Il vecchio capitano che doppiò Capo Horn accolse tre rapinatori come "ragazzacci" di Paolo Bertoldi

Il vecchio capitano che doppiò Capo Horn accolse tre rapinatori come "ragazzacci" La vita avventurosa del comandante Angelo Saglietto d'Imperia Il vecchio capitano che doppiò Capo Horn accolse tre rapinatori come "ragazzacci" Ottantasette anni, è uno dei cinque sopravvissuti dell'epoca della navigazione a vela - "Avevamo più paura delle urla del nostromo che del vento e del mare in tempesta" - La storia di un brigantino scomparso ed approdato poi alle sponde del Tamigi iDal nostro ir,\-ia:o speciale) Imperia. 3 marzo. Abita a Poggi d'Imperia, ha quasi ottantasette anni. Agli inizi del secolo ha passato Capo Horn sul «Lucia», un brigantino da duemila tonnellate. Per un certo periodo i Lloyd* di Londra avevano dato la nave per dispersa, poi il tre alberi si presentò alla foce del Tamigi. I marinai, che sui leggendari velieri da trasporto hanno doppiato l'inferno degli Oceani, stanno, per la triste logge dell'età, scomparendo uno ad uno. Sono orgogliosamente raggruppati nell'associazione dei Cap Hornicrs che ha sede a Saint Malo e per stemma 1 albatros, unico animale capace di vivere «laggiù». In Italia soltanto cinque sono i sopravvissuti al periodo eroico della vela. Angelo Saglietto è uno di questi. A Poggi lo chiamano «il comandante». II più brillante dei Cap Hornicrs italiani ha frequentato ginnasio c istituto nautico. Nelle vacanze estive navigava come mozzo sulla goletta San Michele. Trasportava sansa, noccioli dell'ulivo macinato, da Oneglia ai fornai di Genova. Quando, a diciotto anni, ottenne il brevetto di capitano di lungo corso, suo zio Tobia Saglietto lo imbarcò sul «Lucia» come allievo o «giovanotto». Era il 21 settembre 1908. «A bordo — racconta — eravamo 17, cioè il comandante che non faceva le guardie e due turni di otto uomini, lo. come allievo, guadagnavo 45 lire al mese, 20 più di un mozzo. Gli altri stipendi erano: capitano 250 lire mensili, secondo o scrivano 150, nostromo 90, marinaio 60». Il contratto prevedeva pure «un bicchiere di vino la domeni- ca fin che ce n'è a bordo» ma sui parsimoniosi velieri liguri il vino, dopo venti giorni era esaurito. «Proprio perché ero suo nipote, il comandante non mi risparmiava. Ricordo che in un giorno di tempesta spedirono me e un altro ragazzo fino ai pennoni più alti. Quando giungemmo quasi in cima, io su una sartia e l'altro su quella di fronte, mentre la nave rollava e gli alberi descrivevano ampi archi di cerchio gridai al mio amico "paisan tegnimuse". Chiudevamo gli occhi. Fermi. Tuttavia ci incutevano più terrore le urla di mio zio che il vuoto». 11 momento più duro del lungo viaggio fu a Capo Horn o . meglio subito dopo aver passato i la punta più meridionale del ! | Sud America dove i venti delle i | Ande incontrano quelli dell'A- ' ; tlantico in un ribollire di ondate ed in un turbinio di raffiche. I capitani che doppiavano l'Horn 'erano considerati bravi se perdevano meno del cinque per cento dell'equipaggio. Se un uomo cadeva in mare era finito: mon si tentava neppure di sal¬ ! i ' varlo. Nel dicembre 1909, quando il «Lucia» passò il Capo dei Capi, la fama di questa zona era sempre sinistra e lo è tuttora anche se è stata vittoriosamente sfidata dalle piccole barche a vela moderne impegnate nella regata intomo al mondo o nella Clipper Race. «Noi vi passammo senza guai — ricorda Saglietio — sfiorando montagne di ghiaccio. Il brutto venne due o tre giorni dopo nei pressi delle Falkland. Un rabbioso vento di prua da Nord-Est e onde di venti metri si ! l! I j ! \ [\! I ! abbatterono in continuità sul Lucia. Per un po' resistemmo, llegando saldamente i timonieri per non farceli portar via dai colpi di mare. Alla lunga però, ! temendo che le ondate sfondassero i tre boccaporti, fu deciso I di "prendere in filo" virare di j bordo e correre con vento e ma! re di poppò. Lasciammo a riva \ soltanto le due gabbie fisse, poi [la furia dell'uragano ci strappò \unchc queste vele. Per tre o quattro giorni siamo fuggiti da! vanti alla tempesta filando a'otI to-diccì nodi a secco di vele. Quando tutto si è placato abbiamo dovuto ripassare l'Horn una seconda volta». ' Nel suo interminabile vagabondare per i mari, il «Lucia» ha portato sale da Trapani a Boston (Nord America), legna a Rosario di Santa Fé (Sud America). Si è poi « spostata in zavorra» cioè a stiva vuota, appesantita solo da pochi sassi e sabbia fino in Australia, passando per il Capo di Buona Speranza. Di qui partenza per Valparaiso e Iquiquc (Cile) con un carico di carbone. Infine con le stive piene di salnitro, l'ultimo tratto per Capo Horn. l'Atlantico fino a Londra. «La vita a bordo — dice ancora Saglietto — non era troppo dura. Mangiavamo carne salata, uova, patate e fagioli e soprattutto gallette, queste ultime a volontà. Quello che ci spezzava le reni era il lavoro di carico e scarico. Doveva essere effettuato dai quindici membri dell'equipaggio e durava dei mesi, sacchi sulle spalle in su ed in giù: • Chiesto giro del mondo per commerci Angelo Saglietto lo compi in due anni. Ebbe la fortuna di non ammalarsi mai e di non perdere alcun compagno in mare. Gli è rimasto nel cuore il ricordo degli Oceani ed un coraggio indomabile. Nell'ottobre scorso ha subito in casa, con la moglie ed un'anziana conoscente, l'assalto di tre rapinatori. «Ou nu ghe n'e — ha detto ai banditi — i pochi dine pigieveli e qndevene fitu» (Oro non ce ne è. prendetevi i pochi soldi c andatevene presto). Ha guardato in faccia il malvivente, che gli puntava la pistola alla tempia, senza tremare. Come non aveva tremato a Capo Horn. Paolo Bertoldi Qm Il comandante Angelo Seghetto con le foto del brigantino che doppiò Capo Horn (Telefoto)