Il Buon Selvaggio è un dittatore

Il Buon Selvaggio è un dittatore Tragedia, farsa e satira nel romanzo «africano» di Updike Il Buon Selvaggio è un dittatore John Updike IL COLPO DI STATO Rizzoli, Milano 252 pagine, 7500 lire NE è passato, di tempo, da quando il naufragocolonissatore Robinson Crusoe scopriva il Buon Selvaggio ante-litteram, lo battezzava Venerdì e ne diventava l'incontrastato padrone. TI Buon Selvaggio ha cessato, per lo meno agli occhi degli ex colonialisti bianchi, di essere tale; detiene il potere nella sua Africa, tempera i propri istinti con una raffinata educazione occidentale. Questo è l'identikit preliminare del protagonista del nuovo romanzo di John Updike, il colonnello Hakim Felix Ellelloù, dittatore di Kush, uno Stato africano a Sud del Sahara. Il Colonnello, nato nel 1933 da una donna violentata, ha fatto dapprima carriera nelle truppe coloniali francesi, battendosi coraggiosamente in Indocina, e ricevendo anche una iniziazione culturale che egli stesso definisce «cartesiana». Ma dopo la decolonizzazione egli ha studiato pure in una università americana, cosicché la sua viscerale avversione per gli Stati Uniti, che include i suoi confratelli neri, si nutre di una conoscenza di prima mano dell'avversario. Convertitosi all'islamismo, Ellelloù è arrivato al potere grazie a un colpo di Stato, e ora si regge con l'appoggio dei sovietici, che hanno costruito nel piccolo Stato potenti installazioni militari. Ma Kush, Paese agricolo povero e 'sottosviluppato, soffre di una siccità che dura da cinque anni, e la popolazione rischia di morire di far me. Poco servono a Ellelloù le pratiche magiche, la sua dimestichezza con la gente, che egli visita travestito come il califfo delle Mille e una notte (o, se si preferisce, come* il Duca di Vienna dello . shakespeariano Misura per misura;. I detestati americani spediscono vettovaglie ridicolmente inadatte; i sovietici non spediscono nulla. Ellelloù giunge a sopprimere personalmente il vecchio re * deposto, cui pure lo legavano antichi affetti, e a far uccidere il funzionario americano della Fao. Un altro colpo di Stato si prepara, diretto, ovviamente, dal suo più stretto collaboratore, Dorfu. Spodestato, al Colonnello sarà concesso di emigrare sulla Costa Azzurra, per condurre una vita da tranquillo pensionato e scrivere le sue memorie, ossia il romanzo di Updike. L'autore di Corri, coniglio e di Coppie ci aveva abituati a cronache della provincia borghese americana, annoiata e sessuomane, secondo canoni verificati e collaudati dallo stile New Yorker. Non è che si sia convertito: semplicemente ha ribaltato, il punto di vista. La sua Africa non aspira a una dimensione simbolica, sul tipo del Re della pioggia di Bellow, e d'altronde, se pure egli cita Evelyn Waugh nelle sue fonti, gli manca l'esperienza diretta dello scrittore inglese,, a lui congeniale per il taglio satirico ma con un disprezzo di fondo per gli sprovveduti «negri». Certo, l'ambiente è ricostruito per mezzo di una documentazione accurata, pur se manualistica e di seconda mano, e i viaggi sul posto di Updike hanno dato risultati migliori — paradossalmente ma non troppo —di quelli di Alex Haley alla ricerca delle sue radici. Ma la -voce, narrante, la modulazione stilistica, l'ottica generale, appartengono totalmente a Updike. Non arriveremmo a sostenere, come ha fatto John Thompson sulla New York Revièw of Books, che l'Africa di Updike sia un ibrido di Rider Haggard (tanto per intenderci, l'autore delle Miniere di re Salomone; e dei fratelli Marx: peraltro, àentire Ellelloù che, parlando diDorfù, dice: «Fui colpito di nuovo dalla sua bellezza epicene» provoca un effetto piuttosto singolare. Insomma, quando il colonnello Ellelloù, in questo romanzo la cui sperimentata tecnica narrativa oscilla tra Ilo e la terza persona, con una serie di ulteriori variazioni, parla attraverso la bocca di Updike, cosicché le riflessioni sull'America, sulla pienezza e le imprevedibili varietà del sesso, sul cinismo pragmatico e insieme fantasioso del potere si inseriscono nella misura creativa e al tempo stesso saggistica tipica dello scrittore, il meccanismo funziona e conserva uno scatto che va anche a bersaglio. Ma quando il ritratto d'ambiente prende il sopravvento, a parte gli americani che Updike conosce pur non sottraendosi sempre alla macchietta (il segretario di Stato Klipspringer), salta fuori il Buon Selvaggio, là stereotipo risaputo dell'indigeno sottosviluppato o vitalistico o machiavellico, del russo bevitore di vodka e, come si soleva dire ai tempi del Candido, trinarteiuto. L'Africa del romanzo di Updike diventa allora un teatrino in cui l'autore tira i fili aggrovigliati di marionette costruite secondo una ricetta di elegante allusività, e sulla cui scena la farsa e la satira tendono a far premio sulla tragedia. Si pensi al caso della vedova del funzionario americano ucciso, la quale viene a raccogliere le ceneri dèi marito ma finisce nel letto del nuovo capo di Kush. Il privato di Ellelloù, con le storie delle sue quattro .mogli, viste dal, loro stesso punto di vista, la pienezza della sua vita fisica che trova nel rapporto sessuale il riscontro privilegiato, sostanzia H colpo di Stato come tutti i libri di Updike. Che si sia portato una donna dagli Stati Uniti conferma il suo rapporto di odio-amore con Un Paese che lo affascina per le sue stesse contraddizioni e lo respinge per la degenerazione consumistica e la banalità missionaria. A ben vedere, però, gli americani sono fondamentalmente sciocchi e superficiali, mentre i russi sono tetri e pericolosi. A un dato momento, perduto ormai il potere, Ellelloù medita persino di tornarsene negli Stati Uniti cori la moglie bianca, magari a insegnare studi africani in qualche università, ma lei, che intende divorziare, lo sconsiglia: «La Guerra Fredda è finita, Nixon è finito. Non resta che raccogliere i cocci e baciare il culo all'Opec, e roba del genere. Ti avviliresti. Ci si accorge oggi che negli Armi Cinquanta c'era da divertirsi, ma allora nessuno se ne accorgeva». Updike ritorna ad essere qui il cronista di lusso del New Yorker. Non stupisce che la crisi di Ellelloù coincida con la crisi della sua incontrastata e fiera sessualità. Il sesso è politica, commenterebbe Gore Vidal. Credevamo che il dittatore di Kush possedesse il vigore naturale intatto che manca agli esangui borghesi americani dei sobborghi eleganti. Niente da fare: per Updike, prima o poi Africa e Nuova Inghilterra si- toccano. Claudio Goriier John Updike