Forse Asti ha vinto la crisi (ma c'è chi sostiene di no)

Forse Asti ha vinto la crisi (ma c'è chi sostiene di no) Indagine sulla struttura industriale cittadina Forse Asti ha vinto la crisi (ma c'è chi sostiene di no) (Dal nostro inviato speciale) Asti, 10 novembre. Alla Ib-mei (motori elettrici, 1800 dipendenti) si lavora a singhiozzo, con metà delle maestranze a turno in Cassa integrazione a 0 ore; orari ridotti anche in alcuni reparti della Way-Assauto, ' "f arhlhortizzatori, 2500 dipendenti, ora controllata dall'americana Itt); licenziamenti «indolori» ( pensionamenti a n 11 c 1 pati, blocco del turnover) ,nelle piccole aziende dell'indotto auto e nell'edilizia. Le cose vanno un po' mèglio alla Saclà (alimenti in scatola) che esce da una lunga crisi con gli organici ridotti. A gonfie vele, invece, la Morando ( macchine é impianti per materizi), lanciatissima sui mercati esteri. Ad Asti, la grande depressione del '75, come pure la timida ripresa del '76. non hanno coinvolto tutte le aziende allo stesso modo. Anche le cigre che misurano la congiuntura sembrano contraddittorie. Nei primi nove mesi di quest'anno la Cassa integrazione è diminuita del 70 per cento rispetto allo stesso periodo del "?5, passando da oltre tre milioni di. ore a circa 970 mila. La disoccupazione, invece, è cresciuta: gli iscritti alle liste di collocamento (che non sono tutti i disoccupati), sono aumentati di 300 unità (più del 10 per cento) da un settembre all'altro. Gli investimenti ristagnano: il rapporto fra impieghi e depositi bancari è del 38,5 per cento (in altre parole, la gran parte dei soldi è congelata nelle casse degli istituti di credito, che ne prestano pochi e a caro presso). In compenso, le esportazioni tirano: quest'anno risultano aumentate del 40 per cento, mentre le importazióni sono cresciute solo del 25. La «bilancia dei pagamenti* di Asti è dunque in attivo, soprattutto, grazie ai suoi apprezzatissimi vini, ma anche per l'impegno di alcune imprese particolarmente dinamiche. Un quadro ricco — come si vede i più di ombre che di luci: «Dopo la breve illusione della ripresa — commenu Sergio Paro, segretario provinciale dalla dal — l'economia dell'Astigiano sta di nuovo andando a picco. L'industria, che OfàL-occupa un terzo t continua ai e non fa n L'agricoltiira]n~ón* di assorbirei questi lavoratori, perché è in crisi e nessuno provvede a rilanciarla su basi più moderne: pensi che oggi un terzo della protrincia è a gerbido, cioè non è coltivata. Cosi si ingrossa solo il terziario e soprattutto l'esercito dei pensionati: sene contano ben 70 mila, ma la cifra eiriéontinuo aumenta». . ■ " Pessimismo anche all'Unione Industriale. Dice il direttore, Giuseppe Boffano: eli più recente sondaggio da noi effettuato fra gli imprenditori astigiani ha confermato l'aspettativa, già rilevata all'inizio di quest'anno, di una ripresa che stenta ad esplodere. Ma occorre precisare che l'indagine è stata fatta prima della "stretta" creditizia decisa dal governo». Che ripercussioni avranno queste misure, e in particolare la soprattassa del 7 per cento sull'acquisto di valuta? Boffano è cauto. «E' troppo prestò per dirlo. Senza dubbio gli effetti non potranno che essere negativi, ma potrebbero risultare minori di quelli previsti a livello regionale». Perché? I due motori trainanti dell'industria astigiana — spiega Boffano — sono le imprese fornitrici del settore automobilistico e le aziende vinicole. «Per le prime, il risveglio che si nota sul mercato dell'auto, malgrado l'aumento' della benzina, dovrebbe compensare in parte l'azione frenante della stretta: il settore vinicolo, da patte sua, è abbastanza al riparo, perché importa poco ed esporta molto». Comunque, i rischi permangono. «Se l'attuale ripresa — dice ancora il direttore dell'Unione Industriale — fosse troncata sul nascere, le conseguenze sarebbero gravissime, specie sul piano dell'occupazione. Molte aziende non sono ancora uscite dal tunnel della crisi, e non sopporterebbero una ricaduta durante la convalescenza». La stangata di Andreotti colpisce l'industria astigiana in un momento delicato della sua crescita. «La maggior parte delle aziende — spiega Giovanni Bocello, presidente del¬ la Camera di commercio e deilUnioncamere piemontese — sono nate artigiane, a conduzione familiare, e si sono ampliate pezzo per pezzo. Quasi tutte sorgono nel centro della città, e quindi non possono espandersi. Per spostarsi fuori, avrebbero bisogno di miliardi e miliardi. Ma il costo del denaro è troppo alto, e il pacchetto di ordini si restringe sempre più (ora è in media dai 15 giorni al mese, e c'è chi vive alla giornata)». La mancanza di liquidità affligge specialmente chi è cresciuto più in fretta degli altri, o troppo in fretta, indebitandosi fino al collo. E' il caso della Ib-Mei, che nel giro di pochi anni è letteralmente esplosa, diventando la seconda industria di Asti dopo la Way-Assauto. La sua fortuna, e il suo crollo, sono legati al boom degli elettrodomestici (produce motori per lavatrici e frigoriferi). Ai centro, mesi fa, di un'aspra vertenza sindacale (si minacciavano più di ottocento licenziamenti), ora la Ib-Mei ha ottenuto l'applicazione della Cassa integrazione speciale, e attende aiuti governativi per completare la ristrutturazione. «Stiamo diversificando la produzione — spiega Domenico Santoro, direttore del personale —. Abbiamo creato una.nuova fabbrica, la Dc-Servos; produce motori per set voineccanlsmi che ti possono applicare di più sparlati fiordi macchina. Vi abbiamo dislocato cento dipendenti. Il sindacato sta collaborando con noi, ma non riusciamo ancora a superare lo seogìio della mobilità Interna e tinello, grossissimo. dell'assenteismo, che alla tbMei raggiunge punte del 15-20 per cento». - Riccardo Chiabarge

Persone citate: Andreotti, Boffano, Domenico Santoro, Giovanni Bocello, Giuseppe Boffano, Mei, Sergio Paro

Luoghi citati: Asti