Due anni alla ragazza che ha ucciso la bambina che aveva dato alla luce

Due anni alla ragazza che ha ucciso la bambina che aveva dato alla luce Alla corte d'assise di Novara rievocata una penosa vicenda familiare Due anni alla ragazza che ha ucciso la bambina che aveva dato alla luce La giovane, che viveva nel Sud, era venuta a Gattinara, ospite della sorella, per sfuggire alla "condanna'' del suo paese - Ha affermato di avere perso la testa e i giurati hanno tenuto conto del" clima in cui è maturata la vicenda Rinviato il processo all'orafo di Arona accusato di bancarotta (Nostro servizio particolare) Novara, 5 giugno. Teresa Fejago. 21 anni, la giovane che il 25 maggio del 1971 (quando aveva appena 19 anni) fece morire la sua bambina lasciandola cadere nella «tazza» del gabinetto, a casa della sorella a Gattinara, è stata riconosciuta colpevole e condannata dalla corte d'assise di Novara a due anni di reclusione. Anche in questo episodio ci troviamo di fronte al caso di una ragazza meridionale (la Pelago è di Casaluce in provincia di Caserta che lasciò il paese quando si accorse di essere in stato interessante. Al giudice istruttore dirà più tardi: «Avevo conosciuto un ragazzo di 17 anni con il quale mi sono "accompagnata" due o tre volte. Appena mi sono accorta del mio stato l'ho invitato a rimediare, ma non aveva per nulla intenzione di sposarmi». La ragazza per evitare la dura legge del Sud nel confronti delle ragazze madri ha raggiunto la sorella che abitava a Gattinara in corso Valsesia 41, ma non ha detto a nessuno che aspettava un bambino. L'episodip che ha portato la giovane in corte d'assise avvenne il 24 maggio nello spazio di qualche ora. «Non credevo che fosse giunto il momento di partorire — ha detto stamane ai giudici — perché il medico aveva detto dia mancavano ancora due mesi Quella mattina sentii acuti dolori al ventre e chiesi a mia sorella di restare a letto. Poi i dolori aumentarono e verso le 10 andai al gabinetto. Gntcatdo^mi-attor si^dl quettò che stava accadendo, era ormai troppo tardi. Partorii improvvisamente e il corpicino mi sfuggi di mano cadendo nella "tazza". Ho perso la te- o a è o o e o a a sta e non ho più saputo cosa fare». - ■ jii > . Colta da emorragia, la giované'fu ricoverata all'ospedale e tutto venne alla luce. Il cadaverino .tu trovato nel sifone del gabinetto e per liberarlo si dovette rompere il pavimento. Di qui l'accusa di infanticidio e soppressióne di cadavere. Stamane l'imputata ha ripetuto la sua prima deposizione anche se il presidente dottor Caroselli ha cercato di farle comprendere che il corpicino non poteva essere scivolato, perché presentava evidenti lesioni di schiacciamento. Sono poi stati ascoltati alcuni testi: la sorella Caterina e la cugina Angelina. Hanno confermato di non aver mai sospettato che la parente fosse in stato interessante. Il presidente ha dato lettura della perizia che stabiliva che il parto era stato a termine e che la neonata pesava più di due chilogrammi e mezzo ed era nata viva. Il p.m., dottor Carruba, ha inquadrato la vicenda nel particolare clima familiare della ragazza, costretta a venire nel Nord per evitare l'umiliazione della sua gente. Ha riconosciuto l'infanticidio per causa d'onore e il momento di trauma psichico e fisico della ragazza. Per questo ha chiesto l'assoluzione piena in merito alla tentata soppressione e la condanna a 2 anni e 10 mesi per il reato più grave. Il difensore, avvocato Galante di Vercelli, ricalcando la tesi della pubblica accusa, ha chiesto la derubricazione di omicidio colposo in quanto tutta l'azione anche al dibattimento non era stata chiarita. La corte, dopo 45 minuti di camera di consiglio, ha emesso la sentenza di condanna, per infanticidio, con le attenuanti generiche, a due anni, assolvendo la donna dall'altro reato perché il fatto non sussiste. 1.1. a o i Verbania, 5 giugno. (a. e.) Si è iniziato oggi il processo contro l'orefice Guido Porta, 47 anni, residente con la famiglia ad Arona, già titolare della ditta «Carlo Porta», una fabbrica di oreficeria, avviata dal padre mor to nel '58 accusato di bancarotta fraudolenta e semplice, truffa continuata, emissione di assegni a vuoto e appropriazione indebita. Deve rispondere del solo reato di bancarotta semplice, la moglie. Elisabette Bianche, 40 anni, che figurava titolare della Sa.s. Raphael, società fallita, con sede a Milano. La donna non s'è presentata, affidando il certificato medico al suo difensore; ma i giudici, ritenuta l'infermità denunciata non tale da impedire la sua pdcvedpqdlptisqsdAlpddfnsbhcdp presenza, ha deciso di procedere contro di lei in contumacia. j.^p». ... Guidò Porta appare disinvolto e sicura di sé; esaurientemente alle 'domande e alle contestazioni del presidente. Afferma, per quanto riguarda l'emissione degli assegni a vuoto, di averli pagati quasi tutti dopo 1 protesti, e che altri erano stati depositati presso le banche solo come garanzia. Appare meno baldanzoso quando gli vengono chieste spiegazioni plausibili sui dodici chili d'oro che lo svizzero Armin gli aveva affidato per la lavorazione e ammette, a precisa domanda del giudice, di non poter produrre il libro di carico e scarico. «Cera, ma non s o dove sia finito, afferma, io comunque non l'ho distrutto; l'avevo lasciato in ufficio. Bisognerebbe chiederlo al curatore. Anche le fatture le avevo. Non ho conservato invece lettere, corrispondenza, telegrammi Comunque non ho nascosto, disperso o distrutto nulla che riguardi l'azienda». Anche quando si parla del passivo, l'imputato mostra qualche incertezza. Sembra che il passivo reale delle due società, la Cariò Porta, di cui era diretto titolare, e la Raphael, della quale ammette che la moglie fosse soltanto una prestanome, si aggiri a conti tatti sui 600.milioni e non sugii 800, quali erano apparsi inizialmente. Giustifica anche le difficoltà incontrate e i conseguenti debiti con le banche adducendo la necessità insorta nel 1967 di spartire con le sorelle le quote dell'azienda paterna di cui era divenuto unico proprietario. «Ho sempre pagato tutto fino al 15 aprile 1970» insiste Guido Porta e' aggiunge che 0 fallimento lo colse proprio quando aveva intenzione di creare una società con la partecipazione di orafi elvetici, iniziativa che avrebbe aloontanato ogni difficoltà. Comincia poi la lunga-sfilata dei testi, i quali mettono in difficoltà l'orafo di Arona. Tra l'altro, si scopre che il Porta sarebbe anche debitore di un milione di franchi svizzeri a un istituto bancario elvetico, prestito del quale pare non esista carteggio. Il tribunale, dopo una permanenza di oltre un'ora in camera di consiglio, respinte tutte le richieste del difensore, rinvia il proseguimento del dibattimento alle 15,30 di venerdì 8. Teresa Pelago

Persone citate: Carlo Porta, Caroselli, Carruba