Tra Urss e Stati Uniti uguaglianza nei jeans

Tra Urss e Stati Uniti uguaglianza nei jeans Tra Urss e Stati Uniti uguaglianza nei jeans DA anni ormai, attraverso i rivoli più o meno clandestini dell'esportazione individuale, i Paesi dell'Est europeo venivano ritorniti di una particolarissima merce controrivoluzionaria, ben più efficace e pericolosa di molte pubblicazioni capitaliste occidentali Da Trieste, attraverso i valichi di frontiera, stipati nei portabagagli delle automobili ma ancora più stipati addosso ai singoli intermediari (che arrivavano a indossarne fino a quattro o cinque paia uno sull'altro) i jeans varcavano la frontiera, arrivavano a Lubiana, Zagabria, Belgrado, e da lì a Sofia. Praga, e finalmente a Mosca. E' con sorpresa — ma in fondo senza troppa meraviglia — che, l'altro giorno, ho letto sul giornale la grande notizia: sette milioni di jeans «Jesus» fabbricati a Torino verranno forniti all'Urss in cinque anni Perché ho detto «senza meraviglia»? Appunto perché sapevo, da sempre, di questo commercio clandestino. Anzi mi ero spesso chiesto: perché non se li fabbricano da sé; e soprattutto: perché ci tengono tanto ad averli? Solo perché sono comodi, resistenti, adatti ad ogni uso; o non piuttosto perché costituiscono uno status symbol dell'Occidente? Da molti decenni esiste nell'Unione Sovietica uno slogan: «Dognaf i peregnat' Ameriku», ossia raggiungere e sorpassare l'America. Essere sprovvisti di jeans significava evidentemente per l'Impero Russo non poter,raggiungere mai l'Altro Impero; almeno per quel che riguarda gli arti inferiori; che non è dir poco. Ecco, dunque, che a un certo punto, avere e indossare i preziosi pantaloni, non più di straforo, è divenuta una necessità politica prima ancora che commerciale o. estetica. Finché quest'azzurro indumento era clandestino, trafugato con ognrstratagemma attraverso la «porte étroite» della Venezia Giulia, la sua presenza era. tutto sommato, controproducente. Ormai i giovani così vestiti erano legione; ma una «legione straniera» che, volere o no, aveva importato il frutto proibito; si era adeguata ai costumi e alle mode occidentali, disprezzando quelle nazionali a costo di chissà quali sacrifici. (Che poi spetti all'Italia di diventare la maggiore produttrice e riesportatrice di questo prodotto, non mi sembra strano: tutti sanno che i primi jeans, inventati da Lévi-Strauss — non l'antropologo, ma non meno geniale del suo omonimo — furono costruiti con la famosa tela da tenda comprata e prodotta a Genova: da cui il loro nome). Ma ora che i jeans verranno importati ufficialmente nell'Urss (e per di più provvisti d'un marchio blasfemo come quello di Jesus a dimostrare come la roccaforte del cattolicesimo non abbia riguardi nel servirsi di Gesù come etichetta per i suoi prodotti) ecco che la peccaminosità di questo indumento (e quindi il suo fascino, indiscreto) verrà probabilmente a cessare. Divenuta merce di Stato, da acquistare presso tutti i magazzini popolari, a un prezzo certo minore di quello che rag-, giungeva passando dai magliari siculotriestini a quelli lugo-cechi-ucraini, ecco che i trionfanti, americanissimi jeans, si trasformeranno, nel giro di pochi mesi, nella tenuta normale dell'uomo della strada, dell'operaio, dello studente. Avranno perduto ogni alone magico; non avranno nemmeno più bisogno di finte scoloriture, di sfilacciature artificiali, per denunciare il loro invecchiamento, e permetteranno all'Urss di avere raggiunto gli Usa, in questo fondamentale settore. (Il che potrebbe anche risultare un primo passo verso una globale metamorfosi del costume e, perché no. dei canoni estetici di quel Paese). Quale morale dobbiamo trarne? Tempo fa rimasi molto scosso vedendo, in un'agenzia di viaggi, il manifesto pubblicitario di un bambino cinese, con indosso la classica tuta azzurrognola, il quale — con aria compiaciuta — si disseta con la fatidica bottiglietta di Coca-Cola. E' il segno, pensai, della fine d'ogni autonomia politico-rivoluzionaria "in quest'immensa nazione. Ma. invece forse non è cosi né per la Coca cinese, né per i Jesus russi. Forse è davvero un primo segno del fatto che solo adeguandosi ci si può differenziare, secondo un noto adagio già messo in luce dal vecchio Simmel una sessantina di anni or sono. Solo chi avrà adottato gli usi e i costumi degli altri potrà a sua volta differenziarsi dagli stessi. Chissà — e me lo auguro — che l'U nione Sovietica, una volta accettato — sia pur a malincuore — di adeguarsi a certi costumi occidentali non riesca a superarli e a trovare quell'autonomia (di pensiero oltre che di vestiario') che può verificarsi solo dopo che sia avvenuto un globale e reciproco adeguamento. Gj|Io Doriìes

Persone citate: Gesù, Simmel, Strauss