Meno usignoli per l'imperatore di Vittorio Gorresio

Meno usignoli per l'imperatore Parliamone Meno usignoli per l'imperatore CON l'attraente titolo L'usignuolo e l'Imperatore sulla rete 2 della tv ha preso avvìo l'altro giorno un'amplissima inchiesta sui rapporti fra gli intellettuali e il potere in Italia. Durerà quasi un anno c c'è pertanto tutto il tempo per giudicare a cose viste i risultati, i meriti e i demeriti di questa grande impresa. Fin da oggi, però, essa induce a tentare qualche considerazione sul tema che riguarda quasi mezzo secolo di storia della cultura italiana dal tempo del fascismo ai nostri giorni. Alla ricerca dì una linea direttrice si può osservare che per tutto il ventennio del regime non venne fuori un solo prosatore, o poeta o saggista degno- del nome, che fosse veramente fascista, non di tessera ma di ispirazione, ideologia, contenuti. Un confronto con la coeva produzione francese, da Celine a Brasillach a Drieu La Rochelle, fa risalta, re evidentissimo il deserto littorio nostrano. Mancò del pari una cultura cattolica: in questa propria area agirono in quel tempo intellettuali convertiti come Giovanni Papini e Domenico Giuliotti, che però non reggevano al confronto — sempre per richiamarci ai casi della Francia — con i Péguy, i Maritain, i Mounier, i Danicl-Rops, i Claudel, i Mauriac, i Bernanos, scrittori di gran lunga più problematici e suggestivi. Deserto, quindi, anche da questa parte, c non stupisce che il giorno dopo la liberazione Togliatti si prefiggesse di scorrere da padrone nei campi desolati della nostra cultura a metà del secolo. Sussisteva ovviamente un'intellighenzia 'cosiddetta laica genericamente liberale che a prezzo di rinunce e compromissioni si era difesa più o meno bene durante il regime, ed appunto fu questa che Togliatti si proponeva di conquistare: e a dire il vero in un primo tempo ottenne risultati che apparvero mirabolanti, superiori ad ogni legittima aspettativa. Ne ha dato conto l'anno scorso Nello Ajello in un saggio eccellente (Intellettuali e pei, Laterza ed.) che domandava come mai la cultura laica si dimostrasse tanto disponibile al comunismo. La risposta è da cercare sul piano politico: noi vivevamo allora i «dieci inverni della guerra fredda», come li chiamò Franco Fortini, e gli intellettuali italiani per loro disgrazia si trovarono a dover scegliere non tanto e neppure tra il marxismo e la grande tradizione della cultura occidentale, ma obbiettivamente tra il pei e la de. Ma la de era Sceiba fustigatore del «culturame», nemico professo di «quei quattro cialtroni di intellettuali», èra padre Lombardi, erano i Comitati civici di Luigi Gedda, tutto ciò che Luigi Russo chiamava «il pozzo nero della reazione». Egli diceva che in una situazione simile tanto valeva avvicinarsi a una «caserma rossa», dato che l'alternativa era una «parrocchia nera». Fosse o no giusta la scelta dì Russo, resta di fatto che il dilemma era angoscioso, c soprattutto che l'errore di anticultura commesso in quegli anni dalla de era di genere inaccettabile. Lo ha riconosciuto in questi giorni anche Leone Piccioni in un suo articolo accorato (// Tempo del 30 ottobre) dove parla del «fondamentale distntc- resse dimostra/o dai cattolici politici (leggi de) per la cultura». Adesso i tempi sono cambiati. E' avvenuto che dopo i folgoranti successi ottenuti da Togliatti nella sua prima campagna acquisti non gli fu poi possibile tenere le posizioni conquistate in quella breve stagione. Stiamo vivendone un'altra che è certamente più aperta e libera, anche se non è facile delinearne con precisione i contorni. Stiamo a vedere come ci riuscirà nei mesi prossimi la tv rete 2 nella sua inchiesta su L 'usignuolo e l'Imperatore. Vittorio Gorresio Da un manifesto di Severo Pezzali

Luoghi citati: Francia, Italia, Laterza