Drammaturgo fuori dal cassetto

Drammaturgo fuori dal cassetto Drammaturgo fuori dal cassetto Caro Direttore, sono molto lieto dell'eco suscitata dall'inchiesta sul «drammaturgo nel cassetto», e particolarmente grato al dott. Felcini che nel n. 230 di Tuttolibri definisce, bontà sua, «bellissimo» il mio articolo. Egli però affronta anche un altro problema — quello della pubblicazione di testi — e pone tre domande «ad personam», cui debbo rispondere. E' vero che le riviste tradizionali («Sipario», «Il dramma») o non escono più o sono in crisi; è verissimo che Attisani, nella sua triplice operazione editoriale, ha agito confermando la sua preferenza per il «controteatro». Ma non può essere «Ridotto» il contraltare o l'avamposto da cui combattere in nome del teatro di parola. Rispondo dunque : 1) «.Ridotto»,non può fare pubblicità né a se stesso né ad altri, essendo il bollettino di un Ente morale; per lo stesso motivo non può andare in edicola, mentre circola molto in Italia ed all'estero a forza di abbonamenti e di omaggi: una situazione singolarissima, che non si può modificare. Se il bollettino ha preso apparenza di rivista, lo si deve allo sforzo di Mario Moretti e di Emanuela Petrolati, ma anche questo sforzo trova un limite in una cronica mancanza di fondi. 2) n rapporto con gli amatori è costante, come del resto è compito statutario della Siad, e in questo rapporto il rifornimento o l'indicazione di copioni — né solo di quelli pubblicati su «Ridotto», ma di quelli costituenti il nostro sempre crescente Archivio di Drammaturgia Contemporanea — ha una funzione privilegiata. 3) «Ridotto» è divenuto smilzo per l'aumento dei costi tipografici. Ma quando pubblicava due testi anziché uno, bisognava pur sempre badare alla qualità, alla differenza fra testo già rappresentato e testo inedito da proporre, a tanti fattori che non si risolvono in un «ammasso» quantitativo. Comunque non sono le due o quattro pagine dedicate alla «poesia da recitare» che rubano spazio ai copioni teatrali. Esse servono a rinsaldare il rapporto fra letteratura d'oggi e teatro, un rapporto sempre in pericolo, e che pure si rende necessario ora che una «nuova parola», dopo la traumatica esperienza delle neoavanguardie, s'impone. Perché, se si trattasse della restaurazione della «vecchia parola», io e con me molti altri non ci sprecheremmo un centesimo di buona volontà. O abbiamo imparato qualcosa, da tutto ciò che è accaduto, o davvero è meglio lasciarci morire in un cimitero d'elef anti. Fino a ieri c'era il disprezzo dei letterati per il palcoscenico; non vorrei assistere a un fenomeno corporativo al contrario, ossia al disprezzo o timore dei «commediografi» (oscena parola) verso la letteratura. D teatro italiano moderno è nato dal travaso di tre esperienze letterarie (D'Annunzio, Marinetti, Pirandello) in linguaggio scenico, e avvenne alla barba dei «commediografi» che tenevano il campo. Riacutizzare l'antica, contrasto è anacronistico oltre che dannoso, mi pare. Cordialissimamente Ruggero Jacobbi

Persone citate: Attisani, D'annunzio, Emanuela Petrolati, Marinetti, Mario Moretti, Pirandello, Ruggero Jacobbi

Luoghi citati: Italia