Gerusalemme crolla lo storico scrive di Carlo Carena

Gerusalemme crolla lo storico scrive Saggio di Vidal-Naquet su Flavio Gerusalemme crolla lo storico scrive Pierre Vidal-Naquet IL BUON USO DEL TRADIMENTO Introduzione di Arnaldo Momigliano Traduzione di Daniella Ambrosino Editori Riuniti, 191 pagine, lire 5800 QUELLA che fu, secondo molti, l'attuazione profetica di Gesù sulla sua città, la distruzione di Gerusalemme nel 70 ad opera dei Romani, ebbe un testimone d'eccezione, bieco o accorto, comunque notevole non solo come storico: importante perché ne fu 11 narratore, e interessante perché pone brillantemente il problema personale e storico degli Ebrei nel rapporto con gli altri popoli e col proprio destino. Perciò Pierre Vidal-Naquet, suo correligionario ed esponente di punta della nuova storiografia francese, insegnante all'Ecole de Hautes Etudes, gli dedica uno studio dove riprende una propria introduz\ onead una versione francese del capolavoro di Giuseppe, La guerra giudàica (per una traduzione italiana recente si veda nella collana della Fondazione Valla); e dove la situazione e il caso prevalgono sull'intreccio dei fatti: tanto che gli può imporre uno dei più bei titoli di questi ultimi anni: H buon uso del tradimento. Nàto nel 37-38 dopo Cristo, Giuseppe, Flavio a Ro^ ma, era un sacerdote aristocratico che, a capo .della Galilea, era caduto in mano dei Romani nell'assedio e conquista della città di Iotapata. Si salvò profetando che Vespasiano sarebbe divenuto imperatore. Fu perciò a fianco di Tito durante l'assalto e il crollo di Gerusalemme nel 70 e poi pensionato a Roma, con ampio agio di narrare, non senza apologia, quella guerra e, nelle Antichità giudaiche l'intera storia ebraica. La sua avversione per gli estremisti zelpti era altrettanto estrema, pari al suo gusto per l'opportunità, in un'estraneità verso gli atteggiamenti più radicati del proprio popolo e alla sua travagliata condizione d'incomunicabile gocqia d'olio. In quella «febbre d'assedio» che infiammò fino alla follia di «Libertà ò morte» i miserabili assediati di Gerusalemme, e che li ha fatti spesso paragonare ai rivoluzionari francesi dell'89 o, da Renan, ai Parigini del '71, Giuseppe è stato confusamente presentato come il transfuga opportunista o l'acuto politico, che, com'egli stesso confessa e cerca di dimostrare ha aderito alla causa vincente per salvare il salvabile, per intercedere per molti e preservare gli eleménti più prof ondi essenziali, della propria cultura nazionale: la fede, il dio. Cosi anche per Vidal-Naquet, egli diventa il tramite fra due mondi tenta un'osmosi di conquiste civili e spìritualt Qualcosa di simile a Polibio più di duecent'anniprima, rimasto prima fra i suoi achei moderati e passato poi al campo romano quando vi erano prevalsi i fanatici gli antidemocratici. Ma questa era stata una scelta puramente politica e culturale Non aveva le implicazioni razziali e religiose che così fortemente dovevano operare nel caso di Giuseppe. Meno sicuro di fronte a questo personaggio per molti aspetti indecifrabile, unico testimone di se stesso e sostanzialmente solo anche per gli eventi che narra, è Arnaldo Momigliano nell'introduzione al volume (ma si veda anche la sua recente Sapienza straniera, Piccola Biblioteca Einaudi). Momigliano mostra l'estraneità dello storico alle correnti più genuine e tipiche dell'ebraismo del suo tempo e del successivo, cioè l'apocalittica e la sinagoga. Giuseppe può sopravvivere ma solò in una diaspora colta, che si presenta all'ellenismo solo con la Bibbia, in un giudaismo «appiattito, non falso e .non triviale, ma reiorico, generico e poco reale». Perciò Giuseppe vive e sopravvive fuori dal suo popolo, che non lo lesse, escluso dal travaglio e dall'impegno di una nazione senza Stato. Il suo «buon uso del tradimento» ricorda comunque il buon uso pàscaliano di una malattia. - l. ■ . ^ ." Carlo Carena

Luoghi citati: Gerusalemme, Polibio, Ro, Roma