Troppo breve questa storia per raccontare l' infinito

Troppo breve questa storia per raccontare l' infinito Zellini: ritratto di un'idea tra letteratura e scienza Troppo breve questa storia per raccontare l' infinito Paolo Zellini BREVE STORIA DELL'INFINITO Adelphi, Milano 257 pagine, 8000 lire QUESTO è Un libro di notevoli qualità e cospicui difetti, ed è difficile parlarne sema far torto alle une, o all'onestà che vuole che si sottolineino anche gli altri. E', inoltre, un li- .. bro di cui è assai arduo descrivere il contenuto. Il titolo 10 presenta come una storia; ed effettivamente il materiale è organizzato almeno in parte secondo un ordine cronologico. Si prendono le mosse dall'^ orrore» dell'antichità greca (espresso in maniera esemplare da Aristotele) per l'infinito, inteso come incompiuto e perciò indeterminato, privo di forma; si fa vedere come anche i geometri antichi che usarono procedimenti che comportavano «passaggi all'infinito» (come 11 metodo, di esaustione di Eudosso) evitassero di attribuire qualsiasi realtà agli insiemi infiniti di cui considerarm.no i termini, e addirittura di nominare l'infinito. Si dice poi come Tommaso d'Aquino accogliesse la tesi aristotelica della contraddittorietà dell'idea di un ente infinito, e perciò negasse a Dio stesso la facoltà di creare un ente così fatto. La condanna ecclesiastica che nel 1277 colpì, sia pure indirettamente, questa tesi di Tommaso (tra altre) non esprimeva soltanto l'opposizione dell'ortodossia ad un'indebita limitazione della potenza divina, ma derivava da un mutato atteggiamento della coscienza, o almeno del linguaggio della Cristianità nei confronti dell'infinito: l'attribuzione dell'infinità a Dio aveva aperto la porta all'ammissione dell'esistenza dell'infinito. Fu questo mutato atteggiamento a consentire le speculazioni dei secoli successivi intorno all'infinito «ih atto»: Zellini le segue attraverso filosofi medievali noti e meno noti, in Bruno, Cusano e Lullo, in Cartesio (che distinse l'infinito, proprio di Dio soltanfo, e l'indefinito, che caratterizza cose che non sono senza limiti in ogni senso, come l'insieme dei numeri e la pura estensione spaziale) e in Leibniz, fino a Bolzano e a Cantar. Fu quest'ultimo a teorizzare la realtà matematica di insiemi infiniti sempre pia «grandi»; ma le antinomie costruibili sulla base della nozione di insieme infinito si incaricarono di cacciarci dal suo «paradiso», sulla cui effettiva consistenza e fondatezza erano peraltro state espresse riserve indipendenti. Il punto d'arrivo del percorso sembra trovarsi, per l'autore, nel pensiero di Weyl: l'infinito attuale non c'è — non esistono enti infiniti — ma c'è un'insopprimibile esigenza di totalità che ci spinge a rappresentare. mediante simboli il completamento di serie e processi (potenzialmente) infiniti. Chi ricorda un po' di storia della filosofia vedrà nell'infinito, così inteso, un'idea della ragione nel senso di Kant; ma per Weyl — diversamente che per Kant — di questo infinito c'è, in un certo senso, scienza, perché le teorie matematiche in cui si rappresenta simbolicamente l'infinito possono raggiungere un'«intrinseca solidità». Quella di Zellini è quindi anche una storia; e come tale è, naturalmente, molto più ricca di quanto possa appa¬ rire dai pochi episodi che si sono nominati. Si tratta però di una ricostruzione storica in cui interferiscono continuamente anacronistici interlocutori: Musil concorda con Aristotele sulla positività del limite e sul potere dissolvente dell'illimitato, Cantar contraddice San Tommaso, la posizione di Goethe sull'autonomia della filosofia della natura è convalidata da Kuhn, Kripke è essenzialista come Schopenhauer. Questi dibattiti tra interlocutori culturalmente distanti, oltre a rendere più vivace il testo (che rasenta a volte il fuoco d'artificio, o il caleidoscopio) mettono in primo piano l'intenzione in fondo più teorica che storica con cui esso è stato scritto: nel discorso di Zellini la disposizione storica del materiale è una trama molto esile, a cui si sovrappone una discussione a molte voci sui problemi concettuali posti dalla nozione di infinito (o dalla famiglia di nozioni la cui teorizzazione ha fatto o può fare uso della parola «infinito»). Zellini ha esplorato le circostanze d'uso e le articolazioni del concetto di infinito, come si parte in cerca di un animale diffuso, ma ombroso e difficile da fotografare. Ma — e questo è un demerito del libro — le immagini che ci mostra sono spesso poco leggibili. Il rapido confronto di posizioni storicamente e culturalmente poco omogenee comporta sempre il rischio di non identificare chiaramente nessuno dei termini del confronto, e quindi di vanificarlo. Ed effettivamente spesso Zellini allude alle tesi tra cui istituisce un dibattito più di quanto non le illustri, e configura alcuni dei suoi percorsi teorici così rapidamente e schematicamente che essi risultano poco convincenti. Ciò è tanto più criticabile in quanto si tratta spesso di teorie e idee tutt'altro che universalmente noie, che non possono essere tutte familiari ad un singolo lettore, anche di vasta cultura. Quanti lettori sanno con precisione sia che cosa significa «vero nel senso descritto da Tarski in Logic Semantics, Metamathematics» (perché poi riferirsi al saggio di Tarski sulla verità attraverso il titolo della collezione dei suoi scritti?), sia qual è «il celebre teorema "sbagliato" di Cauchy sulla con¬ tinuità della funzione limite di una serie convergente di funzioni continue», sia che cos'è «il Vdcindù»? Anche senza avanzare il sospetto che un'esposizione dettagliata di queste idee presentate per bagliori ed accenni ne metterebbe a volte in luce la scarsa pertinenza rispetto al contesto in cui compaiono, questo modo di costruire il testo lascia un'impressione non tanto di élitismo, quanto di retorica: al confronto delle idee rischia di sostituirsi il potere evocativo delle parole e dei nomi, soddisfacendo il desiderio di épatement di eventuali lettóri portati a confondere l'analisi con la poesia concettuale. Questo effetto è del tutto indipendente dalle intenzioni dell'autore, che ha svolto la sua esplorazione in buona fede e probabilmente ne ha ricavato molto. E' un peccato che la sua «storia dell'infinito» non sia stata meno «breve»: ne saremmo stati tutti più illuminati. Così com'è, il libro suscita innumerevoli curiosità; ma per soddisfarle dovremo ricorrere a libri organizzati diversamente. Diego Marconi

Luoghi citati: Bolzano, Bruno, Milano