Un po' stretti sopra la torre

Un po' stretti sopra la torre In 22 per la nostra cinquina Un po' stretti sopra la torre E5 stata una stagione sema scrittori? o con troppi scrittori? Il gioco della torre, a cui avevamo invitato i nostri critici, è servito a buttare giù tanti nomi, anche di rilievo, ^ma non è riuscito a promuovere quasi nessuno. Lassù in alto, dove avrebbero dovuto primeggiare i cinque libri deiranno, ce ne sono rimasti ventidue; con l'aggiunta di sei o sette autori rimasti aggrappati ai merli, sporgenti dalle inferriate del barbacane, che alcuni critici non hanno saputo escludere del tutto dalle loro preferenze, pur essendo costretti a non superare la cifra da noi indicata. La cinquina è diventata una sestina; e nessuno degli eletti ha saputo raggiungere nemmeno la metà dei voti. Soprattutto, in un referendum sulla narrativa, colpisce' l'affermazione di libri che non sono romanzi in senso proprio. «Un'isola» di Amendola è un'autobiografia politica, «Un Paese senza» di Arbasino una raccolta disaggi. Fra i tre che si sono portati in primo piano, il solo romanzo è «Madre e figlia» di Francesca Sanvitale, la scrittrice che ha accumulato il maggior numero di sconfitte nei concorsi letterari: essendo riuscita a perdere, contemporaneamente, Campièllo, Viareggio e Strega. Il suo premio è questo. Per arrivare alla rosa degli eletti, bisogna includere gli autori che hanno ottenuto due preferenze su sette: insieme con Arpino, il favorito del Campiello, e con Bartolini, che è piaciuto a critici di tendenze anche diverse, c'è Sebastiano Vassalli, la sorpresa della stagione, che ha polarizzato le preferenze dell'avanguardia. E' andato a lui il solo voto attribuito da Edoardo Sanguineti, che ha scartato, polemicamente, tutto il resto della letteratura 1980. Ma le sorprese maggiori sono nel gruppo dei sedici con un solo voto: dove accanto ai superconsacra ti Bacchelli e Sciascia, Calvino e Lalla Romano, o ai postumi Piovene e Lorenzo Viani, troviamo i giovani Marigo e Giuseppe Conte, i quasi sco¬ nosciuti Bonazza e Bertozzi. Gli altri sono i casi dell'anno, da Cergoly alla Bossi Fedrigotti, o scrittori rimasti ingiustamente esclusi dalla grande mischia, come Luca Canali e Sermonti, Bonaviri e Mattioni. Più importante del previsto il gruppo degli esclusi, con alcuni personaggi di buon pedigree. Benché la dispersione sia stata così grande, e i critici abbiano scelto in campi tanto diversi, sono rimasti fuori da ogni indicazione i vincitori del Viareggio e dello Stregò, Terra e Gorresio, insieme con alcuni autori che hanno più mosso la vita letteraria negli ultimi mesi: Renzo Rosso, Frutterò e Lucentini, Tomizza; fra i giovani, Tondelli. Della cinquina del Viareggio sono entrati in competizione tre libri; del Campiello, due; dello Strega, uno. Il premio che segnala più presenze, in questa nostra graduatoria, è il Comisso, con due finalisti su tre. Se guardiamo agli editori, altri rovesciamenti di prospettiva. E' in testa Einaudi,, con otto voti, seguito da Rizzoli con sei e da Mondadori con quattro. Due voti sono andati a Rusconi, due alla piccola Città armoniosa; uno ciascuno ad Adelphi, Bompiani, Feltrinelli, Longanesi, Editori Riuniti, Dedalo. Che cosa vuol dire? Non c'è evidentemente-il grande libro, e non c'è il grande scrittore. Lo scorso anno, su sette critici interpellati, tutti avevano dato un voto allo stesso romanzo, «Senna notte d'inverno un viaggiatore», di Italo Calvino; cinque avevano indicato «Centuria» di Manganèlli, quattro «La chiave a stella» di Primo Levi e «XI giorno del giudizio» di Satta. Quest'anno il voto più alto è tre: e può già dare una misura della situazione. Ma è singolare che le preferenze dèi critici, al momento della verità, vadano spesso a libri che l'industria culturale non lancia, apparsi presso case editrici minori, ignorati dai premi. Vendetta dei recensori, cattive scelte dell'editoria, o reale povertà del nostro mercato letterario? g.c.

Luoghi citati: Adelphi, Arpino, Città, Strega, Viareggio