Cassazione: sentenze confermate per i blocchi stradali di Verbania
Cassazione: sentenze confermate per i blocchi stradali di Verbania Ritenuta valida a Roma la tesi del procuratore generale Cassazione: sentenze confermate per i blocchi stradali di Verbania Ventitré condanne da 5 a 9 mesi e venturi assoluzioni per insufficienza di prove - Gli episodi all'origine della vicenda giudiziaria accaddero nel settembre e ottobre del 1970, durante la lunga vertenza sindacale alla Rhodiatoce (Nostro servizio particolare) Roma, 11 ottobre. La Cassazione ha confermao la sentenza pronunciata nell'ottobre dello scorso anno per gli incidenti avvenuti a Verbania di cui furono protagonisti gli operai e i sindacalisti della Rhodiatoce: ventitré condanne da 5 a 9 mesi e venuno assoluzioni per insufficienza di prove. I giudici dela corte suprema, in sostanza, hanno ritenuta valida la tesi sostenuta dal procuratore generale e respinta quella della difesa per cui tutti gli imputati avrebbero dovuto essere prosciolti per avere esercitato un proprio diritto. Gli episodi che hanno dato orgine alla vicenda giudiziaria, che'si è conclusa oggi pomeriggio, sono accaduti nel settembre e nell'ottobre del 1970 a Verbania durante le manifestazioni per la lunga vertenza sindacale negli stabilimenti della Rhodiatoce. In quell'occasione furono organizzati numerosi blocchi stradali e ferroviari (tra l'altro venne impedito anche il passaggio di due treni internazionali) e venne impedito l'accesso all'imbarcadero di Intra. La denuncia dei carabinieri colpì 47 operai e sindacalisti che furono rinviati a giudizio per quattro reati: blocco ferroviario, blocco stradale, interruzione di pubblici servizi, manifestazioni uon autorizzate. Il tribunale di Verbania (24 aprile 1971), prosciolse tutti. I giudici ritennero che «gli operai non erano punibili perché avevano agito nell'erronea supposizione di esercitare un diritto». Questa conclusione venne giustificata con il fatto che gli imputati potevano avere equivocato sui loro doveri perché in precedenza protagonisti di ep iso- drstcpppstcadcldi analoghi a quelli avvenuti a Verbania non avevano dato origine a procedimenti penali. «Inoltre — spiegarono i magistrati del tribunale — la mancata regolamentazione dei confini dello sciopero ed il contegno permissivo tenuto in precedenza dalle autorità potevano avere determinato negli scioperanti una falsa rappresentazione della realtà e con essa la convinzione che si potesse verificare un impedimento obiettivo della circo lozione nell'attuazione dinamica e spesso incontrollata dei diritto di sciopero. Un errore sul fatto, quindi. Connesso all'articolo 40 della Costituzione che riconosce a tutti i cittadini il diritto di sciopero pur senza fissarne i Umili». Procura della Repubblica e procura generale di Torino protestarono contro questa sentenza e i giudici della corte d'appello (22 ottobre 1971) condannarono 23 operai, ne assolsero 21 per insufficienza di prove e 3 per non avere commesso il fatto. In particolare condannarono a 5 mesi e 10 giorni Giancarlo Tartaro, Ruggero Del Mastro, Lucio Ferrara, Adriano Ceretti, Sebastiano Russo, Giovanna Albert ini, Gianni Fasolo, Gian Maria Ottolini. Danilo Ghiaini, Attilio Conterno, Silvano Silvani. Attilio Allioli e Settimo Rampazzo; a 6 mesi Carlo Alberganti, Orazio Burgoni, Sergio Silvestri ed Amelia Martini; a 6 mesi e 10 giorni Antonio Fellini e Giacomo Buffoni; a 6 mesi e 20 giorni Bruno Ormella e Giuseppe Buffoni; a 7 mesi Antonio Lo Nigro; a 9 mesi Riccardo Forte. Ricorso in Cassazione dei condannati e di coloro che sono stati prosciolti per insufficienze di prove. La Corte suprema in parte ha respinto in parte ha dichiarato inammissibili i 44 ricorsi confermando in pratica l'argomentazione della Corte d'appello di Torino per cui gli imputati ritenuti colpevoli meritano le attenuanti per avere agito per motivi di particolare valore morale e sociale perché gli operai e i sindacalisti furono indotti a manifestare per strada non soltanto per ragioni economiche ma anche per quelle sociali: nennonché non per questo possono godere della impunità. «Non è dato assolutamente desumere — dissero a suo tèmpo i giudici della corte d'appello di Torino — dall'articolo 40 della Costituzione, anche ricorrendo alla migliore interpretazione evolutiva. che agli scioperanti sia data licenza, nell'esercizio del diritto di sciopero, di commettere blocchi stradali o altri tipi di reato. Né il fatto che non siano state ancora emanate le norme per regolamentare questo diritto può portare a diverse conclusioni poiché ammesso che il diritto di sciopero venga finalmente disciplinato in ossequio al dettato costituzionale, non è neppure pensabile che il legislatore ordinario possa consentire che per l'attuazione di uno sciopero vengano commessi fatti costituenti reato». Questa mattina, il p.g. dottor Francesco De Santis nel chiedere alla Cassazione la conferma della sentenza di Torino ha osservato che gli imputati non possono sostenere di avere creduto d'esercitare un proprio diritto perché esiste una norma del codice penale per cui «nessuno può invocare a propria scusa la ignoranza della legge penale». S-S-
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