Un reato di lesa letteratura di Geno Pampaloni

Un reato di lesa letteratura Come ci giudicano all'estero: un convegno a Mosca, un pamphlet a Parigi Un reato di lesa letteratura TRA i vizi di cui la mia giovinezza vissuta dentro il fascismo mi ha per sempre vaccinato c'è il nazionalismo in generale e il misogallismo in particolare. Mi ha perciò molto divertito l'ondata di sdegno con cui è stato accolto il panorama letterario italiano scritto da Angelo Rinaldi per il numero speciale de L'Express dedicato all'Italia; perché, senza offesa per nessuno, mi è sembrato di tornare ai lontani tempi dei Guf: <da Francia ha colpito ancora!». Occorre riconoscere che il prof. Rinaldi non fa nulla per non apparire indisponente: fatta salva la verità storica, per cui per almeno due secoli la letteratura italiana, da Manzoni a D'Annunzio, da Verga a Soffici ha avuto come principale punto di riferimento Parigi, concludere, come lui fa, che i nostri rapporti con la letteratura francese «sono analoghi a quelli che le borghesie indigene hanno con le potenze in declino che le hanno emancipate», è oltremodo inelegante, piuttosto sciocco ed inutilmente offensivo. E tuttavia mi fa stridere i denti sentir contrapporre a ciò i «rozzi Normanni»! Nessuno legge più quel simpatico poeta che è Giuseppe Giusti, se no sarebbe tornato sicuramente fuori il dìstico che fu il cavallo di battaglia dei nostri temi del liceo: «Gino., eravamo grandi I e là non eran nati». Tj Ma vediamo cosa ha detto di scandaloso il nostro collega parigino. Che nell'Italia delle nostre generazioni la poesia sia superiore alla prosa, è quasi ovvio. Che l'opera di Moravia segni una curva discendente, non lo impariamo certo oggi da L'Express. Che l'infatuazione socio-marxista («l'intellectuel bourgeois se gargarisant de la praxis») abbia un fondo povero e decadente come le mode dannunziane, è opinione controversa ma che alcuni di noi sostengono da molti anni: «dogmatismo», e «predilezione per il prefabbricato» sono vizi reali e molto diffusi, a mio giudizio, nella società letteraria italiana. Rimangono i giudizi particolari, vale a dire la rivendicazione di alcuni scrittori morti, tra i quali alcuni a noi carissimi, (Penna, Landolfi Fenoglio. Savinio, Pasolini) contro tutti gli altri. Su ciò è più che lecito dissentire: per esempio, tutta la generazione di Luzi Caproni Sereni Bertolucci e gli ormai innomi- nabili (ma perché?) Cassola e Bassani sono ancora i valori più certi del nostro patrimonio letterario. Ma quando Luigi Malerba definisce «brutto libro» La Storia della Morante, ed «esilaranti interventi» gli elzeviri di Natalia Ginzburg, gli concedo la sola attenuante della irritazione; il punto di merito, onestamente, è per me più lontano che non il professor Rinaldi Tuttavia il quadro dei giudizi particolari ci porta, al di fuori della polemica, ad un discorso più generale e a due temi di fondo: 1) come gli stranieri vedono la nostra letteratura; 2) come ci vediamo noi. j, Sul primo tema reca un contributo interessante la tavola rotonda organizzata di recente a Mosca dalla rivista «Letteratura straniera», di cui leggiamo il resoconto di Livio Zanottl Facendo il consuntivo della nostra narrativa degli Anni Settanta, Cecilia Kin distingue cinque filoni: quello ideologico (Sciascia, Altomonte e Pontiggia meglio di Moravia e qualche altro studioso aggiunge Camon); quello apocalittico (Volponi e Cassola); quello femminista (Luce D'Eramd); quello del riflusso (per ora senza esponenti di rilievo); e quello cattolico (Santucci e Pomilid). La partizione può apparire un po' scolastica ma è certo frutto di onesta e seria attenzione. Altri riecheggiando motivi noti anche in Italia, parla di morte del romanzo tradizionale, testimoniato dalle ultime opere di Calvino e Manganelli. Altri infine, come Sergheij Boghemskij, si avvicina al Pessimismo critico del «gaUocentnco» Express, e definisce «confusa» la situazione letteraria itahana, in conseguenza della «rincorsa all'attualità», e, dopo il fallimento della rincorsa in un ritiro generale dentro il privato. La conclusione per cori dire operativa è per altro sconcertante: nel 79 (avendo la possibilità di tradurre due sole opere 1 anno) sono stati tradotti in Russia Bernari (Amore amaro, che è del 58) e Nantas Salvalaggio (La piazza inondata, che sarà probabilmente TV Campiello sommerso); il prossimo libro sarà probabilmente La lepre con il volto di bambina, il romanzo di Laura Conti ispirato alla diossina di Seveso. . . Così, dunque, come il panorama del cntico trancese poteva apparirci parziale e fazioso, le scelte editoriali dei sovietici non sembrano rispondere a criteri precisi ad una stabilita scala di Non so se sia giusto rammaricarsi troppo di simili disuguaglianze, incertezze, omissioni che trovano una qualche spiegazione nelle diverse situazioni culturali dei diversi Paesi stranieri, e in una informazione di necessità incompleta e deformata. Ma il fatto è (e vengo al secondo tema) che quella tavola di valori che rimproveriamo agli altri di non possedere, non è stata stabilita con certezza neppure da noi Al contrario dell'Ottocento, che seppe riconoscere i propri figli (come testimoniano i grandi saggi desanctisiani) il nostro secolo si avvia a chiudersi senza che i valori letterari abbiano trovato certezze di consensi e una gerarchia riconosciuta. Se mettiamo a confronto tra loro le antologie e le storie letterarie di questi anni, l'ago delle valutazioni oscilla furiosamente davanti ai nòstri occhi Quanti sono i nomi «sicuri» del nostro Novecento, se scrittori come Tozzi e Alvaro sono ancora nel limbo, e se per un critico come Contini non esistono Piovene, Silone, Noventa? Quasi come per la nazionale di calcio, ciascuno di noi ha in tasca la «formazione» dell'antologia ideale. Di ciò credo, occorre tener conto oggettivamente e con spirito di autocritica quando le interpretazioni insoddisfacenti degli stranieri arrivano a ferire il nostro orgoglio nazionale. Geno Pampaloni

Luoghi citati: Francia, Italia, Mosca, Parigi, Seveso