"Freddo, fame e gli amici morti"

"Freddo, fame e gli amici morti" . Centinaia di partigiani si sono ritrovati a Ghiffa nel Verbano "Freddo, fame e gli amici morti" "ragazzi" Con i comandanti Arca e Mario, al Santuario della Trinità, a rivedere i valligiani che li avevano aiutati, sono saliti i che a 18 anni avevano combattuto per la libertà i Tra gli. altri, Aurelia Maccarinelli, madre di Francesco Lubatti proposto per la medaglia d'oro, la contessa Cadorna, Carlo Caracciolo, l'infermiera Maria con il marito e il popolarissimo "Palin" di Scareno (Dal nostro inviato speciale) Ghiffa, 15 settembre. «Il freddo, un gran freddo. Questo soprattutto». Maglione grigio, calzoni cachi, il principe Carlo Caracciolo ha ritrovato a Ghiffa i suoi diciott'anni e quelli dei giovani che, come lui, scelsero di combàttere dalla parte dei pochi. Freddo, fame e il ricordo degli amici morti. ' Per il raduno della divisione «Mario Flaim» al santuario di Ghiffa, nel cuore della zona dove cinquecento «banditi» (come li chiamò in un manifesto il comandante fascista generale Mischi) dall'll al 24 giugno 1944 erano stati «rastrellati» da 17 mila tede¬ schi e fascisti, sono convenuti centinaia di superstiti, fazzoletti rossi o verdi al cotto. Trent'anni fa erano stati i protagonisti detta Resistenza che però, come ha detto polemicamente il comandante Arca «nel recente sceneggiato televisivo, che ne dà un'immagine grottesca, si ' ritrovano soltanto nella canzone di sottofondo». Oggi quei ragazzi si riconoscono a mala pena tra loro: sono cresciuti. La vita rimettendoli «in borghese», li ha trasformati e allontanati l'uno dall'altro chi qua, chi là, chi all'estero. Arca (Armando Calzavara), che vive,a Roma, si è dedica¬ to al mondo del petrolio e ne parla malvolentieri. Forse vuole conservare intatta, anche di fronte a se stesso, la leggenda del capo ventiquattrenne che con un pugno di ferro guidò i suoi uomini in imprese disperate e riuscì, lui trevigiano, a legarsi per sempre al Verbano con una storia d'amore, sposando Gloria Tranquttlini, la figlia del dentista di Intra che aveva liberata con un assalto al carcere. Capitan Mario (Mario Muneghtna), il numero due. il commissario comunista generoso e pieno di fegato, dopo la Resistenza ha dovuto affrontare una vita sempre più difficile. Prima tecnico della Innocenti, ora a 75 anni, con una «bottega stia» deve prepararsi a fallire perché gli manca poco più di un milione e mezzo e non trova nessuno che gli dia una mano. A Ghiffa c'era anche Maria Peron, l'infermiera, polo di attrazione ora come allora quando il suo «regno» era Cicogna dove aveva impuntato in una baita l'ospedale da campo in cui curava, operava (senza anestesia, togliendo le pallottole con le dita), confortava e rappezzava lutti i feriti che riusciva a raccogliere. Con lei Laurenti Giapparizze. il partigiano di Tiflis che la sposò e rimase a Intra a fare il meccanico e molti suoi «pai- zienti»: Sergio Sampini che, dopò avergli tolto due pallottole dal rene tenne nascosto per ventisette giorni sotto un sasso coperto di pezzi di legno, affidandolo alle cure di un boscaiolo che avrebbe dovuto seppellirlo (i partigiani avevano già fatto colletta dandogli anche mille lire per i funerali): Sergio Manzocchi, imprenditore a Milano a cui ha ricucito la testa trafitta da una scheggia usando i fili di un maglione mentre tutti attorno con le torce accese cantavano il «requiem»; Eugenio Busalini (Patris) a cui ha raschiato un piede congelato, evitando che si dovesse amputarglielo, e che ora ha una bottega di commestibili a Zoveratto; Emilio Dagnoni (Barba), vigile, urbano a Milano; Maio Mauri (Manetta) orefice a Bresso. A interrogarli uno per uno, quei cinquantenni che la pioggia costringeva a pigiarsi sotto il porticato del santuario, era come ripercorrere in pellegrinaggio la mappa diurna guerra che è ancora in gran parte da raccontare. .Nino Chiovini (Peppo). «Comandavo la volante Cucciolo che fu distrutta nei boschi di Traregò il 25 febbraio del 1945. Come accadde? A un certo momento ci. accorgemmo di essere attorniati dai fascisti, ma eravamo allo scoperto, nella neve, tra alberi spogli. Scesero verso sera, erano dappertutto. Abbiamo cercato di sfondare, ma di nove ci siamo salvati in due, "Carniccio" Castigliom' ed io, che mi ero gettato dentro un fosso e rimasi in acqua un'ora e mezzo». Giuseppe Fogni di Collegno ha perso i genitori e quattro sorelle in un bombardamento: non si è più mosso dal Verbano e ha fatto carriera amministrativa nel Comune di Verbania. Carlo Suzzi (Carletto* il 20 giugno '44 si salvò benché ferito da tre colpi dall'assèdio di Fondotoce perché un altro fucilato gli cadde addosso. Gianfranco Pozzi, tassista, via Gigante 5, Milano, cerea chi ha combattuto con lui all'alpe Velina e ricorda quando, attaccati dalle Brigate Nere, dovettero abvuiiuùtìare il mitra- toguenaogtt però l'otturatore" L'artigiano Augusto Montagna- (Cip) è un decano della Flaim, in cui entrò agii inizi, nel' marzo< del '44. quando nacque, all'alpe Pala, dalla fusione detta Valgrande martire e detta Cesare Battisti. Nino Sacchi nel giugno del] '44 era a ponte Cadetto, tra Intra e Cicogna, la «portineria» della Valgrande. Toccò a lui, con Tino Borroni e Paglioni, far saltare le mine per ritardare l'avanzata del nemico. Fogliano rimase ferito e se lo portò a spalle sino a Cicogna. Gianni Materna consigliere provinciale di Novara, rivendica il merito di avere, per primo, il 27-ottobre del '43, «alleggerito del fucile» un ] gappista a Verbania. I Stefano Priano, operaio a j Trobaso ricorda come se fosse ieri: «La mamma era in carcere perché tutti nella nostra famiglia sono comunisti arrabbiati. La Decima Mas venne a casa e prelevò mia sorella'che aveva 16 anni. Io ne avevo 11, le corsi dietro, aggrappandomi con le mani al camion per trattenerlo e impedire che ma la portassero via. Non volevo rimanere solo». Il padre Nicola era con i partigiani nell'entry crrra nonostante i suoi -19 anni e Arca diceva di lui c.se ne avessi quattro o cinque come il Nicola, manderei a casa tutti gli altri». A Griffa si sono ritrovati il vicepresidente del Senato Al bertini, ex deportato di Mauthasen, la contessa Cecilia Cadorna vedova del generale Raffaele, il sindaco di Verbania ingegner Imperiali, il presidente dell'Anpi di Trento avvocato Lamberto Ravagni. Vittorio Arietti per il Veneto, l'avvocato Michele Mosca di Milano, Lindo Manera presidente dei partigiani della Valdossola, Carlo Gigli che con «Annamaria» di Miazzina (morta) scriveva il giornale della Flaim, il «Monte Maronanstampato clandestinamente a Intra nella tipografia Ai- roldi, Ermanno Villa di Cotogno, Giuseppe De Lorenzi presidente della Popolare di Intra, Giulio Lavarini comandante della Abrami, don Aurelio Gastaldi parroco di Esio, i cori di Macugnaga e della Valgrande diretto da Enrico Jori di Premosello. Accoglieva i «ritornali» il medico scultore Piero Berrà, ex sindaco di Griffa che, con Dante Bussi e Giuseppe Fogni, detto Giorgio, ha organizzato il convegno. A salutarli è accorsa la gente del posto, quella che li aveva aiutati ospitandoli, sfamandoli, avvertendoli del pericolo: la contessa Ester Bonacossa che della sua villa di Pallanza aveva fatto un punto di ritrovo; Ama Clerici venuta con la figlia Ginevra Grandi a riconoscere quei partigiani che andavano e venivano nella sua casa di Premeno quando lei aveva 13 armi e il Palin, Paolo Zucchi di Scareno, che con Maria Mazza di Cursolo. sono forse i pili popolari dei valligiani «senza i quali, come ha detto Muneghina, la Resistenza sarebbe state impossibile. Si sono ritrovati, hanno rinnovato l'impegno di amicizia e di difesa dei valori comuni. Hanno ricordato i morti, tanti, tra cui il capitano Nemo, Franco Spinelli, comandante della Valgrande. Amelia Maccarinelli, madre di Francesco Lubatti caduto a Trarego e proposto per Ut medaglia d'oro racconta: «Aveva 19 anni quando volle andare nella Beltrami e poi nella Cesare Battisti, n 25 febbraio del '45 qualcuno disse a mia figlia Giuliana che lavorava in banca: la Volante è partita, non si sa che fine ha fatto. Li ritrovammo, sette più due civili, al cimitero, già ricomposti dalle suore perché li avevano riempiti di pallottole, 438 pallottole, e poi seviziati. La popolazione che i fascisti della Confinaria e delle brigate nere aveva costretto a portare le munizioni racconto poi che Francesco, ferito era stato esortato a fuggire. «Non posso fuggire, aveva detto, ci sono i morti, datemi un mitra». Poi le ultime parole: Vigliacchi, smettetela di sparare, qui siamo tutti morti». Lo finbynoa cgggjg fucile inte- «JM questi ricordi— dice la madre — si impura a non piangere, più. ma guarire, non si guarisce mai». Vittoria Sincero Ghiffa. Al raduno della divisione Flaim. Amelia Maccarinelli, madre di Francesco Lubatti , uno dei caduti proposto per la medaglia d'oro, e la figlia Giuliana.Martinaz. Accanto: l'abbraccio tra il commissario Muneghina e U comandante Arca Ghiffa. tenente a Maria tra i suoi ex «pazienti». delle famiglie valligiane che aprirono A destra: il principe Carlo Caracciolo con Anna Clerici apparle loro case ai partigiani (Foto "La Stampa" - Cesare Bosio)