Un oceano chiamato Canada di Ennio Flaiano

Un oceano chiamato Canada Ennio Flaiano: alcune pagine inedite dal taccuino dell'ulti? Un oceano chiamato Canada Il dissimulatore UNA volta, a uno che l'intervistava, Flaiano dichiarò: «La mia vocazione era quella di non identificarmi. Ho considerato lo scrittore come un personaggio ridicolo. Dire "io scrivo" pii è parso sospetto. Per questo le mie tendenze sono andate alla satira...». Sarebbe troppo facile, e certamente sbagliato, liquidare questa affermazione come una delle tante battute paradossali, irriverenti e corrosive per le quali Flaiano era celebre e che facevano rapidamente il giro della società letteraria italiana. Intanto, anche quelle battute erano, nella sostanza, assai più serie, assai meno «nonsensiche» di quanto i loro destinatari e consumatori desiderassero o mostrassero di credere. E poi, in questo caso, mi sembra che nelle parole di Flaiano non risuonasse tanto la voglia di stupire e scandalizzare, quanto il febbrile, malinconico.esibizionismo della confessione. n riscontro dei fatti, d'altronde, non lascia spazio ad equivoci. A prescindere da Tempo di uccidere il romanzo giovanile con il quale, nel '47 vinse la prima edizione dello «Strega», non c'è opera di Flaiano che — indipendentemente dalla sua forma apparente: romanzo, racconto, taccuino, raccolta di elzeviri o altro — non porti il doppio segno della dissimulazione e dell'autodistruzione. Sia che, attraverso il meccanismo del diario, dipingesse se stesso nell'atto di «dissipare» deliberatamente il proprio talento in annotazioni fortuite, pigre e distratte (e, si capisce, supremamente godibili), sia che muovesse il racconto intorno a un personaggio votato alla non conclusione, al fallimento dei propri progetti, Flaiano non pubblicò più dopo quel primo, un solo libro nel quale la finzione delia-verità (questa premessa così fragile e così indispensabile al «contratto» fra autore e lettore) non venisse, implicitamente o esplicitamente, disattesa, ironizzata, e, in fin dei conti, dissolta. Ebbene, non occorre certo ricorrere alla psicoanalisi per riconoscere in tali procedimenti, e più ancora nel loro ripetersi, nella loro ineluttabile costanza, il riflesso e la prova di quell'orrore dell'identificazione, di quella «vergogna della scrittura» cui la battuta di Flaiano che ho riportata aU'inizio si riferiva con assoluta e insolita schiettezza. Possiamo osservare, semmai, che manca (è censurata) in essa un'essenziale specificazione: quello che Flaiano non vuole essere, quello che non accetta, che «si vergogna» di essere non è lo scrittore «tout court» ma lo scrittore di verità inventate, lo scrittore di «storie». Per essere ancora più chiari: ciò di cui Flaiano ha orrore, è molto semplicemente, la creazione. Ma Flaiano non poteva fare a meno di essere scrittore: lo era da capo a piedi, e fin nel midollo. Ed ecco, allora, la sua scelta radicale: quella dell'inteUigehza — l'intelligenza come «partito preso» e come rovescio, come contraltare della creazione. La creazione (come, in genere, la genialità) non è non può mai essere disgiunta da una certa dose di fanatismo e di ottusità; e lui, Flaiano — per non creare, per non mettere al mondo figli mostruosi di cui rispondere e dei quali vergognarsi — sceglie la professione del non fanatismo e della non ottusità, dell'ironia vigile, del disincanto; diventa insomma Flaiano. Nascono così le sue pagine più perfette, più amare, più splendidamente sterni. Ancora una volta, non importa se siano racconti o diari o raccolte di epigrammi e aforismi: l'importante è che nessuno ci creda, che nessuno gli creda. Se dovessi scegliere un libro — uno solo—che esemplifichi al meglio questa natura e queste qualità della scrittura di Flaiano, opterei, senza dubbio, per Diario notturno uscito da Bompiani nel '56 e ristampato nel '77 da Rizzoli (cui si deve il progetto e la già avanzata pubblicazione delle opere complete dello scrittore). Ma penso che ovunque, in ciascuno dei suoi scritti — dai romanzi brevi come Una e una notte o Melampus, ai testi teatrali, alle sceneggiature per Antonioni o per Fellini — questa lotta dell'intelligenza contro la creatività, dell'aridità contro l'abbondanza dell'immaginazione e del cuore (abbondanza che, ne sono certo, Flaiano aveva ricevuto in dono dalla natura, e di cui si vergognava come di un vizio segreto) sia ben visibile-e toccante. Ovunque, persino in questo recentissimo volume, Un giorno a Bombay che a otto anni dalla morte dello scrittore raccoglie un pàio dì corrispondenze di viaggio e Io «script» per un documentario televisivo. Siamo, qui, davvero al limite, ancora un soffio e saremmo nel nulla, nell'inesistente. Ma basta il girò di una frase, Io scattò d'un aggettivo a restituirci di colpo, per un attimo ma per intero, il migUor Flaiano, straordinario duellante con l'ombra di se stesso, o, meglio, col corpo della propria ombra. Giovanni Raboni Nei 1971 Ennio Flaiano realizzò col regista Andreas Andermann un «taccuino filmato» sul Canada. Lo scrittore aveva già visitato alcune città canadesi, invitato dall'«Office National du film du Canada» e aveva anche scritto un soggetto cinematografico intitolato «Le voyageur». Accettò con entusiasmo la proposta di Andermann e tornò «alla ricerca di vecchi amici e di persone nuove, di grandi città e di terre sperdute». Nacque così «Oceano Canada, taccuino di viaggio di Ennio Flaiano e Andrea Andermann», l'unico programma televisivo dello scrittore. Si articolava in cinque puntate di un'ora ciascuna e, più che un documentario, era un insieme di osservazioni e provocazioni da cui è nato un quaderno d'appunti che cambiava di giorno in giorno. Quel taccuino è ora pubblicato dalla Rizzoli insieme con altri diari di viaggi già apparsi su riviste. Sono scrìtti su Bombay, Tel Aviv e New York. L'opera, intitolata «Un giorno a Bombay», sarà in librerìa il 24 settembre. Per gentile concessione dell'editore pubblichiamo in anteprima la parte iniziale di «Oceano Canada». - QUESTO faro antinebbia suona la sua sirena tre volte ogni minuto, giorno e notte, anche se è bel tempo, come oggi. Siamo sulla punta estrema della Gaspesie, dove il fiume San Lorenzo diventa Oceano Atlantico. Si chiama Capo delle Rose; il primo europeo che lo superò, Jacques Cartier, vide che vi fiorivano delle strane piccole rose settentrionali. ★ * Su questi scogli hanno fatto naufragio decine e decine di navi. Dell'odierno Canada, il nostro Verrazzano sfiorò quella che è oggi la Nova Scoria, prima di tornare indietro. Non gli fece una buona impressione, ma Verrazzano purtroppo non fa testo, aveva giudicato male anche la baia di quella che sarebbe poi diventata New York: e sconsigliato Francesco I di piantarvi una colonia. Dalla sua relazione sappiamo che sulle coste del Nord ebbe un piccolo commercio con degli indigeni molto astuti e scortesi. «Non stimavano» dice «gentilezza alcuna; e quando non avevano più che permutare, da loro partendo, li omini ne facevano tutti li atti di dispregio che può fare ogni brutta creatura, e ridevano». Sul traghetto del San Lorenzo, a Quebec Quebec, questa roccaforte che parve imprendibile e fu invece tolta ai francesi dagli, inglesi. Quebec ferita aperta. Dove prima c'e-; ra il forte ora c'è questo enorme castello-albergo della Canadian Pacific. Strana e bellissima Quebec, un miscuglio di Francia e Inghilterra che fa anche pensare a un romanzo russo dell'Ottocento. Una città-romanzo direi. Ci siamo proposti di percorrere il Canada, senza sperare di conoscerlo tutto. L'immensità di questa terra dà le vertigini. Appunto perciò abbiamo chiamato il nostro viaggio «Oceano Canada», il Canada ci è subito apparso come un grande oceano dove approderemo ogni tanto a qualche isola, alla ricerca di vecchi amici e di nuove persone, di grandi città e di terre sperdute. * ^ Il nostro sarà dunque un taccuino di viaggio, casuale e nemmeno ordinato. Tutto sarà alla giornata. Quello che ci interessa maggiormente è il rapporto uomo-natura, in un paese grande 34 volte l'Italia e con poco più di un terzo dei suoi abitanti, 21 milioni. Un paese dove, fuori delle grandi città, la solitudine può essere la condizione normale, la chiave dell'esistenza. Oggi è il 20 agosto. ' ' * * I cannoni e gli schioppi del Fort Saint-Helene, a Montreal, funzionano ancora, ma per i turisti Studenti universitari vestiti da scozzesi fanno un po' di suoni e rumori, e talvolta anche luci L'incasso è a loro beneficio. La lunga guerra tra inglesi e francesi continua altrove, -sul terreno politico e letterario. In questa Montreal che nacque attorno a un forte in un'isola del San Lorenzo, un fiume dove nemmeno oggi, 21 agosto, nessuno oserebbe fare il bagno, i ponti hanno nomi francesi, Champlain, Cartier, le banche piuttosto nomi in- 8,681 ** La me Sainte Catherine taglia in due la città Oggi il Montreal Star dà come indici di inquinamento 0,01 milionesimi; quindi è una bellissima giornata, In genere, la media di solfuro di dioxido nell'aria è di 0,10 milionesimi. Sul Montreal Matin, giornale francofono, tra gli annunzi economici due foto di Giovanni XXTTT per grazie ricevute. In altre parole, questo paese ha nove milioni di anglosassoni, sei di francesi, un milione di tedeschi, mezzo milione di ucraini, seicentomila italiani, altri seicentomila olandesi, e altrettanti scandinavi, quattrocentomila polacchi, 200.000 ebrei, quasi altrettanti russi e un milione di altri europei Aggiungetevi centomila asiatici E poi 200.000 indiani, che assieme ai 20 mila esquimesi sono i canadesi da sempre. La legge ora chiede che ogni nuovo immigrato conosca le due lingue ufficiali del Canada, l'inglese e il francese. Se non le conosce, ci sono scuole gratuite dove possono im-. Il fiume San Lorenzo presso Quebec