino. Ma è anche, lo stesso Davi, in sorprendente ed inedita simultaneità, ascoltato consigliere del presidente della Regione Piemonte Enzo Ghigo e cioè di imo dei più importanti amministratori del centrodestra. Non si abuserà qui del termine «bipartisan» perché il Consigliere incarna semmai una nuova specie di tecnici della persuasione che con la politica, come tuttora la si intende - per convenzione, per convenienza, per pigrizia - non hanno più nulla a che fare. Dietro di lui, davanti a lui, al suo fianco, marcia ormai un esercito di spin doctors, i Piepoli, i Velardi, i Marturano, e un ancora più folto gruppo di agenzie, Consenso, Contempcra, Edelman, SpinCom e tante altre che svolgono un indùbbio ruolo nelle scelte, ma che con i loro clienti leader hanno vincoli di lealtà assai particolari, fino a dieci anni fa del tutto inconcepibili. Ognuno di loro, com'è ovvio, ha delle opinioni. Ma il dato di schieramento appare oggi secondario. Ciò che conta è vincere, anzi far vincere il chente e quindi imporre il loro prodotto. Come in Machiavelli, chi vince ha sempre ragione, il successo rende inno- centi. Ma questa ispirazione rende Davi e i suoi colleghi tanto più simili a dei mercenari (su cui, peraltro, Machiavelli scrisse pagine allarmanti). Il sottotitolo dell'opera daviana è «Come vincere in politica senza parlar male del Cavaliere». E infatti lui per primo si guarda dal parlarne male. Come potrebbe del resto maltrattare l'uomo che per primo ha aperto quella strada? Davi, anzi, risulta ammirato da Berlusconi, a tratti persino fiducioso. La lezione del Cavaliere è da emulare e da superare, non da criticare, tantomeno da detestare. C'è un punto in cui riconosce che Berlusconi ha promesso tanto, forse troppo. Riuscirà a mantenere? si chiede. «I posteri giudicheranno» è la risposta (forse dal sen fuggita). Ma come i «posteri»? E tuttavia l'innocente deviazione del titolo, la potenzialità eretica del suo libro sta soprattutto nel modo in cui tratteggia l'identità della sinistra. E dunque: quella odierna è per Davi inesorabilmente obsoleta, provinciale e anche un po' ignorante nel suo vano orgogUo ehtario. Guai agli snob, ma non ai vip, né ai testimonial (che il dio del commercio li abbia in gloria). Si sforzi dunque, l'attuale opposizione, di lanciare messaggi articolati a seconda dei target cui sono rivolti, e comunque tali da suscitare meccanismi d'identificazione. Cambi aspetto e linguaggio, letture e interessi, trend e band, packaging epayqff. Tutto, insomma. Si faccia furba, la sinistra. Si faccia femmina; si faccia un bel viaggio nell'Inghilterra di Blair e nell'America di Clinton (e anche di Bush); corteggi i senior (guai a chiamarli vecchi o anziani: oltretutto fanno ancora parecchio sesso); lusinghi le massaie; comprenda i giovani; apprenda dai single e si lasci spiegare il futuro dai gay, che spendono un sacco di soldi e così mandano pure avanti l'economia. In un'Italia che rischia di votare più per il Grande Fratello che per le elezioni europee, il Consigliere di Ghigo e Fassino legge le dinamiche pohtiche attraverso le lenti delle aziende e dei loro molteplici e stupefacenti cose history- Il discorso è ben argomentato, a volte pure con crudele diplomazia. Dopo tutto, nel 2001 Prodi ha vinto perché era identificabile con un marchio vincente e di qualità. Non la mortadella, come tutti pensavano, ma il prosciutto dì Parma. Allo stesso modo, in assenza di un pronto riposizionamento commerciale, i partiti di sinistra rischiano di fare la fine dell'automobile Lamborghini o delle creazioni stihstiche di Moschino, per non dire del Rosso antico. Mentre dovrebbero imitare la strategia di mercato della Sambuca Molinari, che adesso se la bevono tutti, grandi e piccini, una a casa e ima al bar. Si tratta di un punto di vista consapevolmente innovativo e astutamente sacrilego. Contro il «pauperismo ipocrita», contro i «professionisti dell'odio», Davi cita una miriade di autori anglosassoni e abbondantissime indagini di mercato. Si aiuta con Panebianco, critica la gestione ulivista della Rai, prende le distanze dal «pastrocchio» dei comici d'assalto durante l'ultima campagna elettorale, pizzica il guru di Rutelli Stan Greenberg, si concede addirittura una lode per Sandro Pondi, il superdevoto del Cavaliere. Tutto questo è già valso a Davi la sintomatica scomunica di Liberazione, che l'ha attaccato definendolo «un marchettaro», senza tuttavia nemmeno degnare di qualche curiosità le tesi del libro. Che invece è un testo culturalmente più che rispettabile e documentato, e anche brillante, in taluni casi effettivamente utile alla sinistra. Ma la questione vera, come si dicev'a un tertìpó, spècie a sinistra, è un'altra e naturalmente è politica, al limite addirittura filosofica. Figli del capitalismo maturo, dell'evoluzione dei mercati, dell'interdipendenza dei consumi che sempre più si riverbera nei costumi, Davi e gli altri suoi colleghi hanno portato alle estreme conseguenze, nel vuoto delle culture pohtiche, la centralità strategica del marketing come soluzione di guasti antichi e moderni, complessi e disperanti. Ne hanno fatto, come tanti altri, una professione. I conti, anche teorici, gli tornano. Il successo arriva. E piano piano il marketing, da scandaloso che era, si fa epopea democratica, scienza del consenso, ideologia, religione. Ma l'esito finale, la vittoria più compiuta, non è neanche più quella del chente, ma della tecnica. Questa prende la mano alla poUtica, la rende tutta cervello, gli strappa via il cuore. Sarà anche vero che al Cosmoprof, o salone intemazionale della cosmesi e della profumeria, si capisce molto della società. Ma se ci andasse un nuovo Gramsci, o Sturzo, o Croce, beh, forse sarebbe un bene per tutti (mica solo per il chente). Nei corridoi del Palazzo marcia un esercito di tecnici della persuasione che offrono i loro clienti ai cittadini consumatori Klaus Davi, consigliere di Fassino e Ghigo

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