Ora il raffinato Tournier ne aggiunge uno: Taor, il principe indiano

Ora il raffinato Tournier ne aggiunge uno: Taor, il principe indiano Un romanzo appena uscito a Parigi Ora il raffinato Tournier ne aggiunge uno: Taor, il principe indiano PARIGI — Michel Tournier, forse il più curioso degli scrittori francesi, è un gran ricuperatore di miti, che interpreta a suo modo. Dopo « Venerdì o i lim. bidel pacifico* (mito sull'inconciliabilità fra il civilizzato e il selvaggio, che gli valse il premio dell'Accademia di Francia), «Il re degli ontani» (coronato dal GoncoUrt, in cui convergono spunti faustiani e riminiscenze dell'orco delle favole), «Le meteore» (romanzo cosmico, con digressioni scatologiche), egli affronta in «Gaspare, Melchiorre e Baldassarre», suo quarto romanzo uscito da Gallimard e che Mondadori pubblicherà in Italia, il tema del re Magi. Ai tre re della tradizione cristiana — ma il numero e i nomi bisogna cercarli negli apocrifi — Tournier ne aggiunge un quarto, ispirandosi a una leggenda russo-ortodossa, già riesumata dal pastore americano Henry Van Dyke, e dal tedesco Edzard Schaper. Supplendo con la fantasia alla carenza delle fonti stori- che. Tournier immagina che i quattro magi intraprendano il viaggio verso Betlemme, mossi ognuno da preoccupazioni personali, cui Gesù darà prima o poi una risposta. Il problema di Gaspare, re nero di Meroè, è sentimentale e razziale: è innamorato di una schiava bionda che prova al suo contatto un irresistibile disgusto e lo tradisce con uno schiavo bianco. Il divino infante, che appare a Gaspare sotto le sembianze di un negretto, lo riconcilierà con la propria negritudine, liberandolo dalle angosce del sesso. Baldassarre, sovrano di Nippur, è invece un esteta, appassionato d'arte greca, che si urta cóntro la furia iconoclasta dei suoi sacerdoti, retaggio della maledizione di Adamo: per lui il figlio di Dio, incarnatosi per riscattare il peccato originale, riabilita insieme all'immagine dell'uòmo, l'arte figurativa. La rivelazione che Melchiorre, principe spodestato di Palmira, avrà nella stalla di Betlemme è quella di un reame che trascende il pote¬ re dei grandi di questo mondo. Fin qui la dimostrazione è laboriosa, ma il romanzo riparte con un colpo d'ala appena entra in scena il quarto re, cioè Taor, principe indiano e adolescente prolungato, di cui una madre abusiva — per poter regnare al suo posto — incoraggia la frivolezza, la pigrizia, la golosità smodata. Ma proprio questo vizio condurrà il principe ignavo alla redenzione. Egli parte alla ricerca di un cibo sublime annunciato dai profeti — che crede essere un rahat-loukum al pistacchio — e scopre, trentatré anni dopo, il mistero dell'Eucaristia. Nell'intervallo si situano mille episodi rocamboleschi: la partenza del corteo principesco, preceduto da cinque elefanti carichi di frutti esotici, spezie, dolciumi; un naufragio nel Mar Rosso; la deificazione dell'elefantina bianca Yasmina; l'arrivo a Betlemme quando già la sacra famiglia è in fuga verso l'Egitto; un mirabolante banchetto — con palazzi di torrone, zampilli di sciroppo, alberi di canditi — offerto a bambini biancovestiti, mentre avviene il massacro degli innocenti; il sacrificio di Taor, divenuto schiavo volontario in una miniera di sale, nella città dei sodomiti... Dopo tante peripezie, il quarto mago giunge a Gerusalemme la sera dell'ultima cena. Sulla mensa appena disertata trova i resti del pane e del vino che Cristo ha spartito con i discepoli: allora mangia di questo pane e beve di questo vino che assicurano la vita eterna, e due angeli, coprendolo con le loro ali immense, lo trasportano in paradiso. L'autóre rivendica il carattere cristiano di questo romanzo, che non è il suo migliore e soffre di una discontinuità di tono: c'è un filone evangelico, il limpido racconto della Natività fatto dall'asino, un filone fiabesco, la storia di Barbedor. che l'autore del resto ripubblica a parte per i ragazzi, un filone erudito, il lungo monologo di Erode, un filone manierista, in cui scintil- lano la fantasia e il preziosismo stilistico del narratore. Egli afferma che il Vangelo e l'etica di Spinoza sono i suoi due libri preferiti, Sartre il suo maestro spirituale, Flaubert il suo modello letterario. Ma non si può giurare sull'autenticità dei sentimenti religiosi di questo filosofo mancato e talentuoso «pastipheur», che fu educato' dai preti. Per giustificare il suo incontro coi re Magi, dichiara egli stesso con cinismo: -Da ragazzino mi piaceva servire la messa. Amavo l'oro, lincenso, la mirra. E cosa ama lo scrittore? L'oro dei diritti d'autore, l'incenso delle buone critiche, la mirra simbolo del passaggio alla posterità». Elena Guicciardi Incisione da «Johannes èpisc, Hildeshemiensis Legenda sanctorum Trium regum», Modena (1490)

Luoghi citati: Betlemme, Egitto, Francia, Gerusalemme, Italia, Modena, Parigi