Per Festa Campanile conviene peccare ma con molto amore di Renato Minore

Per Festa Campanile conviene peccare ma con molto amore Per Festa Campanile conviene peccare ma con molto amore ROMA — La casa di Pasquale Festa Campanile è stracolma di libri. Spuntano fuori da ogni parte, sugli scaffali che sembrano essere l'unico oggetto di arredamento, a terra in grosse cataste, sulle sedie. Tra quei libri, c'è di tutto, collezioni di classici e anche molta narrativa italiana contemporanea... E' il tutto che può aver messo insieme, con gusto e tanta curiosità, uno scrittore che per tanti anni ha fatto, e continua a fare, un altro mestiere, il regista, traendone popolarità e molti quattrini. Già, questo rapporto con la letteratura è assai complicato... Alle origini c'era il romanziere di «Nonna Sabella», pubblicato nel 1957 e assai lodato da critici il cui giudizio era a quei tempi vangelo; per esempio, Emilio Cecchi. Poi, venne il film tratto dal libro e, con il film, l'avvio di una macchina vorace che assorbe tutto, tante regie di successo e anche il plauso della critica, soprattutto quella straniera (a proposito del «Merlo maschio», Le Monde ha parlato di «comicità sconvolgente», di «lucidità distruttiva»). E, nel frattempo, la letteratura?, Festa Campanile parla lentamente, nelle sue frasi intuisci una cadenza meridionale che tanti anni romani non hanno cancellato: «E* stato per lungo tempo un rapporto di rimorso, per ciò che avrei potuto fare e non facevo, preso dal cinema come mestiere, per altro assai divertente. Del resto, facevo un cinema "narrativo", come racconto e come storia, che poi è la mia stessa idea di letteratura. E molti miei film potevano essere libri che non ho scritto: come "Le voci bianche" e "Il merlo maschio"». Poi, questi libri li ha cominciati a scrivere, qualcuno dice pensando già al film da girare. Ma Festa Campanile smorza subito la malignità: «Certo, scrivendo ho in mente "anche" il film. D cinema permette una lettura più ampia. Perché vergognarsene?». Questi libri, nati dopo un (ungo silenzio, si chiamano «Conviene bene fare l'amore», «H ladrone», e, ora, di imminente uscita presso Bompiani, «n Peccato». «Sono tornato alla letteratura vincendo il rimorso. Non rinnego il cinema: credo che sia prezioso fare esperienza letteraria dell'esperienza del cinema». Parliamo di questo «Peccato», Festa Campanile non conosce l'omonimo romanzo di Giovanni Baine: eppure certe analogie sono sorprendenti. In Baine, c'è l'incontro d'amore tra una novizia e un intellettuale, malato come era lo scrittore che morì di tisi nel 1917. In Festa Campanile, l'incontro è quello di una ricoverata in un sanatorio e di un cappellano militare durante la prima guerra mondiale. Dunque, stesso conflitto tra ordine e trasgressione, tra malattia e sanità. Nello scrittore napoletano non c'è alcun rovello psicologico alla Boine: c'è una più pacata e «narrativa» accettazione dei moduli anche corali secondo cui il romanzo si svolge, con le ricoverate e i soldatini a rincorrersi in un clima di morte e di apocalisse che spinge a feroci accoppiamenti. Dice Festa Campanile: «E' la malattia, è la consapevolezza di una fine quasi sicura che favorisce l'accendersi dei sensi Così il cappellano Rino e l'inferma Donata vivono il tormento della loro storia fino in fondo. Rino non vorrebbe, sente il dovere della castità, ma è anche un uomo profodamente ir crisi che non sa più da che parte stare, ne: momento in cui fucilano i cosiddetti disertori e a lui è richiesto il ruolo di mediatore d ideali e di parole d'ordine cui non crede più». Cosi, in uh mondo disperato, l'unico gesto possibile diventa quello d'amore: a Donata restano pochi mesi di vita, Rino non ha più una sua identità, ecco dunque «il peccato»... Viene in mente un altro libro di Festa Campanile, «Conviene bene fare l'amore»; anche lì il «messaggio» era l'amore come estreme possibilità di comunicazione, in un mondo disumano. Ma, lì, c'è la favola avveniristica, l'ironia, il tono parodistico: nel «Peccato» c'è un'aria cupa da tragedia, la rivisitazione (molto «controcorrente»; dice lo scrittore) del. nostro passato, con l'aiuto di testi «classici» sulla prima guerra: come quello di Lussa e «il non dimenticato, anche se fanno di tutto per dimenticarlo, "Addio alle armi"». Dalla parodia alla tragedia: anche il cinema di Festa Campanile è assai eclettico. Come giudica l'autore questa disponibilità a presentarsi con più facce? «Non amo gli scrittori coerenti, quelli che scrivono sempre lo stesso libro. Rivendico a me il massimo d'incoerenza, la possibilità di saggiare più "storie", quindi diversi strumenti espressivi per mediarle. E anche l'umiltà che è sempre necessaria per scrivere un romanzo». E' questa la più ferma convinzione della sua poetica? No, ce n'è un'altra: «La chiarezza, il rispetto del pubblico cui ti abitua il cinema. Non sono d'accordo con Manganelli, che stimo per altro grandemente come narratore, quando dice che il nostro primo dovere di scrittori è di essere oscuri». Renato Minore Pasquale Festa Campanile con Lilli Carati

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