Dove gli Etruschi banchettano da duemila anni di Carlo Carena

Dove gli Etruschi banchettano da duemila anni Itinerario: da Volterra a Tarquinia Dove gli Etruschi banchettano da duemila anni Mentre a Milano, a Palazzo Reale, prosegue con successo la mostra dedicata agli Etruschi, proponiamo un Itinerario attraverso I luoghi più caratteristici dell'antica Etruria, da Volterra a Tarquinia. VOLTERRA — Sono sempre 11, ad ogni nuova mostra, ad ogni nuovo libro natalizio, con quelle loro facce a naso lungo ed occhi a mandorla, di fianco, simili agli Egiziani, come già notava Strabone-, e alle galline, questi signori che banchettano da duemila anni nei tumuli della Toscana. all'Archeologico di Firenze o a Villa Giulia di Roma. Le loro tracce si trovano da Cipro all'Olanda. Si può andare per Etruschi in Lombardia e in Campania. Ma è tra i colli e le foci della bassa Toscana e dell'alto Lazio che si concentra la loro presenza e li ritroviamo più fitti, lungo itinerari noti o nelle deviazioni casuali. Prima a venirci incontro nella fascia marittima, la più feconda e classica, è Volterra. Appare quasi d'un tratto a chi sale da Cecina attraverso le saline e i bianchi canaloni del Cecina e dell'Era. Superba •citta del silenzio- soprattutto medievale, rifatta topograficamente familiare dai romanzidi Cassola fino M'Antagonista. dove ora passeggiano le sue eroine già muovevano i loro passi solenni i lucumoni raccolti in ceneri nel museo Guarnacci. Le sue venticinque sale piene di centinaia d'urne funerarie, e corte donne, magnati dai ventri straripanti, delfini, grifoni in tufo, in terracotta, in alabastro, sono una vera discesa agli inferi. Anche sui bassorilievi, viaggiamo nell'aldilà ora in carrozza come Elia e san Francesco, ora in groppa a un cavallo guidato da Caronte, avvolti fin sul viso in un ampio mantello, lo sguardo assente, lasciando fare agli altri, come se ormai non c'importi più nulla di nulla. Nessun altro popolo sembra aver goduto e temuto quanto questo, che si ritrae in colori sgargianti, rossi, verdi, azzurri, e poi dissemina di morti il centro Italia e tenta spasmodicamente di prolungare i canti e la baldoria dove c'è probabilmente solo silenzio e solitudine. Scendendo verso Sud per la strada interna che conduce a Massa Marittima, si attraversa invece l'ondulato bacino minerario di questi ingegnosi artigiani, sfruttatori di miniere e di terme. Il Merse scorre tutto fiammeggiante di terre ferrose, e fra sabbie rosse e lecceti si apre l'occhio azzurro del laghetto dell'Accesa, forni¬ tore col suoi ritrovamenti eneolitici del museo civico di Massa Ma è fra le gialle ginestre del golfo di Baratti che l'unica grande città sul mare di questo popolo talassocratico ci offe la più suggestiva delle necropoli Populonia è davvero capace di ricordarci le località archeologiche più celebri della Grecia, i luoghi micenei nascosti fra ì cardi, con forti profili di promontori e baie rotonde dove approdavano Ulisse ed Enea Qui, nel .naturale seno, di Populonia, il 4 novembre del 417 approdava anche Rutilio Namaziano in corsa verso la patria Galiia invasa dai barbari, costeggiando una riva laziale e toscana tutta di nomi etruschi, da Pirgi a Cosa a Vada a Luni: e già allora non scorgeva dei monumenti passati che i ruderi, mura grandiose inghiottite dal tempo, case spante fra mucchi di detriti; preso da quel panorama di paganesimo in dissolvimento, .non sdegnamoci — meditava anche Tutillo nel suo poemetto — se ì nostri corpi si dissolvono, visto che questi esempi ci mostrano sotto gli occhi che possono morire lecittà* Si continua a scendere a filo delle propaggini dei colli, tra Vetu Ionia, con la sua acropoli alta ut mezzo alle vigne e agli ulivi, e Rosene, ormai .traversando la maremma toscana• per Grosseto e l'Ombrone. fino a Tarquinia cardarelliana. anch'essa su un colle, col mare ormai laggiù nei fragori dell'Amelia e delle neonate Marine, insediamenti certo più fragili per volontà, per cementi e per natura dei tempi. Floridissima nel culmine della civiltà etrusca. ira ottavo e sesto secolo, Tarquinia la testimonia nei modi più splendidi, coi resti più famosi, quelli appunto divulgati .-anche ai- cisposi e ai barbieri, da dispense, enciclopedie e manuali. La necropoli è un po' fuori dalla lunga cittadina, un tre o quattro chilometri verso est. Le tombe, a decine, sono sparse sopra un'altura dall'ampio pianoro. Le sequenze dei ca- • valieri, degli auguri, dei giocolieri, dei flautisti, delle scene erotiche e mitologiche (greche) sono come pannelli murali, una strip senza didascalie di artisti sorprendenti, rudimentali e raffinati insieme, araldici e realistici Viste, appunto, la tomba degli Auguri, del Barone o delle Leonesse, si torna al museo nel Palazzo Vitelleschi dall aereo cortile gotico-rinascimentalc a due loggiati, anch'esso una meraviglia memorabile. LI, fra umbojii e vasi e ancora sarcofaghi e urne, si stagliano in una calda lastra di terracotta i due cavalli alati del grande tempio di Ara della Regina, del IV secolo, bellissimi forse perche ormai ellenizzanti. Per l'archeologia, per gli Etruschi, eior.se ormai più per nessuno, nemmeno per 1 divi dello spettacolo, si parla di bello e di brutto. Certo su queste colline tosco-laziali, saltellando per non calpestare o omettere le tracce di un popolo tutto chiuso per la sua storia in poche migliaia di chilometri quadrati e in poche centinaia di anni, altre e più sode meraviglie si scoprono nei irammenti delle muraglie e delle volte, come a Tirinto e a Micene. Se sulla pareti, nelle pitture, tutto è movimento aereo e uccelli e fiori e coppieri e danzatrici, gli archi e i portali ciclopici complicano i contrasti e gli enigmi. Le mura di roselle si stendono per tre chilometri con sette metri di altezza e due di larghezza; la via -del Cavone» che esce da Sovana, la patria medievale di Gregorio VII nell'altro circuito etrusco del lago di Bolsena, è intagliata nel tufo per un chilometro e in profondità di metri e metri, con la suggestione cromatica di Petra. Tutto questo, oggi, ci eccita. Sull'Etruria hanno pesato l'indifferenza assoluta dei Winckelmanniani e la nausea del nazionalismo italico, sia quello di Cosimo I o del fascio. Lo straordinario modello di una pittura senza tondo, sintetica, ne ha rifatto la gloria tra i «primitivi» novecenteschi; e i misteri che la circondano, dalle sue origini alla sua scrittura, rinnovano la popolarità dell'etrusca fra le civiltà antiche, anche se è cosi bloccata nel tempo e nello spazio e se alla civiltà europea ha potuto dare cosi poco. Davanti a questi uomini sfatti o a questi esili tuffatori, ci si chiede se costoro hanno sperato e amato come noi, come certo hanno fatto Nefertiti e a Creta il principe dei gigli, ancora più remoti da noi ma certo più amici nell'anima. Il dramma etrusco è quello di un popolo con molte immagini e quasi nessuna parola. Contemporanei degli Eoli di Saffo e dei Dori di Alcmane, non ci hanno lasciato detto i loro pensieri e quasi tutto di loro è rimasto affidato alle cavità nelle tombe, agli oggetti dei musei,, alle pietre su cui hanno costruito altre tracce i popoli successivi e su cui forse hanno trasmesso per gli arcani cunicoli della storia e della geometria la genialità di Leonardo e la pittura di Piero, aretino come loro. Carlo Carena IAGO TrtA<UAfiMO I.AliO DI BRACCIANO