Burri: lo scandalo è finito rimane la mia arte

Burri: lo scandalo è finito rimane la mia arte Incontro con l'artista a Firenze Burri: lo scandalo è finito rimane la mia arte FIRENZE — A Orsanmichele s'incominciano a lacerare gli involucri dei nove quadri che Burri esporrà, con una grande scultura in lamiera, in questi grandi magazzini di grano. Fra poco le nove opere saranno completamente visibili, ma non potranno essere appese alle pareti. E' un'operazione che Burri vuol fare di persona, ma un leggero malessere lo costringe in albergo. I quadri misurano tre metri e settantacinque di base, due metri e cinquanta d'altezza. Tutti insieme dovrebbero formare un di' scorso unitario, che ha nel rapporto tra i colori il suo punto di coagulo. C'è molta, attesa per questa móstra: che segue quella famosa dell'anno scorso, nell'enorme seccatoio di tabacco tropicale a Città di Castello. Non ha un titolo. E' un'esposizione che il grande pittore ha pensato apposta per questa città e per questo particolare luogo, continuando a inseguire quella relazione fra arte e spazio che ha raggiunto la massima intensità ad Assisi e a Città di Castello. Andiamo a trovare l'artista in albergo, accompagnati da Vanni Bramanti, curatore della mostra; Burri chiede come vanno i lavori, se le luci sono state sistemate. E' nervoso, pati- sce l'inattività. Per fortuna, dice, potrà vedere nel pomeriggio la partita in televisione e per lui, appassionato di calcio e tifoso del Perugia, è certamente una gioia. Poi domanda: «E la scultura?». La scultura è una costruzione alta sette metri, con una ogiva che ruota su se stessa per 360 gradi, come un faro. E' stata posta sul solaio di Orsanmichele ed è una specie di omaggio che il pittore rende a Firenze. «I quadri — dice — bisogna metterli in un posto particolare. La mia scultura andava messa in quel salone, che è bellissimo vuoto, con quelle fine¬ stre aperte sulla città. La scultura è una presenza che deve colpire, ma non deve limitare la visione del resto, che è Firenze». E infatti, ruotando su se stessa, azionata da un motore elettrico, questo prisma nero proietta il suo raggio ideale sul Duomo, sul Battistero, sul Bargello e Santa Croce, spingendosi fino a San Frediano. i Burri parla con affabilità, anche se non ama le parole. «Quello che devo dire, lo dico con la mia pittura», ha sempre affermato e 10 ripete anche oggi. Ma questa sua reticenza è stata spesso fraintesa. Si è fatto di lui un riccio sempre chiuso in se stesso, un isolato. «Solitario e isolato io? — dice ridendo — ma se sono pieno di amici, che mi seguono ovunque vada. Sono venuti anche a Firenze e tutti danno una mano, sono preziosissimi». Però è vero che rifiuta gli incontri ufficiali. «Non vado nei posti dove si conoscono tutti insieme e parlano delle stesse cose. 11 mio isolamento è una favola. Io non vado alle manifestazioni : devo lavorare, ma non sono un orso, anche se vivere soli fa bene». Fa bene perché fa sentir più liberi e lui non rinuncerebbe mai alla sua libertà. Quando fece la sua unica dichiarazione pubblica, a New York, nel '56, disse: «La pittura per me è una libertà raggiunta, costantemente consolidata, difesa con prudenza». U na frase che ripeterebbe anche Oggi «Più libero di tutti è 11 pittore — afferma — perché si esprime come vuole. Magari in qualche posto non sarà proprio cosi, ma io intendo restare libero. La pittura mi dà questa possibilità, l'ho scelta proprio per questo, non per fare denaro. Dipingerei anche se non dovessi ricavarne un soldo. E infatti non vendo. Non voglio vendere. Perché vendere? Per avere più quattrini? No, i quadri li regalo. All'inizio era diverso, li vendevo, ma i.soldi li consumavo con gli amici, a tavola». Ha smesso di avere rapporti coi galleristi nel '60. Non li stima, ha una pessima opinione dei mercanti e non ne fa mistero. Arriva ' al pubblico solo attraverso ^queste grandi mostre, che 'lo stancano e gli portano via tempo prezioso («con tutto il lavoro che devo fare»). Ad ogni mostra destina pezzi particolari, dice ciie non è più possibile fare le grandi antologiche di un tempo, come a Torino e a Roma nel '71. «Chi vuole l'antologica potrà andarsela a vedere a Città di Castello». Burri ha donato alla sua città le proprie opere. Sai-anno esposte in un palazzo quattrocentesco che si sta terminando di restaurare. «Quando verrà il momento sistemerò io stesso i quadri, non uno accanto all'altro, ma in modo che armonizzino con l'ambiente. Non ha senso fare la galleria». Le opere della mostra fiorentina sono ancora realizzate con materiale «povero» (si è tanto parlato di francescanesimo per l'arte di Burri). Dopo i sacchi, il legno, le plastiche, c'è il celloflex, altra materia quotidiana e tutt'altro che nobile. Ma l'artista non dà un significato particolare al materiale usato. «Lavoro con quello che trovo. In questo senso sono come Picasso quando diceva: non ho il rosso, datemi il blu». E lo scandalo? Fa ancora scandalo Burri? «No, lo scandalo non esiste quasi più —dice —. Un critico americano ha scritto sul "New York Times", l'anno scorso che, finito lo choc, nei miei quadri resta la grazia. E' un bellissimo complimento, vuol dire che la mia è pittura vera. Si immagina lei come sarebbe se, finito lo choc, non restasse altro?». Intervista di Osvaldo Guerrieri Qui e sotto due opere di Burri esposte a Firenze

Persone citate: Burri, Osvaldo Guerrieri, Picasso, Vanni Bramanti