Lo "scandalo" del museo dei cimeli che è depredato dai ladri antiquari di Lorenzo Del BocaSandro Barbieri

Lo "scandalo" del museo dei cimeli che è depredato dai ladri antiquari Nel castello di Serravalle Sesia la storia del paese Lo "scandalo" del museo dei cimeli che è depredato dai ladri antiquari Fu messo assieme, pezzo per pezzo, dal parroco don Piola che lo lasciò alla Curia di Vercelli - I serrava (lesi protestarono e la raccolta rimase dov'era, ma chiusa - Sarà ora affidata alla Accademia di cultura? (Nostro servizio particolare) Serravalle Sesia, 3 gennaio. La storia di Serravalle Sesia è raccnittsa in pòche sale ài un castello turrito che, nel bel mezzo del paese, si alza per dominare il grappolo di case del centro storico. Don Florindo Piola, il vecchio parroco della cittadina, valsesiano autentico, innamorato della storia della sua terra, ha messo insieme in anni di ricerche una serie di cimeli rari, di reperti archeologici, di pergamene, di libri di catasto, di utensili che venivano usati nel secolo scorso e che oggi, cambiate le esigenze e le necessitai non vengono più adoperali. All'inizio il parroco ha incontrato qualche difficoltà nel raccogliere tutto quel materiale: la gente del posto era gelosa delle proprie cose e non voleva privarsene. Poi, saputo che quei reperti sarebbero stati esposti in un museo c'è stata quasi una corsa per portare quanto, rovistando nelle soffitte e nei bauli impolverati; sembrava einteressante». Il vecchio parroco voleva costituire un museo in modo che i serravallesi e i turisti potessero ripercorrere, secolo dopo secolo, la storia illustre di un piccolo centro di provincia che, situato all'imbocco della Valsesia, aveva conosciuto momenti di splendore. C'è chi sostiene che Vorigine del comune sia romana e a conferma di questa teorìa cita una serie di lapidi latine ritrovate sulle cottine che circondano il paese. Altri, tuttavia, vogliono che Serravalle sia nato da una tribù ài Longobardi «Arimanni» che si accamparono nella zona di Nauta e popolarono in seguito buona parte del territorio. Di certo, i primi documenti che parlano con sicurezza della cittadina sono datati 999 e sono dell'imperatore Ottone III che riconosce agli Arimanni particolari diritti di caccia e di pesca. Tutto ciò che è accaduto prima di allora, rimane un punto interrogativo, oggetto di dispute vìvaci fra gli storici in continua polemica fra loro. Per don Florindo Piola le diatribe degli studiosi erano un'occasione per invitare nuova gente a Serravalle. :ftTjiri5m9_e^ cultura»_nc£spng andare a braccetto — sosteneva — i villeggianti vengono a visitare questa nostra terra, ricca di passeggiate, di boschi, di incantevoli panorami, Ma possono anche avere modo, magari in una giornata di pioggia, di visitare la raccolta dei reperti che raccontano una storia di duemila anni». Da quando i serravallesi, attaccati in continuazione da bellicosi vicini, costruirono la fortezza e attorno atte capanne eressero un muro di protezione. E da quando, dediti alla pastorizia, all'agricoltura e al commercio, protestarono con il feudatario per le esose tasse che il marchese di Masserano pretendeva. Finché Serravalle fu ceduta al migliore offerente c finì per essere accaparrata per mille scudi da Francesco Salamene di Verceia. Per altri 40 scudi il salomone* ottenne anche la giurisdizione su Vintebbio e Bornate, le due frazioni. Le intenzioni di don Piola restarono però sulla carta: il museo non è mai stato aperto. Quando l'esposizione dei cimeli era quasi pronta per essere visitata, si è incominciato a discutere su chi dovesse gestire il palazzo. Si sono fatte, ricordano in paese, quattro riunioni pubbliche: don Florindo avrebbe voluto lasciare tutto all'amministrazione comunale socialccmunista che però nicchiava. L'Accademia di'cultura «Renato Colombo» di Sandro Barbieri sarebbe stata disposta ad accollarsi la responsabilità della custodia, ma non se ne fece niente e, morto il^ parroco, e letto il suo testamento, si sco¬ prì che aveva lasciato tutto alla curia di Vercelli. «La gente si è inalberata —- spiega Sandro Barbieri, presidente del gruppo Cultura — avevano dato i loro oggetti (e per loro rappresentavano cari ricordi) a patto che rimanessero in Seravalle. Non avevano affatto l'intenzione di regalarli al vescovo e ci fu del malumore». , Sono passati anni: ti museo è Muso, la Curia non ha mandato a ritirare i cimeli ma i locali sono vittima degli assalti di ladri «intenditori» che arrivano addirittura in camion a rubare oggetti d'arte e di valore da rivendere ad antiquari ricettatori. Pur mutilato e impoverito, il. museo permette ancora che sì legga, fra i cimeli, la storia vecchia e nuova di una piccola cittadina di cinquemila abitanti. Ci sono ancora gli incartamenti e i disegni che testimoniano come nel 1580 Antonio Salomone incominciò il commercio -della carta impiantando una rudimentale cartiera: una sorta di mulino a pale che la potenza dell'acqua dei fiume spingeva, faceva girare una ruota sulla quale si arrotolavano i fogli: di patina. Da allora per lavorare nella cartiera arrivavano gli immigrati dalla «Bassa» vercellese che, spinti a lasciare l'agricoltura da tempeste che rovina¬ vano i raccolti, a cercare un impiego più sicuro nelle fabbriche di Serravalle. Per t «mugiun» cittadini del ceppo antico erano invece aperte le porle o alla direzione del complesso cartario (non facevano gli operai) o altrimenti preferivano emigrare. Nelle case (una è stata riscoutruita con meticolosa scrupolosità) restavano le donne con un paio di mucche da accompagnare al pascolo, i ricami da completare al lume di una lampada ad olio. Una storia povera che si intuisce guardando il paiolo che penzola su un camino spento, curiosando nel tavolo e nella madia tarlati e vecchi. Ma è anche una storia gustosa e allegra quando si racconta degli abitanti della frazione Vintebbio (che sono «i nobili», ma con una punta di scherno) o quando si parla di quelli di Bornate, l'aura frazione, come dei «lantarnun», gente capace di organizzare una sommossa popolare, anche violenta, per ottenere dagli amministratori di allora un lampione che illuminasse, dalla piazza, le loro case. Queste testimonianze di storia rimarranno chiuse nel buio détte sale di un castello? Don Pierino Rosmini, il nuo¬ vo parroco, ha la chiave per aprire le porte del museo e accompagna i visitatori che gliene fanno richiesta. «Ma ci vuole qualche cosa di più — polemizza Sandro Barbieri — ci deve essere un custode, un orario, un catalogo preciso, spiegazioni. Qualche cosa però si sta muovendo. Il vescovo di Vercelli, monsignor Albino Mensa ha promesso che darà questi tesori alla nostra associazione culturale e noi gestiremo questo .patrimonio». Le sale del castello potrebbero essere aperte al pubblico addirittura nel giro di pochi mesi. Serravalle potrà così disporre di un suo piccolo archivio di storia. Ottimo veicolo pubblicitario per i turisti e i villeggianti di passaggio, e interessante strumento di conoscenza per gli appassionati e gli esperti di cose antiche. Lorenzo Del Boca Serravalle Sesia. Il parroco don Pietro Rosmini e il presidente dell'Accademia di cultura, Sandro Barbieri (Negri)

Luoghi citati: Castello Di Serravalle, Masserano, Serravalle Sesia, Verceia, Vercelli