E' vera la matematica? Non importa basta che sia coerente

E' vera la matematica? Non importa basta che sia coerente I numeri e la filosofia E' vera la matematica? Non importa basta che sia coerente MENTRE qui da noi cominciano timidamente a circolare i nomi, e talvolta anche gli scritti, di certi grandi filosofi di lingua inglese della generazione «senior», come Willard V.O. Quine. Nelson Goodman. Hilary Pùtnam. Michael.Dummet, Patrick Suppes e Saul Kripke, negli Stati Uniti hanno già varcato la soglia delta «maturità» accademica alcuni loro giovani e brillanti allievi. Tra questi «nuovissimi» spiccano ad esempio Ned Block al Massachusetts Institute of Tecnology, Daniel Dennett all'università di Boston, Richard Boyd alla Cornell University e Hartry H. Pield all'università della California del Sud. Un altro giovane leone. Gareth Evans dello University College di Londra, è stato tragicamente stroncato da un male incurabile alcuni mesi orsono: di lui sono" reperibili solo pochi articoli specializzati, non essendo riuscito a terminare un attesissimo libro su logica e filosofia del linguaggio. Si tratta di filosofi che fanno filosofia come i fisici fanno fisica o i biologi biologia, cioè da ricercatori e non da esegeti. Poco riguardo per i «classici» e grande attenzione, invece, al flusso continuo di lavori nuovi, centrati su problemi originali, circoscritti e piuttosto tecnici. Una filosofia finemente ingranata su quanto di meglio si fa in matematica, in logica, in psicologia, in linguistica e in cibernetica. Di Locke. Hume e Kant poco si curano, di Hegel punto. Segno di vitalità. Di Hartry H. Field è appena uscito, per i tipi della casa editrice Blackwell di Oxford, un saggio intitolato La scienza senza i numeri. L'autore lo propone come «un nuovo approccio alla filosofia della matematica». La novità di questo succinto e lucido libro consiste nel trattare un problema sin qui poco, o non abbastanza, studiato: come si può spiegare il successo della matematica applicata alle scienze sperimentali esatte (soprattutto alla scienza regina, cioè la fisica) e alla risoluzione di problemi tecnici? Field si è chiesto se sia legittimo concludere, sulla base di questi successi nelle applicazioni, che la matematica è «vera». In apertura del saggiò, l'autore dichiara di essere «pervenuto a un risultato sorprendente: cioè che non è neces-. sario ritenere vera la matematica per spiegare la sua capacità di applicarsi al mondo fisico, nemmeno là dove essa si lascia applicare in modo molto preciso e complicato. Basta ritenere cìie essa è coerente, o poco più». Cosa sia questo «poco più» non è qui il caso di descrivere, trattandosi di considerazioni assai specialistiche. Né si potrebbe riassumere il decorso degli argomenti, molto convincenti, del Field. Basterà, penso, dare il succo e la conclusione, che sono invece di interesse ben più generale. Come l'accento sulla «coerenza» in matematica sia diverso dall'accento sulla «verità» lo si può spiegare con un paragone un po' bislacco, ma forse chiaro. Una persona con ossessioni persecutorie, dotata di una certa fantasia, si immagina un complotto ordito ai suoi danni, ad esempio per ucciderla. Dotata anche di logica impeccabile essa costruisce uno «scenario» di intrighi, raffinate perversità e invisibili (per noi) trabocchetti. Nessuna prova può servire a dissuaderla, nessun ragionamento a dimostrarle la totale infondatezza della sua mania di persecuzione. Il suo scenario mentale è talmente contorto e, a modo Suo, perfetto, da interpretare ogni dettaglio e ogni frase come una chiara conferma del complotto, della sua potenza e della sua astuta, sottile pericolosità. La teoria del complotto, frutto evidente (ma sempre per noi e solo per noi) della paranoia, è perfettamente «coerente». E' coerente, ma «falsa». Non corrisponde ad alcuna realtà effettiva, cioè alle vere intenzioni di chi sta intorno a quella persona. Si può essere del tutto coerenti anche nell'errore. Coerenza, quindi, non è affatto sinonimo di verità. Vi sono teorie vere e coerenti, teorie coerenti, ma false, come pure teorie in fase di assestamento che sono magari vere, ma non (o non ancora) coerenti. Che dire delle teorie matematiche? Visto, che esse lavorano su enti e proprietà astratti, non «osservabili» nel mondo circostante, è legittimo parlare di una «verità matematica» che sia altra cosa dalla coerenza del ragionamento e delle dimostrazioni? Hartry Field lo nega, ma non è il primo, dietro di lui c'è una lunga tradizione «coerentista» o «assiomatista» o, come si dice in gergo filosofico, «nominalista», che risale addirittura a certe scuole di logica medioevale. Quine, Goodman. Van Fraassen e l'ultihio Russell sono stati «nominalisti» prima del pupillo Hartry Field. A lui si deve, in questo libro, la prima chiara dimostrazione che nemmeno il successo applicativo della matematica può dimostrare che essa è vera. «Questo — aggiunge l'autore — non vuol assolutamente dire clte vi sia qualcosa di sbagliato nella matematica. Vuole dire semplicemente che la matematica non è una di quelle cose che si lasciano pertinentemente valutare in termini di vero e dì falso». Fu Bertrand Russell a definire la matematica come quella scienza nella quale non si sa che cosa si dice, né se quello che si dice è vero. Nei suoi primi scritti Russell era stato convintp e convincente assertore di una diversissima posizione filosofica, chiamata «platonismo». Per un «platonico» la matematica è, non solo coerente o incoerente, ma anche vera o falsa. Le verità matematiche sono tali in quanto, secondo un platonico, esse corrispondono alle vere proprietà degli oggetti matematici. Gruppi insiemi, spazi, figure ed equazioni «esistono» in sé. in un mondo astratto, eppure realissimo (sempre secondo un filosofo platonico). Si parte con la mente alla «scoperta» delle verità matematiche, cosi come'si parte con il corpo alla scoperta di un continente, o di un passaggio a nord-ovest. Se si scopre qualcosa in matematica, lo si scopre perché c'è. Se si arriva a dimostrare una legge è perché questa legge è oggettivamente valida nel mondo degli enti matematici. Russell in seguito, anche a causa di certe sue discussioni con Ludwig Wittgenstein, divenne nominalista. Oggi i platonici in matematica si contano sulle dita, ma ve ne sono e alcuni sono di primissimo ordine, per esempio il grande algebrista e topologo francese René Thom. Hartry Field difende un sistema radicalmente nominalista. Se io devo, di norma, scaldare il ferro al calor rosso per dargli una forma, la forma è poi una proprietà del ferro, non del calore. Cosi, sostiene Field, se io devo, di norma, sottoporre una teoria fisica al tribunale dei fatti servendomi di formule ed equazioni, il suo essere vera o falsa è una proprietà della teoria stessa, non delle formule e delle equazioni. Niente, nemmeno il successo pratico della matematica, può servire a puntellare il platonismo. Un grande nominalista del Medioevo, Guglielmo di Occam, rese famoso un criterio, passato poi alla storia come il «rasoio di Occam»: non bisogna mai moltiplicare gli enti oltre il necessario. Con il saggio di Hartry Field sembrerebbe ancora una volta (per citare una celebre frase di Quine), che il rasoio di Occam sfoltisca la barba di PiaMassimo Piattelli Palmarini Disegni di Saul Steinberg (da «L'ispettore», ed. Garzantt E' t fl N id

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