L'Italia della ragione e quella «che non va» di Giovanni Spadolini

L'Italia della ragione e quella «che non va» In una nuova raccolta di saggi l'analisi di Spadolini «laico impegnato), L'Italia della ragione e quella «che non va» Giovanni Spadolini L'ITALIA DEI LAICI Le Monnier, Firenze 445 pagine, 12.500 lire INFATICABILE scrittóre — ed altrettanto infaticabile editore — Giovanni Spadolini arricchisce l'importante collana dei «Quaderni di storia» da lui diretta (e già arrivata a superare i cinquanta volumi) con una nuova raccolta di suoi saggi, articoli, discorsi e recensioni. Sono quaranta «pezzi» raggruppati in quattro parti, strutturalmente ben connessi e concettualmente continuativi, tanto che la lettura non dà la sensazione fastidiosa che si prova davanti a scritti d'occasione allineati e ristampati. Dall'inizio alla fine, il filo conduttore è ben visibile, e l'unità dell'opera non soffre cedimenti. Si può parlare di un lungo discorso che Spadolini .ha intrapreso una trentina di anni fa, e che continua ininterrotto nella sua immutata ispirazione, perfezionandosi per via di aggiornamenti e approfondimenti, mirabile per coerenza ed in un certo senso sorprendente per la eccezionale capacità di impegno e di lavoro di cui è prova. Non è far torto a Spadolini se si parla innanzitutto di straordinaria fecondità. La mole della sua produzione è facilmente documentabile in sede bibliografica: ha scritto quanto San Tommaso, si diceva scherzosamente una volta di grandi autori prolifici, ma qui si deve aggiungere che sterminate sono anche le letture del Nostro, come appare dalla ricchezza delle sue citazioni di opere altrui. Non gh è sfuggito nulla di importante in fatto di documenti, diari e carteggi; la storiografia moderna e con- temporanea non ha misteri per lui che si aggira sicuro da signore e padrone fra l'edito e l'inedito. Direi che proprio in questo sta il segreto della risultante unitaria della sua produzione. E* in virtù della posseduta conoscenza che Spadolini arriva a dare un senso alla nostra storia, quella vissuta e quella in fieri. Quando si abbiano presenti le sue opere (a partire dalle più vecchie come «Il papato socialista» — un classico oramai — e da «L'opposizione cattolica», «Giolitti e i cattolici», «Il Tevere più largo») è facile riscontrare fra la pur grande varietà dei temi la singolarità di un'interpretazione di carattere geniale che si risolve nella lotta e nel contrasto, in atto ancora ai giorni nostri, fra due Italie. Non sarà il caso di definire con un'etichetta l'una e l'altra; basterà dire quale è l'Italia che Spadolini preferisce (anche se talvolta è costretto a ridursi a vagheggiarla). E' «L'Italia della ragione», sopravvissuta a «L'autunno del Risorgimento», tanto per citare i titoli di due volumi che sono l'ideale introduzione a «L'Italia dei laici», in una trilogia Che da sola potrebbe costituire il vanto di uno storico. Per ciò che è l'altra Italia — quella che Spadolini non ama — sarebbe più difficile trovare un'etichetta: non possiamo chiamarla l'Italia cattolica, dato che Spadolini non soffre di pregiudizi anticlericali, e tanto meno di manicheismi culturali, ma è lecito indicarla con una battuta che ha largo corso, e vale a dire semplicemente come «l'Italia che non va». Spadolini è dalla parte dell'Italia delle minoranze intellettuali al confronto con la realtà politica; è dalla parte dell'Italia del dissenso culturale e civile, degh eredi di una storia che viene da lontano. In quésto senso, dire l'Italia della ragione e l'Italia dei laici è dire in pratica la stessa cosa, e se non fosse stato per motivi di editoria anche questo cinquantesimo quaderno della collana di Le Monnier avrebbe avuto lo stesso titolo del quarantatreesimo, cioè «L'Italia della ragione». Però -— avverte l'Autore con una punta di melanconia — «l'industria culturale di oggi, nevrotica é divoratrice, non consente la continuazione, per tomi, della stessa opera. Non c'è più la pazienza del libraio nel distinguere il primo dal secondo volume; forse neanche più la pazienza del collezionista nel raccoglierli». Anche questa è una nota che si inserisce nel panorama di quella certa disattenzione culturale caratteristica dell'altra Italia, la non amata da Spadolini. Ma non per tanto egli abbassa le armi della ragione, ed in questo volume continua a fare opera di ammaestramento, a grandi colpi di intuizioni argomentazioni, registrazioni, documenti. Per chi sa leggere c'è da istruirsi e divertirsi ad un tempo. Bellissime, ad esempio, le pagine del diario di Tomaso Gallarati Scotti, fino a qui sconosciute. E poi certi episodi Uluminanti, come gli scontri parlamentari fra Giolitti e Salvemini, con Giustino Fortunato nello sfondo: danno il senso del collegamento fra l'Italia prefascista e l'Italia postfascista, in un quadro che tutto sommato può essere abbastanza desolante. Diceva Fortunato che il 28 ottobre 1922 «cadeva l'ultima foglia dell'albero delle mie illusioni, ed io mi destavo come dall'avere perseguito un sogno: l'Italia medioevale dei Comuni e delle Signorie, l'Italia — tanto decantata — del Rinascimento, era sempre la stessa; e noi sempre, da soli o uniti, costretti a dibatterci tra la rivoluzione e l'assolutismo, disadatti, cioè, a procedere di pari passo con i maggiori Stati dell'Europa occidentale...». E' così che si prende atto della nostra storia, ma Spadolini non arriva al pessimismo di Giustino Fortunato, uno dei grandi laici dell'Italia della ragione, «quella che sembra oggi battuta in breccia dai ritorni dei demoni dell'irrazionalismo e della violenza», «dai manicheismi imperanti in tutti i settori, anche in quello degli studi...». Codeste sono citazioni da Spadolini (pag.' 192 e 193) ma non si deve credere che egli per ciò sia disposto a disertare il campo della lotta: tutto al contrario, continua a battersi come studioso, come scrittore e come storico, nonché — last but not least —= come politico culturalmente impegnato. ; Vittorio Gorresio