Cuoceranno il pane di segale nel forno per aiutare un risveglio della Val Vogna

Cuoceranno il pane di segale nel forno per aiutare un risveglio della Val Vogna Iniziativa del Cai di Borgosesia che è un invito a proseguire Cuoceranno il pane di segale nel forno per aiutare un risveglio della Val Vogna La "festa" si svolgerà a novembre e dovrebbe dare l'inizio al ripristino delle antiche abitudini - La piccola vaile, come altre in Valsesia sta morendo perché gli abitanti se ne vanno - Una crisi che ha origini profóndissime: difficile risolverla (Nostro servizio particolare) Borgosesia, 17 ottobre. Ci sono tanti angoli della Valsesia che agonizzano. Se la situazione viene definita «gravea nei grossi centri turistici, dove il gettito economico è garantito da frotte di villeggianti, le frazioni delle valli collaterali, nascoste nel verde degli enormi frassini, languono: a pochi chilometri in linea d'aria dai grandi alberghi, dalle teleferiche, dalle colonne di auto e di pullman di scultori, la gente è costretta a vivere in condizioni che a mala pena si possono definire umane. I segni di una degradazione sono più evidenti a mano a mano che si sale verso l'alta valle e ci si addentra nelle conche laterali dove non arrivano le macchine: non ci'sono che sentieri sterrati, non c'è luce e riscaldamento; le antenne, coperte dal fianco della montagna, non possono neppure intercettare le onde della televisione. Le radioline a transistor sono l'unico ponte- che lega gli ultimi rimasti in quelle case con il mondo «civile» delle città- Si può ancora tentare qualche intervento per vincere la crisi inarrestabile che da anni investe la montagna - e la sua gente? Una proposta viene dal Cai di Borgosesia: andiamo sugli alpeggi a ricostruire le baite diroccate che sono state le case dei primi abitanti di questa terra; riattiviamo i forni dove si cuoceva il pane: restauriamo i vecchi mulini, le fontane, le piazze, le osterie dove un tempo si svolgeva gran parte della vita di queste popolazioni. Salviamo insomma l'anima autentica di questi piccoli paesi «Certamente la crisi è pesante — dice Ovidio Reiteri, presidente del Soccorso alpino dell'Alta Italia e socio del Cai di Borgosesia — ci siamo resi conto che oc- corre muoversi prima che sia tardi, possiamo fare poca cosa, forse, ma bisogna tentare ugualmente di mettere a fuoco, uno per uno, i problemi cruciali, costringendo poi i politici a intervenire». Le statìstiche sono sconfortanti: parlano, nel loro arido linguaggio fatto di cifre e di numeri, di uno spopolamento impressionante e progressivo che parte dalle valli collaterali che si incuneano come tortuosi budelli net contrafforti del Monte Rosa. Restano i vecchi orgogliosi ma stanchi e sfiduciati nel vedere le loro case abbandonate e le loro famiglie, un tempo patriarcali, ridotte all'osso., E' ancora possibile frenare questa emorragia contìnua di forze vitali, si potranno fare rivivere anche i paesi sperduti nella montagna? I montanari che ancoraabitano le vecchie baite degli alpeggi, aggrappati a mezza costa o assurdamente abbarbicati su dirupi scoscesi, sono pessimisti, dicono che la loro è sempre stata considerata una «zona cenerentola», e, lasciata in bu¬ fino a': ésaurwsi a pòco c poco. Dicono che ormai è troppo tardi per tentare un rilancio con spiani di sviluppo »; dicono, che per loro non ci sarà futuro, che sono destinati a essere uccisi dall'inedia. E' naturale che i giovani abbandonino la valle per scendere al piano e cercarsi una occupazione tranquilla nelle fabbrichette delle città. Lasciano il loro lavoro i Ha di se stessa. ■ è. ^deperita, j boscaioli, vittime della con- , corremo, spietata dei paesi l tropùxili che riescono a esportare navi intere cariche di legno pregiato a un prezzo ancora concorrenziale. 1 pastori della nuova generazione non ne vogliono sapere di vivere come nomadi da. un pascolo all'altro, senza quelle comodità che la vita moderna e il progresso hanno reso indispensabili. Le miniere sono state chiuse per i costi troppo alti che imponeva l'estrazione dei minerali: l'artigianato, ridotto al lumicino, è modesto: limitato a qualche lavoro in ferro battuto o in legno. «Risultato di tutto questo processo — spiega Battista Zani, presidente del Cai Borgosesiano — è che troviamo intere frazioni dove terc.po pulsava la vite deserte. Le us^iize fi disperdono, le istituzioni patriarcali di un tempo che venivano gelosamente custodite ! sono quasi diniftntieate. La j Valsesia si abbruttisce, di- j venta squallida ». « All'alpeggio sull'Oro, a i 1380 metri, sopra Boccioleto, in Val Cavaione — aggiunge Raiteri — abbiamo restaurato una cappella del 1500 che crollava; poi, sempre in Val Cavaione, ci siamo preoccupati di ricost mire la più grossa baita di legno del 1400 sull'Alpe Tetti». Era un edificio fatto a intarsio con legno di cirmolo: il tetto, invece, era stato ricoperto con un lastricato di beote. La vita delle frazioni sperdute sulla montagna gravitava, fino alla fine del secolo scorso, attorno a questa baita. Faceva da municipio quando i capifamiglia si ritrovavano per discutere dei loro piccoli e grossi problemi: si celebravano le noz- ze e i riti, mtreccùindo superstizione alla leggenda. E ci si ritrovava anche per festeggiare le ricorrenze. Lassù, subii alpeggi, vivevano i boscaioli. Nella media Valsesia, invece, la gente si dedicava all'allevamento del bestiame ed all'agricoltura, rubando ogni porzione di terreno coltivabile e le loro case erano costruite diversamente. Erano di dimensioni più ridotte, con le fondamenta in sasso e il tetto a cuspide, ricoperto di paglia per consentire alla neve di scivolare in basso. Oneste baite, battezzate «taragni» oppure «le tende di paglia», si contavano a centinaia nella zona che parte da Ara, frazionerai Grignasco. a Ci- viasco e sul versante tagliato dalla strada della Cremosino: da Valduggia a Soliva a Pogno. « Ci siamo preoccupati anche dei "taragni" — puntualizza Raiteri — accette e martelli alla mano, ne abbiamo rimesso uno a nuovo. Adesso si pensa alla Val Vogna. cerniera naturale fra Riva Valdobbia e l'Aostano». Fino a pochi decenni fa si diceva che « c'era più gen- estate per trascorrere le va: canee nelle frazioni. C'erano soltanto sentieri appena traccurti sul dorso della montagna: le dame con l'ombrellino e le scarpette con il tacco si arrampicavano a fatica: la gente del posto le seguiva con i bagagli portandoli nel gerlo, sulle spalle. Gli-abitanti fino a pochi j decenni fa avevano di che vivere di quel turismo di élite, dei prodotti della ter- fc m y che a Riva ». j^m^o t «cittadini» in ra e del bestiame. Mentre le donne accudivamo gli animali cucendo nei prati lenzuola e tovaglie per U corredo delle figlie, i mariti partivano come operai « stagionali » in Svizzera o in Francia. Facevano i manovali, i gessatoti, i carpentieri, gli scalpellini («i picasass»). Oggi che il turismo è diventato di massa e che dovrebbe quindi assicurare un reddito superiore, in Vogna non ci va più nessuno e le frazioni sono disabitate. Silvio Iacchetti, un ex minatore di 51 anni, ha chiuso l'osteria «Degli amici» perché i figli potessero frequentare le scuole medie a Varallo: riapre la taverna soltanto il sabato e negli otto giorni del ferragosto. Non c'è più l'ufficio postale, l'albergo-pensione «Alpina» dove nel 1898 è stata in vacanza la regina madre è stato abbandonato e sta andando in rovina; un bazar dove la gente del posto andava a fare la spesa non ha più riaperto e per le compere si devono percorrere a piedi dozzine di chilometri. Anche i prati del Maccagno. che permettevano di produrre- la migliore toma della zona, sono in parte abbandonati. Non si attinge più l'acqua dalle fontane pubbliche, non ci si ritrova più nella piazza a spettegolare; i mulini non macinano il grano ed il forno, spento da anni, non cuoce più le forme di pane. «Gino Quaglino e Piero Velata — conclude Ovidio Raiteri, grosso alpinista degli Anni Sessanta, che ha legato il suo nome a una serie di imprese in montagna — restaureranno il forno in vai Vogna e Germano Barbaglia farà di nuovo il pane di segala. E' la nostra ultima iniziativa che affronteremo a novembre ed è un invito a riflettere su un minuscolo problema per cercare di risolverlo insieme. E' dalle piccole cose, siamo convinti, che si deve partire; poi dovrebbe essere più facile allargare il discorso e preparare grossi interventi per salvare la Valsesia. Se non si fermeranno gli abitanti nelle 'oro case, dando loro una ragione di vita, sarà inutile ogni altro tentativo per risolvere una crisi che ha radici profondissime. Per salvare la montagna bisogna prima amarla ed amare la gente che la abita. Lorenzo Del Boca Borgosesia. Ovidio Reiteri, presidente dell'Associazione per il soccorso alpino di tutta l'aita Italia. A destra Battista Zani, presidente del Club alpino di Borgosesia (f. Renato) Val Vogna. Una famiglia che abitava l'alta Valsesia nei primi anni del secolo. Il marito emigrava all'estero in cerca di lavoro; moglie e figli portavano quotidianamente k mucche al pascolo (Dall'archivio di Guglielmo Cazzo di Alagna)