"Sizzano, il mio dolce paese dove le patate sono tartufli"

"Sizzano, il mio dolce paese dove le patate sono tartufli" Riscoprendo il dialetto, il romanzo di una gente "Sizzano, il mio dolce paese dove le patate sono tartufli" Una giovane "emigrata" a Firenze ha scritto un'affascinante tesi di laurea per contribuire al salvataggio del vernacolo, legato al folclore e alle tradizioni locali - Il volume, donato al sindaco, potrebbe dare l'avvio alla istituzione di una biblioteca (Dai nostro inviato speciale/ Sizzano. 8 agosto. Sizzano non possiede ancora una biblioteca, ma ne ha già il primo volume. Chiuso nei cassetti del municipio c'è un malloppo rilegato in verde di» 524 pagine scritte a macchina da una giovane donna: «La raccolta del lessico riguardante la vita rurale e l'attività agricola degli abitanti di Sizzano». L'autrice, Cesarina Cavanna. abita a Firenze con il marito. Franco Autino. ma è tuttora legata al suo primo amore, il paese dove è nata, Sizzano, un piccolo borgo di contadini lanciato alla conquista dei mercati del vino che non troverà forse mai il suo Pavese. Il libro, messo insieme pazientemente pagina dopo pagina come un mosaico, traducendo in segni grafici lunghe conversazioni in dialetto con la gente incontrata per strada, nei campi, nei vigneti, è il romanzo di Sizzano: la storia semplice e affascinante dei suoi vecchi che non hanno scordato il dialetto e lo adoperano in ogni momento come mezzo di espressione e di dialogo con il prossimo. Spiega la Cavanna: «Fino tz quando a Sizzano si troverà ancora qualcuno che del vernacolo faccia il suo vanto, lo strumento per far capire agli altri che le sue origini sono lì. in quella terra generosa di vini e di piccoli imprenditori coraggiosi. Sizzano sarà un paese vivo e degno di essere conosciuto». Ma fino a quando? Il libro comincia con un aneddoto significativo attribuito al Rusconi, il primo studioso dei dialetti novaresi. Scrivendo a un amico per sollecitare una versione dialettale della parabola del figliol prodigo (siamo nel i 1878) ne ebbe questa rispo- j sta: «Che vuoi? Per mandarti cosa più genuina cerco la j pretta frase sulle labbra dei miei contadini, ma i miei > contadini, dopo l'invenzione ì del maestro comunale, non j sanno più parlare la loro Un- j gua ». ; «Il patrimonio linguistico di piccoli paesi come Sizzano va perdendosi — commenta amaramente l'autrice —. Tra qualche anno si potranno forse contare sulla punta delle dita quelli che chiameranno ancora le patate tartufli». Per questo, arrivata alla trentina e allevata una figlia, la signora Cavanna si è dedicata a compilare una tesi di laurea (il ponderoso volume di cui parliamo) che contribuisse al salvataggio di quella, che essa considera una lingua preziosa, armoniosa e patetica come una vecchia canzone. La tesi, discussa all'Università di Firenze (relatore la professoressa Giacomelli), ha suscitato vivo interesse ed è stata segnalata anche dal presidente dell'Accademia della Crusca, prof. Nencioni. Nella grigia materia che tratta (imo dei dialetti più ostici del Novarese, impastato di Piemonte e Lombardia) offre tuttavia l'occasione di piacevoli immagini da Amarcord. I contadini che un tempo, quando non c'era acetificio, distilleria e scatolificio, né i cotonifici a Ghemme e a Fara, dopo la vendemmia si recavano nella Bassa o «sul Piemunt» (che era al di là del Sesia perché i sizzanesi si sono sempre considerati più lombardi che piemontesi) a tagliar riso a Lenta, Ghislarengo, Rovasenda o Arborio. lì faticoso rito dell'impianto di un nuovo vigneto, dalle barbatelle innaffiate nella stalla dentro un cassone pieno di segatura, alla raccolta. La sfogliatura del grano- turco sotto il portico con i più piecoli che fanno capriole e giochi di equilibrio sulle pannocchie. La carica del fieno sui carri, «operazione che non tutti sono capaci di fare». Le bambine che. dopo la scuola, conducono al pascolo le schiere di oche alla roggia perché le piume che serviranno per il loro corredo di sposa si mantengano candide e lustre e lo sconcertante pinot che raccoglie le piume vecchie, accorrendo, sacco in spaila, quasi corvo che senta la puzza, non appena qualcuno è morto per comprarne j «il letto» e fame carta e cappelli. E c'è Sizzano d'inverno, quando per i ragazzi il maggior divertimento è fè Vom. fare l'uomo, cioè lasciarsi cadere a braccia aperte nella neve per lasciare l'impronta: Sizzano d'aprile, quando comincia a cantare il kukuk. il cuccio, e si possono buttar via le scarpe e camminare a piedi nudi e in piazza si comprano (quella sola volta nell'anno) le oche: Sizzano con la nebbia, di rado, solo quando quelli di Novara hanno lasciato la porta aperta e 7 nabion l'è riva fin qui e l'estate, durante il temporale; quando, in assenza dell'arciprete che benedica, la massaia mette in mezzo al cortile molla e paletta' del I fuoco a forma di croce e ! brucia un ramo d'olivo. < Come in una lanterna maj gica, scorrono nel libro le I scenette di vita familiare: la { festa in famiglia illustrata ! da un ritornello dialettale: : quale è il giorno più bello? i E' quello in cui mio padre ; ammazza il porcello (anche se in genere l'incombenza è : affidata all'apposito mazui lar. il macellatore): i giochi dei più piccini con le formichine, la mariamaiola (la coccinella) b quelli crudeli delle libellule con le ali mozzate che «fanno la polenta» in un buco scavato per terra, e del grin che. al ritmo di una filastrocca, deve lasciare una goccia nella mano del bimbo, se no, gli vengono, strappate ad una ad una le zampe; il bel matrimonio in cui non mancano né roba nè soit (né mezzi né quattrini), che ta spettegolare le donne sedute sui kadrigin (sediolirie) nei portoni delle case. Completano il libro cenni storici, i pochi rimasti dopo l'incendio degli archivi, un glossario gustosamente illustrato, un panorama grammaticale e una ricca bibliografia. Se l'esempio della sizzanese innamorata della sua terra fosse seguito da altri comuni, il Novarese potrebbe contare su una suggestiva storia del suo folclore. Ma, come abbiamo detto, 0 «romanzo» è. per ora inedito, chiuso dal sindaco in un cassetto del municipio che. oltretutto, è pericolante. E i cento dialetti novaresi si impoveriscono di giorno ih giorno. Vittoria Sincero j I!<jI{!:i; Cesarina Cavanna, la studiosa del dialetto sizzanesc