Vive sulla laguna, ma sogna Trieste

Vive sulla laguna, ma sogna Trieste Vive sulla laguna, ma sogna Trieste Biagio Marin e Ferruccio Folkel, due scrittori veneti a confronto. Folkel è nato a Trieste ed è autore di «Monade», edito da Guanda nel '77 e del «La risiera di San Sabba», libro-inchiesta sullo sterminio degli ebrei in un lager presso Trieste, pubblicato da Mondadori nel '79. Folkel ha incontrato Marin a Grado. Ne è uscito questo ritratto-intervista. HO incontrato per la prima volta Biagio Marin poche settimane fa nella sua villetta che si apre sulla notissima diga-passeggiata di Grado. L'ultimo volume di versi, nella parlata gradese con testo a fronte, non era ancora in libreria, eppure il volume era stato la ragione quasi surrettizia della mia visita; era (è) un libro curato da Edda Serra, con molte poesie già edite e diverse inedite, un'antologia sufficiente per verificare le ragioni e i motivi del suo scrivere versi, motivi e ragion ni che, poi, sono stati deli-. neati e chiariti nell'introduzione dal germanista Claudio Magris. '" Biagio Marin è nato a Grado, nell'impero austro-ungarico, il 29 giugno 1891, nello stesso anno in cui era nato a Vienna mio padre. Ambedue hanno combattuto in Italia nel primo conflitto mondiale. Marin dalla parte degli italiani, come il suo amico Scipio Slataper, l'estroso scrittore triestino ca¬ duto sul Monte Podgòra, ma sul versante nord-occidentale per cui gli fu preclusa la possibilità di rivedere un'ultima volta il «suo» Carso. Mio padre, cittadino ungherese, dalla parte degli impe-. rialregi — non certo per i mediocri Asburgo, come diceva, ma per la parola data, per il senso dell'onore che nell'Impero valeva assai di più del senso della patria. Raccontavo questo a Biagio Marin che voleva interrompermi continuamente, e io non lo lasciavo intervenire, finché sbottò: «Certo, certo». A un dato punto limborazzo prese il sopravvento. Il suo desiderio di scontro frontale scemava, quantomeno l'ansia di uno scontro frontale. Fatto per lui eccezionale aveva una sorta di ritrosia, della cautela, che invece il gradese è un temperamento focoso, è un uomo che per quasi settantanni ha inseguito la gloriat'Spfon ha avuto la gloria, fórse la fama, o una grossa notorietà. Un uomo dalla costanza eccezionale, per settant'anni la sua costanza l'ha aiutato a raggiungere il successo. Negli Anni Cinquanta e Sessanta anche Pier Paolo Pasolini ha parlato di lui, si è interessato a lui... «Sono quasi sordo e cieco», protestava Marin e io lo guardavo con impietosa diffidenza. Tutto vero? Vero in parte? Spésso i poeti sono dei grandi attori, mi dicevo. Mi veniva alla mente — 1947 — la libreria antiquaria di Umberto Saba in via San Nicolò, a Trieste: Saba seduto in una specie di poltrona a sdraio, il berretto in testa, la pipa in bocca, gli occhi acquosi. «Come te sta», diceva. E io mi chiedevo se lo dicesse a se stessQ... «Senta Marin» gli ho sparato in faccia «durante la seconda guerra mondiale lei abitava a Trieste, lavorava come bibliotecario alle Assicurazioni Generali». «Ma io non ero un personaggio importante alle Assicurazioni Generali». «Non era questo che volevo sapere. Ha conosciuto dei tedeschi importanti. Che so? Il Gauleiter del Litorale Adriatico Rainer, oppure il tenente generale delle SS Odilo Lotario Globocnik, triestino, triestino corne me.» Ha sen-, vito parlare del campo di sterminio nazista di San Sabba?». «Qualcosa si sapeva» mi ha risposto. Ma lui, iljpoeta Biagio Mann, era dntitedèsco. «D'accordo, antitedesco e antifascista?». E' trascorso tanto tempo da allora. Molti moltissimi triestini, e non, mi hanno rimproverato. Perché mai hai voluto tirar fuori la Risiera di San Sabba? E' una storia arcisepolta. Credo la pensi così anche Biagio Marin. «E i Furlanem?» lo provocavo. «Che cosa sono stati e sono ì Furlani, i Friulani». Ha protestato, ha reagito, ma a me la sua tesi è rimasta oscura. Me la dovrà ripetere un'altra volta se ne avrà voglia. O forse gli anni mi rendono duro d'orecchi. Oppure era la mia ennesima rimozione. Questa vecchia ruggine che separa i triestini dai friulani. Una tesi un po' sciocca. Vecchi assurdi rancori. «Marin» ho enfatizzato; «che ruolo occupano nella Marca orientale gli slavi, gli sloveni?». Un altro problema, un popolo emergente, un popolo che ha espresso un capo storico come Tito. Non potevo rispondere per lui, mi sarebbe piaciuto. Così come volevo sapere a chi sarebbe andato il suo voto politico. Forzavo la situazione? No, Marin mi ha detto tutta la sua vecchia simpatia per i socialisti. Parlava e io mi sentivo imbarazzato, più imbarazzato di lui. Dalla politica si sarebbe scesi facilJ mente alle ideologie, alle religioni rivelate almeno. Il terreno diventava insidioso. .Non certo per me, forse per lui che ha tanto lottato per .farcela, per darsi un'identità, quella che ho sempre fuggito. Mi ha raccontato che scrìve sempre, ogni giorno. Anche pagine di diario. Ha scritto un diario, un Journal. Come quello di Giorgio Voghera che, con «Diario d'Israele», ha scrìtto un bel racconto d'amore? «No». Però egli stima lo scrittore ebreo Voghera. Ha. molta nostalgia di Trieste. Ma Trieste oggi è così diversa. Diversa da quando? Dai tempi di Schmitz, degli Stuparìch, di Vivante. Siamo andati avanti per più di un'ora, il vecchio poeta gradese e l'uomo della diaspora. Come i colori della laguna mutavano, così mutava il nostro rapporto, i modi del nostro toccarci. Meno acre se non proprio corrivo, le pause più lunghe, il mio distacco più accentuato. Se avesse voluto parlare, perché non lasciarlo parlare? A novant'anni si possono raccontare molte cose, alcune magari sciocche e inutili, altre assai meno. Gli ho chiesto, ricordo — è stata una delle ultime domande — cosa pensasse di Stelio Mattioni di cui era appena uscito per Adelphi «Il richiamo di Alma». Credevo mi avrebbe parlato della Trieste segreta e allucinata che vien fuòri dalle pagine di Mattioni. Ha detto cose diverse, interessanti, vive. Non però quelle che mi aspettavo. Cortesemente, un po' titubante mi chiese: «Lei adesso va a Trieste?». «No, a Milano» risposi malinconico e rassegnato. Czernowitzr Leopoli, Budapest, Vienna, Trieste, Milano. Milano è stata, una tappa della nostra diaspora. Non Gerusalemme, non la Terra Promessa. Feiruccio_F6lkel