Majakovskij alla Bovisa

Majakovskij alla Bovisa ..../.•■- Giulio Stocchi ci parla della sua esperienza di poeta in fabbrica Majakovskij alla Bovisa MILANO — Giulio Stocchi è nato a Lonigo Veneto nel '44, ma vive a Milano già dal dopoguerra. Oggi ha trentasei anni, uno sguardo miope e la voce gentile, la casa ordinata, piena di eskimo, berrettini leninisti di panno blu, i rubinetti del bagno colorati in rosso, tanti manifesti appesi al muro. Manifesti di Klee e lunghe rose rosse nei vasi. La sua è una casa ordinata e tranquilla, di corso Magenta, invasa dai, libri, libri di poesia, e dai dischi: Vivaldi e Mozart ma soprattutto tanti canti di lotta, canti popolari e lì vicino al giradischi, due che,si vedono subito: «TI dovere di cantare» e «La cantata rossa per Tali El Zatar». Sono i dischi delle sue poesie. Perché Giulio Stocchi è un poeta, un cantastorie; non da teatrino o cantina, ma da fabbrica e da piazza, uno che i suoi versi li dice di fronte ai centomila di Piazza Duomo, dopo i discorsi di Lama, o nelle fabbriche occupate di Cinisello Balsamo, Sesto San Giovanni, all'Ortica, a la Breda. Dopo gli studi classici, l'Accademia d'Arte Drammatica nel '64, si è iscritto a filosofia, nel '65 e '66 ha recitato al Derby Club, Tardieu e Prévert, senza smettere di frequentare la Statale, fra Capanna e Toscano e il '68 che stava per scoppiare. Scriveva poesie già da molto tempo, ma erano scritture private, uno spazio da consumarsi lontano da ciò che avveniva per le piazze o per le aule universitarie. Poi arriva l'aprile del '75, la bara di Claudio Varalli, ammazzato dai fascisti, naviga per le vie di Milano sulle mani dei suoi compagni mentre da Torino giungono le voci che Tonino MiCciché, di «Lotta Continua», è stato assassinato: allora Giulio Stocchi, la sua voglia di far poesia, la sua rabbia che si esprime in versi, la lascia libera e la rivela nell'Aula Magna dell'Università in un canto per i compagni caduti. Fra il '75 e il 17 Stocchi diventa il «Compagno poeta», quello che nei consigli di fabbrica fa l'intervento in versi, corre fra i capannoni occupati, gli operai incazzati a lanciare i suoi versi, viaggia coi suoi fogli fra il Libano e Cuba. Ora da questa esperienza è nato un libro che Corrado Stajano ha curato per gli Struzzi Società di Einaudi, e che uscirà afine mese. «È' stata un'esperienza difficile — ammette Stocchi —, fra il '75-e il '76 andare in fabbrica a dire poesie non sembrava possibile. C'era molta diffidenza anche in ambito politico. Bisognava combattere battaglie smisurate per arrivare a fare un intervento in poesia. Però ora posso dire che non mi ascoltavano solo perché le mie poesie erano politiche, ma perché in generale c'era un interesse verso la forma-poesia. Oggi continuare a entrare in fabbrica è molto più difficile. Io ho intenzione di farlo, ma ci sono i rischi, da un lato politici, di dire cose piatte e scontate o, con questi tempi di riflusso e lottarmata, di dire cose banalmente consolatorie. Il problema è oggi di costruire versi che facciano pensare». Il libro come è stato montato? «Compagno poeta», cosi si chiamerà, su consiglio di Stajano, e scritto su tré piani: ci sono le mie poesie di fabbrica e di lotta, brani narrativi dove racconto le mie esperienze, le fatiche,' il laboratorio e il progetto di questo mio modo di far poesia e poi testimonianze di giovani, operai, impiegati, disoccupati, con le loro storie di questi anni». Per te che differenza c'è fra poesia scritta e poesia fatta per essere letta? «Io credo che la tecnica sia là stessa, se le dici in pubblico, certo acquisti un particolare tipo di sensibilità, fai più lavoro sul ritmo, tieni in più attenzione, il fatto vocale. Ma per il resto credo sia uguale, non si deve fare distinzioni se non di funzione, un certo tipo di versi devono essere più diretti: tenere conto della gente che li ascolta». La tua poesia non piace ai poeti, perché? «Mi hanno reso la vita dif- " ficile, le ochine letterate dicono che quello che faccio non è poesia. Basta vedere come mi trattano nell'antologia de "La parola innamorata". Eppure ci sono tanti modi di fare poesia, c'è chi crede al lavoro sul linguaggio, alle teorizzazioni di Ballili. Anch'io ho dei dubbi su quello che faccio, è una scommessa continua, il mio essere di sinistra ha intrecciato la mia storia culturale e sociale. Non è facile entrare in una fabbrica a dire poesie a gente che ha i problemi che ha. Ma se ti accorgi che anche la-poesia è uno strumento che sentono allora continui, non hai sbagliato». Non credi che i versi provocassero soggezione e nella figura del poeta vedessero una forza carismatica? «Se non mi mandavano all'inferno, è perché un senso nelle cose che dicevo- lo sentivano. Sì, il pubblico operaio capiva che ero un piccolo borghese diverso da loro antropologicamente, avevano una diffidenza storica. Ma l'impegno che ci mettevo colmava il distacco, mi accettavano come uno di loro, uno a fianco, uno in mezzo. Anch'io, come loro, cerco di combattere il disagio sociale, l'angoscia quotidiana, la scontentezza». Pensi che ti accettassero più facilmente dato il contenuto delle tue poesie? «No, la possibilità di leggere in fabbrica è diventata grande. Io penso che anche un poeta come Viviani, dico lui come esempio di una certa poesia più complessa, avrebbe spazio, ascolto. Perché le cose che fa non sono in cielo, i suoi giochi sul linguaggio anche un operaio sa che esistono, li sente. Sarebbe interessante ci fossero altre voci. Io non basto, mi sento solo». Come giudichi lo stato della poesia, oggi? «Ho le mie posizioni, le mie idiosincrasie. Non trovo nulla di nuovo in questo orfismo di ritorno. Conte è uno che mi piace, ma non credo che sia poi la grande novità della poesia italiana, allora sento più giovane Zanzotto. Quello che trovo positivo è che ci sia una grande tensione ad uscire, a confrontarsi L'importante è evitare il pericolo di una nuova Arcadia. Perché non può esistere una società letteraria o di poesia, separata da un contesto più grande, da un progetto civile. La poesia deve socializzare, non essere, affidata unicamente alla pagina, offrire .cose che altri sentono. Le poesie di Lume Ili che sono difficili, che partono da posi¬ zioni fenomenologiche, che. dicono che il reale è inattingibile: ebbene sono pensieri che se Lumelli dicesse in piazza o in fabbrica arric¬ . . chirebbero chi ascolta e anche lui stesso». I grandi poeti da stadio, da piazza, oggi sembrano essere i cantautori, Dalla, De Gregari, Guccini. «Li c'è per prima cosa la musica, che di per sé è già un fatto socializzante, non so se la poesia ci arriverà mai. Ma è un socializzare povero, non è il socializzare delle grandi manifestazioni nate dal '68, con in testa un progetto». # In questo sènso il tuo libro si può leggere come un documento su una generazione, quella che va da metà degli Anni 60 a oggi? «Sì, è abbastanza, quello che ho voluto fare, dire perché noi siamo venuti su così, quali famiglie avevamo alle spalle, quali percorsi comuni abbiamo attraversato. Quali ideali politici e sociali ci tenevano insieme. Oggi per un ragazzo che ha vent'anni è tutto più difficile, c'è meno speranza, stretti come sono fra droga, terrorismo, mancanza di posti di lavoro. Tutto oggi, si fa più radicale e nei ragazzi vedi che c'è un lasciarsi andare, un mollare, un non vedere soluzioni. Manca un referente comune. Oggi ognuno è lasciato a se stesso. «Per questo voglio che il mio libro sia anche datato, una testimonianza anche di errori compiuti. Perché provochi un cortocircuito critico, perché stimoli ad andare avanti, a cercare nuovi strumenti conoscitivi. E la poesia, come la intendo io, è anche questo: l'espressione di disagio e ricerca di utopia, . qualcosa che faccia uscire dalla solitudine che schiaccia, verso una diversa socialità, dove stare meglio». NìcoOrengo Il canto di tutta una generazione Non sólo di te stesso ma di tutta una generazione ridente e disperata in soffitte arcane di segreti masturbandosi fino all'alba con casse di libri sulle spalle fuggendo versa nuovi confini e poi tornare a raccontarlo senza sconforto su sedie insufficienti mia sempre vino e sigarette e sorrisi con la speranza anche senza mangiare denaro e consumando solo sogni con moderazione stoica e sogni fino all'alba sputata in faccia tutti i giorni e i giorni e i giorni di una vita che è una preparazione e un apprendistato celeste sii libri che gridano una maledizione ed un invito al suono di dischi talvolta rovinati non per questo meno belli progettando-rivoluzioni parlandone fino alla nausea ma sempre amore unico lusso di un'esistenza senza amore intorno dove tutto si vende tranne quello sguardo e quel riso partendo talvolta per paesi che non si sanno e doni 1 e sempre amore virile compagno dimenticato da tutti vestiti in qualche modo entrando in bar maledetti \, capaci di parlare tutta una notte per dire l'amore capaci di parlare in un mondo di silenzio amicizia sola una volta per tutte., scrivendo canzoni e poemi disperati ma pieni d'amore verso l'uomo credendo credendo contro tutti gli sputi possibili... Giulio Stocchi

Luoghi citati: Cinisello Balsamo, Cuba, Libano, Lonigo, Milano, Sesto San Giovanni, Tali El Zatar, Torino