Che bel film, gli manca la parola
Che bel film, gli manca la parola Alcuni saggi ripropongono una storia critica del cinema muto in Italia e a Che bel film, gli manca la parola L/arte cinematografica, come alla vigilia del sonoro attraversa un'altra crisi: la soluzione arriverà di nuovo dalla tecnologia? LA Garbo parla», proclamava un glorioso slogan pubblicitario della Metro Goldwin Mayer quando il cinema acquisto la parola. La «divina» fornì spunto a dotte dispute, eleganti diatribe, per decidere se il film muto fosse più grande di quello sonoro, o viceversa. Tra la gioia degli analfabeti e le schifiltosi!;! di certi intellettuali, il pubblico si divise in due fazioni. Era più sublime Greta Garbo nel silenzio dei suoi sguardi carichi di ambiguità e di lusinghe? Oppure, il fascinò più profondo della diva nasceva dalla voce ricca di caldi sottintesi? Alcuni storici, come Arnheim. fissarono la fine della poesia cinematografica nell'inquinamento del sonoro. Altri videro nella parola il necessario completamento di un'arte che si pone tra i primi scopi l'imitazione della realtà. Ultraottantenne, pieno di acciacchi ma solido ancora e sempre pronto a lampi creativi di giovanile vitalità, il cine¬ ma oggi sembra soffrire la crisi del «come eravamo» e si ripiega sulla propria infanzia. E' un viaggio sentimentale, ma non privo di quesiti posti ad un passato felice, avventuroso e fortunatissimo per successo.e creatività. Con la lanterna di Diogene il cinema, a caccia angosciosa di spettatori..cerca nuova fiducia rovistando nella sua protostoria, tra le sue radici. Spera di recuperare le ragioni prime, più antiche, di un grande amore popolare ormai ridotto ad esigue fiammelle o vampate del tutto imprevedibili. Questo itinerario mitologico e critico, in corso già da qualche tempo (basti ricordare il film «Nikelodeon» di Bogdanovich e la traduzione italiana del libro di Anger «Hollywood Babilonia»), ha segnato nelle ultime settimane tre tappe editoriali abbastanza importanti. Gli splendidi albori di Hollywood, il fervore inventivo dei cineasti torinesi all'inizio del secolo, i primissimi esperimenti pub- blici del nuovo mezzo di intrattenimento compiuti in Italia sul finire del secolo scorso, sono gli argomenti di tre volumi appena arrivati in libreria. D primo, «Hollywood, l'era del muto», dello studioso inglese Kevin Brownlow c del fotografo John Kobal. è un prezioso libro illustratissimo edito da- Garzanti. Il secondo, di Gianni Rondolino, edizio¬ ne Capelli, studia gli anni d'oro del nostro cinema quando non era vanità definire «Torino come Hollywood». Il terzo. «Cinema muto italiano 1896-1904» di Aldo Bernardini, editore Laterza, si annuncia primo volume di un'ampia ricerca sul nostro cinema muto impostata dall'Istituto di teatro e spettacolo dell'Università di Roma, in collaborazione col Cnr. Le opere, quasi complementari, coprono l'arco di tempo che parte dalle prime sperimentazioni, attraversano la nascita dell'industria cirtematografica negli studi subalpini, raggiungono il grande fulgore nell'America Aani Venti, sulla spinta di celebri autori e dei potenti produttori hollywoodiani. Kinetoscopio, kinetografo, vitascope, kinetofono, ciriematographe: battezzata cfc>n neologismi classicheggiatiti, la macchina per fare e proiettare immagini in movimcrlto uscì dalle officine Edison e Lumière con il blasone della scienza e il fascino dell'ale limia. Queste due anime, abbastanza confuse, accompagi arono il cinema nella veni ca del pubblico dopo il 18951 cinetoscopio Edison) e il 1{J96 (cinematografo Lumière), fi-, no al primo decennio deL '900, quando il film perdette l'aura magica primitiva per organizzarsi in una precisa fisionomia di spettacolo autonomo, con ruoli di produzjo- us m zk so da ev str. un re vo pa sci ris ti Fr ria 8J< va pr Le sp op di) de pu sifc de fai le Greta Garbo e Ricardo Corte/ nel film «Anna Karenina» ( 1927)
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