Lady Macbeth e la vedova Mao di Renata Pisu

Lady Macbeth e la vedova Mao Parliamone Lady Macbeth e la vedova Mao SI è aperto il processo alla «banda dei quattro», imputati di aver scatenato la rivoluzione culturale nell'ormai lontano 1966. Chi ricorda che l'apocalisse iniziò con un dibattito letterario? Yao Wen-yuan, uno degli imputati oggi alla sbarra, scrisse infatti un articolo per denunciare le subdole intenzioni di Wu Han il quale nel suo dramma «Le dimissioni di Ha Jui», aveva voluto, secondo Yao. attaccare Mao paragonandolo al cattivo imperatore che non aveva prestato ascolto al buon funzionario, cioè al mandarino Ha Jui. Sembrava una disputa tra letterati, invece fu l'inizio del caos di una tragica guerra civile. In un Paese in cui letterati e governanti si sono sempre identificati nella funzione di supremi amministratori, le lotte politiche cominciano sem-' prc con eleganti colpi di penna, anzi di pennello. E se le questioni non si risolvono letterariamente, si passa a altre armi. E' già successo e ancora oggi le opposte fazioni si' affrontano citando, chiosando, interpretando. Come mai proprio in questi giorni sulle scene di Pechino si rappresenta «Lady Macbeth»? Non c'è intellettuale cinese che non se lo chieda: l'arte è politica, loro non hanno mai avuto dubbi. Tutto sta a vedere quale personaggio reale Lady Macbeth adombri: c'è chi subito pensa a Jiang Qing. la moglie di Mao. e chi invece sostiene che non ci sono dubbi, il dramma di Shakespeare è stato messo in scena per condannare Y e Qun, la moglie di Lin Biao. che pare sia morta con lui nell'incidente aereo del settembre 1971. Rivali le due donne, rivali i due mariti: in politica, certo, ma anche nell'arte della calligrafia, per i cinesi arte sublime pari alla pittura e alla poesia. Chi dei due scriveva i versi più colti con più riferimenti ai Classici? Chi dei due aveva la calligrafia più bella? Per Jiang Qing (l'amore acceca), la calligrafia di Mao era paragonabile a quella di Wang Hsitzu, calligrafo del quarto secolo, era «aerea come nubi sospese, vigorosa come un drago all'erta». Di Lin Biao, invece, dopo la caduta, a Pechino i fini esteti, tutti funzionari di partito, dicevano sprezzantemente che scriveva assai male, che era un ignorante presuntuoso, uno che non leggeva mai neanche i giornali. Ecco, i mandarini ancora si valutano con schemi mandarinali. Fanno una rivoluzione assai poco «colta» e la chiamano culturale, come dire che duemila anni di governo dei e per i letterati non possono essere cancellati da una ventata marxista-leninista. Eppure negli Anni Venti e Trenta c'erano intellettuali come Lu Xun i quali dichiaravano che «in Cina niente è meglio degli analfabeti»: e Mao Tse-tung, ambizioso, pensava che si potessero scrivere sulla carta bianca. le masse analfabete (ma sono davvero carta bianca?) le «parole più belle». Non è dunque certo un caso se le prime vittime della rivoluzione culturale sono stati illustri intellettuali, poeti, scrittori, filosofi: Lao She, Ai Qing, Pa Chin, Ding Ling, Tien Han, tanto per fare qualche nome. Altri intellettuali, non meno illustri, si sono fatti invece delle- belle autocritiche risparmiandosi così la prigione, i lavori forzati, la morte. Opportunisti? No. intellettuali anche loro ma di tempra più «cinese» ovvero più «confuciana», smaccatamente bugiardi ma consapevoli d* rivolgersi a altri bugiardi appartenenti alla loro stessa casta o classe, quella casta che per il fatto di aver sempre detenuto il monopolio della cultura ha sempre detenuto anche quello del potere, quindi sempre vincente, come istituzione, si intende, non come singoli. Furono gli analfabeti ad ammazzare a bastonate lo scrittore Lao She? Furono gli analfabeti a giudicare reazionario il romanzo «Il sogno della camera rossa» o a disquisire sottilmente sui personaggi del romanzo «Sulle rive del lago» allo scopo di attaccare Chou En-lai? Gli intellettuali cinesi sapevano bene che gli analfabeti non c'entravano affatto, anche se alcuni di loro forse credevano sinceramente alla teoria degli «intellettuali come forza motrice» del rinnovamento. Esperti in questo raffinato gioco di specchi, in questo sovrapporre immagine a immagine in un apparentemente incongruo continuo rimando, sapevano, capivano e tacevano, al massimo alludevano. In Occidente, invece, ogni riflesso nei loro specchi era preso per reale, un impenetrabile e reale che i «compagni tornati dalla Cina», questi . turisti dell'ideologia, pretendevano di spiegare. Dopo Lady Macbeth è annunciata a Pechino la messa in scena di «Re Lear». Uno di noi direbbe: ma allora questo è l'anno delle celebrazioni shakespeariane. Invece no, i cinesi sanno: si rappresenta «Re Lear» per condannare il maltrattamento cui è stata sottoposta la vecchia generazione da parte delle Guardie rosse negli anni della rivoluzione culturale, per fare ammenda. Insomma, per capire la Cina ci vuole sempre la «griglia». Se si tratta Shakespeare ancora possiamo arrivarci ma come la mettiamo con le Storie dinastiche, con lo Shih Ching. lo Shu Ching, gli «Annali Primavera-Autunno»? Renata Pisu

Luoghi citati: Cina, Pechino