"La Repubblica dell'Ossola non era nata per un miracolo,, di Corrado Bonfantini

"La Repubblica dell'Ossola non era nata per un miracolo,, Ancora polemiche sullo sceneggiato televisivo "La Repubblica dell'Ossola non era nata per un miracolo,, Nel dibattito seguito a "Quaranta giorni di libertà" interviene l'on. Corrado Bonfantini, ex comandante delle brigate Matteotti - Convegno promosso dal "club Turati" (Dal nostro corrispondente) Novara, 8 febbraio. .4 due mesi di distanza dalla sua diffusione lo sceneggiato televisivo «Quaranta giorni di libertà» continua a suscitare polemiche. Hanno detto la loro ex comandanti partigiani, uomini politici, testimoni che vissero l'epopea della Repubblica ossolana. Prese di posizioni sono venute da un po' tutte le parti. Sullo sceneggiato c'è stato un dibattito a Milano e un altro è in programma, promosso dal «Club Turati», a Novara. Una parola chiara la dovrebbe dire l'onorevole Corrado Bonfantini che anticipa, in questo servizio, il suo pensiero. ■ «Conosco a fondo — dice — il lungo lavoro preparatorio che ha reso possibile la nascita deUa Repubblica dell'Ossola per i miei continui viaggi in questa valle e per l'amicizia che mi legava ad Alfredo Di Dio e a Dionigi Superti e posso dire francamente che a loro va principalmente il merito della nascita della Repubblica della quale ho seguito le vicende essendo stato ambasciatore volante del comando unico militare del C.Vì.». «Ho letto le critiche suscitate dal lavoro televisivo e debbo osservare — dichiara Bonfantini — pur senza vole- te fare il difensore d'ufficio che i "contestatori" non hanno tenuto conto di un fatto essenziale. Lo sceneggiato non voleva essere un documentario strettamente storico, ma una rievocazione poetica della pagina certamente più interessante e brillante della nostra Resistenza. Naturalmente, con i limiti propri di questo genere cinematografico. Il filmato intendeva essere educativo e formativo più che strettamente informativo nel senso che si è voluto mettere in evidenza il valore politico, quelU civiU e morali della democrazia antifascista». Lo stesso ex comandante delle brigate Matteotti, ammette tuttavia che l'informazione avrebbe potuto essere più ampia e più aderente alla minuta realtà dei fatti. Ciò si poteva ottenere almeno attraverso il cosiddetto «parlato», in modo che il pubblico, e in particolare i giovani si rendessero conto che la Repubblica di Domodossola non era sorta quasi per miracolo, ma era stata U frutto di un lungo e sanguinoso travaglio durato un anno intero. Anche Bonfantini conviene che la figura di Ettore Tibaldi è stata realizzata in maniera infelice: «Xi nostro presidente era un uomo vivace, dinamico e direi anche autoritario, mentre nello sceneggiato appare come un ometto modesto e rassegnato. Tuttavia, a me pare che molte critiche siano eccessive e non pertinenti anche se giustificate dalla passione dei ricordi di coloro che hanno veramente e duramente combattuto». Bonfantini contesta per esempio le critiche relative al disarmo dei tedeschi. «Senza volere sollevare nuove polemiche — afferma — mi sembra eoe quanto detto in proposito è piuttosto ardito. Dire per esempio che la resa è stata regalata a condizioni di favore per timore che arrivassero i garibaldini, non è solo parto di fantasia, ma è arrecare offesa alla memoria di Superti e di Di Dio. Dire poi che si sono lasciati partire i tedeschi per Gravellona con le armi individuali anziché disarmarli, è calunnioso come afferma mio fratello Mario, membro della giunta di governo, sul periodico "ResistenzaTtmta" del-gennaio di quest'anno, in una testimonianza sin qui incontestata e, credo, incontestabile». L'ex comandante delle brigate Matteotti ha qualche cosa da rettificare anche a proposito della battaglia di Gra vellona Toce. «Secondo taluni i partigiani garibaldini e della "Beltrami" avrebbero potuto vincere se da Domodossola fossero giunti rinforzi. Posso testimoniare — dice con calore — che Superti e Di Dio furono avvertiti con troppo ritardo quando già era stato sferrato l'attacco. Tuttavia venne subito inviato un consistente reparto agli ordini del capitano Ferrano che fece tutto il possibile per alleggerire la pressione nazifascista. Debbo aggiungere ancora che l'attacco a GraveUona fu poi giudicato da molti piuttosto avventato». Bonfantini ha ancora qualche cosa da dire sull'aiuto alleato: «Mi incontrai una sola volta con l'inglese Mac Caffery e in due occasioni, a Berna, con l'americano Alien Dulles. Entrambi si occupavano dei movimenti di liberazione. Posso affermare di avere avuto da Dulles affidamenti e grandi promesse che ci illusero di potere resistere a lungo, nell'Ossola, se non di creare una vera e propria testa di ponte. Quanto alle ragioni di quello che potrebbe essere definito il tradimento da parte degli alleati, non sono state mai chiare. E' mia convinzione, condivisa da molti dei protagonisti della nostra "grande avventura", che sulla decisione anglo-americana lin segreto accordo con casa Savoia?) abbia influito il carattere troppo popolare e progressista della Repubblica dell'Ossola, ia sua ispirazione nettamente socialista». Piero Barbe Novara. Corrado Bonfantini