Il sonnifero del tiranno

Il sonnifero del tiranno L'audace libello di La Boétie contro la Francia di Enrico II Il sonnifero del tiranno Etienne de La Boétie DISCORSO SULLA SERVITÙ' VOLONTARIA - a cura di Luigi Geninazzi Jaca Book, Milano, 115 pagine, 2200 lire ALLA metà del XVI secolo, quando allo slancio di Francesco I succede la ben più incerta politica di En. rico II, alle soglie di una guerra civile che condurrà la Francia quasi sull'orlo del disfacimento, nella provincia d'Aquitania un giovane di circa vent'anni, di vasta cultura e vivacissimo ingegno,, scrive un audace libello contro gli arbitri ed i misfatti del dispotismo. Si chiama Etienne de La Boétie, sarà tra breve consi-. gliere del Parlamento di Bordeaux, è l'amico più caro di * Montaigne che, morto La Boétie giovanissimo, ne erediterà e conserverà tutte le carte e farà dei suoi rapporti con lui l'eniblema del più fraterno sodalizio. Il suo libello rimarrà nella storia col titolo di Discorso sulla servitù volontaria. Montaigne lo vorrà inserire negli Essais ma poi l'uso fazioso che del testo faranno i polemisti ugonotti, strumentalizzandolo come arma tagliente contro i monarchi cattolici, indurrà il filosofo perigordino ad accantonare quel progetto, ad attenuare la portata dell'opera, a sottolinearne il carattere giovanile e quasi scolastico, a confermare il lealismo monarchico dell'amico scomparso. In realtà, come si è detto, in quelle pagine l'estremismo protestante aveva visto un forte ordigno sovversivo. Più tardi, tutti i teorici della rivolta ricorreranno al Discours di La Boétie assimilandone le possenti argomentazioni. Oggi, si ritorna a quel testo per riproporlo come contestazione del potere. Questa nuova edizione italiana, rigorosa ed attenta sia nell'ampia premessa sia nella scrupolosa traduzione, forse indulge un po' troppo a quest'ultimo orientamento interpretativo. I canoni della scuola di Francoforte e gli schemi opinabili di Deleuze e Guattari probabilmente hanno indotto il curatore ad alcune delle sue formule perentorie: La Boétie esprimerebbe un suo netto giudizio sulla «illegittimità di ogni potere», un suo chiaro rifiuto dell'«organizzazione statale in quanto tale» (p. 46), la sua opera rappresenterebbe «uno sconvolgimento vero e proprio dei presupposti classici e moderni del potere» (p. 50), in essa sarebbe oggi da vedere «l'inizio di un pensiero negativo» in merito, ancora una volta, al potere politico (p. 58). L'argomentazione è serrata ma non mi pare che si possa condividere: opera in essa un atteggiamento anti. storico che lascia per lo meno perplessi. Aveva le idee di Rousseau Montaigne, in fondo, non aveva tutti i torti: nel libretto si avverte il procedere un po' ansimante dell'esercitazione retorica, non foss'altro che per il sostrato erudito che vi affiora con ogni evidenza, per la severa impalcatura classicheggiante che gli dà i crismi del discorso accademico, per i rinvìi a un codice culturale tutt'altro che peregrino per i lettori del tempo: Erodoto e Plutarco, Tacito, Svetonio e il dialogo di Senofonte sulla tirannide. La Boétie, ci assipura Montaigne, fu un leale sùddito dei sovrani di Frància, e di questo forse è lecito clubitare, dato l'accento indubbiamente repubblicano di un'opera a cui forse non è estraneo (lo dimostrò Henri Weber in un convegno torinese del 1974) il modello degli scritti politici degli umanisti italiani del Quattrocento. Tuttavia, non il potere in quanto tale il giovane polemista mette al centro della sua analisi stringente, bensì il potere dispotico, la tirannia di un singolo su deboli ed inerti collettività. Nessun respi-. ro anarchico è dato cogliere in queste pagine concitate. La Boétie, come Rousseau, è convinto che l'uomo nasca libero, che l'ansia di libertà sia la fiamma che dà alimento alla sua dignità. Ma di Rousseau avrebbe anche condiviso l'appassionato auspicio: «Avrei voluto vivere e morire libero, cioè talmente sottomesso alle leggi che né io né nessuno potesse scuoterne l'onorevole giogo». Sono parole di JeanJacques, cui si pensa quando s'incontra, nel Discours, non solo la difesa del «vincolo che ci lega in un patto di convivenza sociale», ma persino la volontà di «morire mille volte piuttosto che riconoscere altro signore all'infuori della legge e della ragione». Contro le maschere del potere Non, quindi, una genèrica contestazione di ogni forma di potere in quanto tale: una simile lettura stempera la portata del testo appiattendolo sulla linea generica di un infantile rigetto. Bensì l'argomentata discettazione sui modi e le ragioni della tirannia, sugli strumenti di cui il despota fa uso per ridurre all'acquiescenza i suoi sudditi e spegnere nei loro animi ogni anelito d'indipendenza. Letto a questo modo, il Discours acquista ai nostri occhi i colori della più sorprendente attualità. Le tirannidi antiche e moderne vi trovano la loro analisi e la loro condanna H potere dispotico è puntellato innanzi tutto dalla complice assuefazione dei sudditi: il ricordo della libertà scompare in breve dalla loro coscienza, né è pensabile che approdi alla «dissidenza» chi mai è vissuto sotto libere istituzioni. La tirannide, inoltre, scopre nei libri e nel sapere i suoi avversari più temibili, fa tacere là voce che sa esprimersi con mdipendenza, si giova delle tenebre dell'ignoranza e le controbilancia con concessioni demagogiche, col brillìo esteriore della propaganda ciarlatana, con tutto ciò che può condurre ad «addormentare la plebe». Ma soprattutto, il potere dispotico raccoglie attorno a sé «tutta la feccia del regno», sa ingabbiare il paese contro una rete di servile cortigianìa, la rigida struttura gerarchica, i favoritismi, il rapporto clientelare creano un tessuto connettivo che è difficile, poi, lacerare, che blocca vischiosamente le libere energie della nazione. n Discours si configura, così, come inno alla libertà, come vibrante rivendicazione dei diritti politici. In questi termini prende forma un messaggio che ad oltre quattro secoli mantiene intatta la sua eloquenza e la sua efficacia. Non si risolve in un generico rifiuto, alibi di comodo che maschera le differenze e copre le offese più patenti, bensì nella condanna di un'auctoritas la cui prassi consiste nella violazione del diritto. , Lionello Sozzi

Luoghi citati: Aquitania, En, Francia, Francoforte, Milano