Levi Montalcini il mio viaggio al centro del cervello di Bruno Ghibaudi

Levi Montalcini il mio viaggio al centro del cervello A colloquio con la scienziata, che sta scrivendo la sua autobiografia Levi Montalcini il mio viaggio al centro del cervello Alle sue ricerche si deve la scoperta del NGF, il fattore di crescita delle cellule nervose «Il nostro cervello è il risultato di un processo evolutivo iniziato un miliardo e mezzo di anni fa» Da dieci anni è ritornata a lavorare in Italia ROMA — Dal microscopio alla penna, dalla scienza alla letteratura, dalla ricerca all'autobiografia. Anche Rita Levi Montalcini, la scienziata diventata famosa in tutto il mondo per le sue ricerche sulle cellule nervose, sta per confidare le sue esperienze e le sue riflessioni di ricercatrice e di donna alle pagine di un libro già programmato per una collana della Boringhieri dedicata alle «vite nella scienza». I due aspetti sono strettamente collegati: forse la ricercatrice non avrebbe raggiunto traguardi cosi prestigiosi se la donna non fosse stata così tenace, volitiva, decisa ad opporsi alla violenza degli uomini e all'avversità delle circostanze. «Non so se riuscirò davvero a scriverlo — insinua con prudente dolcezza — ma farò di tutto per riuscirci». La riserva non deriva affatto da una scarsa consuetudine con la macchina da scrivere. Rita Levi Montalcini ha già scritto altri libri e il suo recente impegno con la Boringhieri non si limita all'autobiografia. «I libri che devo scrivere sono tre—spiega —. Il primo, che scriverò in collaborazione con il prof. Calissano, è riservato ai neurologi e agli studenti di neurologia e avrà per tema il sistema nervoso. Sarà diviso in tre parti, ognuna delle quali suddivisa a sua volta in due grandi capitoli, dedicate alla cellula nervosa, alla trasmissione degli impulsi e al comportamento». n secondo libro ha già un titolo: I tre cervelli. Si tratta di una riscrittura aggiornata di un saggio sul sistema nervoso, elaborato anni fa per la Rizzoli in collaborazione con Moruzzi e Angeletti, n saggio, intitolato II messaggio nervoso, era stato pubblicato quattro anni dopo la consegna del dattiloscritto, aveva avuto un discreto successo nonostante la scarsa pubblicità e poi era stato abbandonato. «Nella stesura precedente parlavo dell'evoluzione del sistema nervoso e della modalità di funzione dei centri superiori. Il nuovo libro, che scriverò da sola, sarà invece meno evoluzionistico, meno filogenetico, meno anatomi- co e punterà di più sulle componenti e sulle modalità strutturali, funzionali e comportamentali dei tre cervelli»^ H tema è affascinante. «Il nostro cervello è il risultato di un processo evolutivo iniziato circa un miliardo e mezzo di anni fa — spiega Rita Levi Montalcini —. Lo costituiscono varie vescicole, una incapsulata nell'altra e assimilabili a cervèlli differenti per evoluzione, per complessità e per funzione. Il-primo cervello è il più arcaico: lo abbiamo ereditato dai rettili ed è legato alla sopravvivenza dell'individuo e della specie. Non mólto evoluto, è la base di alcune tradizioni rituali, religiose, che hanno a che fare con la sopravvivenza e con la compattezza di gruppo. Rappresenta la parte più stereotipata del nostro comportamento e delle nostre abitudini». Al di sopra di questo c'è un secondo cervello, pure arcaico e scarsamente evoluto, comune anche ai mammiferi e ai vertebrati. E' la parte che presiede all'emotività e alla vita più istintiva e legata alla sopravvivenza. A cau¬ sa della scarsa evoluzione subita nel corso dei millenni, il cosiddetto circuito dell'emozione è rimasto praticamente identico a quello che l'uomo primitivo possedeva nell'era neolitica e non differisce neppure da quello dei mammiferi che hanno preceduto l'uomo. «Il terzo cervello è quello tipicamente umano, caratterizzato dalla corteccia cerebrale e dalle circonvoluzioni — aggiunge Rita Levi Montalcini — anche se la corteccia e le circonvoluzioni non sono una prerogativa esclusiva della nostra specie. Nell'uomo il terzo cervello si è evoluto e differenziato moltissimo, fino a dividersi nei due componenti complementari, e cioè l'emisfero destro e quello sinistro. Nel mio libro racconterò come i tre cervelli' si sono evoluti e come funzionano». L'autobiografia conterrà le tappe principali della vita. La recente assegnazione del Premio Internazionale Saint-Vincent per le scienze mediche, patrocinato dall'Unesco e daU'Oms e assegnato da una giuria di scienziati di 32 Paesi,»ha fatto conosce- re anche al grande pubblico questa anziana signora che in una figurina esile e delicata da damina del Settecento cela una volontà un'intelligenza e una capacità di adattamento che molti uomini continuano ad invidiarle. «La mia vita è stata in un certo senso "unusual "—premette senza riuscire a filtrare le reminiscenze spontanee di una lingua che le ricorda la sua seconda patria. — Nel raccontare gli avvenimenti più salienti della mia vita di donna e di ricercatrice e nel descrivere i miei contatti conte numerose personalità scientifiche incontrate, cercherò di approfondire i miei rapporti con l'ambiente vittoriano nel quale sono nata e cresciuta, il trauma della persecuzione razziale, gli anni difficili della "guerra e del dopoguerra, l'enorme apertura alla speranza rappresentata dagli Stati Uniti, e cioè da un mondo con il quale ero molto "congenidl", le vicende collegate alla scoperta del fattore di crescita delle cellule nervose, e infine il reincontro con l'Italia e le ombre attuali». Rita Levi Montalcini nasce a Torino il 22 aprile Ì909 dà una distinta famiglia di origine ebraica. U padre è ingegnere. «La nostra era una famiglia di liberi pensatori, permeata però di quell'atmosfera patriarcale e restrittiva nei confronti della donna che caratterizzava quel periodo. In famiglia non c'erano tabù religiosi ma c'era una forte differenza di ruolo fra Uomo e donna, il tutto semplificato dalla forte figura di mio padre e da quella dolcissima di mia madre. Da parte mia c'era il rifiuto di aderire a questi schemi e la difficoltà ad accettarli, nonostante la mia naturale timidezza e malgrado le imposizioni dell'ambiente. C'era quindi un continuo conflitto fra i desideri e le possibilità di realizzazione tipiche di una società patriarcale e molto ligia alla tradizione, molto rigorosa neWimporre alla donna un ruolo per me inaccettabile». In quest'ambiente vive i suoi vent'anni, poi si iscrive alla facoltà di medicina, che frequenta in compagnia dei futuri Premi Nobel Salvatore Luria (1969) e Renato Dulbecco (1975). Ma qui, soprattutto, incontra il famoso istologo Giuseppe Levi, padre della scrittrice Natalia Ginzburg, che tanta influenza avrà poi nella sua vita. Si laurea nel 1936 ma dUe anni dopo le sue speranze di intraprendere ufficialmente le ricerche in campo neurologico si infrangono contro le leggi fasciste che privano i cittadini non ariani del diritto di esercitare la libera pro¬ fessione di medico. Ma Rita non disarma. Allestisce un piccolo laboratorio nella sua camera da letto, in corso Re Umberto 12, e incomincia le sue ricerche .sperimentali sugli embrioni di pollo. «Cercavo di capire perché un embrione si sviluppa in un certo modo — spiega —. Ho mani buone e ottimi occhi e quindi riuscivo a modificare quest'embrione molto piccolo (circa 2 mm) e poi analizzavo le conseguenze delle modifiche sullo sviluppo del sistema nervoso». La guerra la costringe a rifugiarsi a Firenze, dove vive sotto falso nome («underground», precisa lei), collaborando con il partito d'azione (falsifica i documenti che serviranno ai partigiani). All'arrivo degli alleati esce dalla clandestinità e incomincia a prestare servizio attivo come medico nella zona di Firenze. Torna quindi a Torino, dove il prof. Levi è stato reintegrato alla cattedra di anatomia. Nell'autunno del 1946 il prof. V. Hamburger, uno scienziato tedesco emigrato negli Usa e impegnato nelle stesse ricerche di neurobiologia, viene a conoscenza dei lavori di Rita e la invita come ricercatrice alla Washington University di St. Louis. «Dovevo starci un solò anno ma poi ho avuto subito un incarico permanente e ci sono restata per trenta», commenta con piacevole rassegnazione. Nel 1953 ecco la sensazio¬ nale scoperta dell'Ngf, il fattore di crescita delle cellule nervose. Sulle sue ricerche si concentra l'interesse degli scienziati di tutto il mondo. «Fin dal primo giorno ho avuto la convinzione che si trattava di und scoperta di enorme importanza — ripete ancora oggi —. E ' stato il primo fattore specifico di crescita scoperto e caratterizzato a livello chimico e del quale, successivamente, abbiamo indi-viduato i meccanismi d'azione». Nel 1961 mcomincia a far la pendolare con l'Italia: a Roma, presso l'Istituto Superiore di Sanità, ha stabilito uri Centro di ricerche in neuroembriologia in collaborazione con il laboratorio da lei diretto presso la Whashington University. Nel 1969 ritorna in Italia, a dirigere il Centro di Neurobiologia del Cnr e vi si stabilisce definitivamente. «Diciannove anni fa l'inizio della mia attività di ricerca in Italia è stato molto promettente ma oggi ho perso gran parte del mio ottimismo — commenta con amarezza —. Conservo invece immutata la mia fiducia nella gioventù, che in Italia trovo particolarmente buona. E' una gioventù alla quale si do-vrebbe poter dar molto, perché sa prendere anche il poco che le si dà. Ho quindi un cauto ottimismo nei confronti dei giovani e un forte pessimismo nei confronti dell'ambiente». Bruno Ghibaudi