Kissinger si fa un monumento di Ferdinando Vegas

Kissinger si fa un monumento Nelle sue memorie la politica estera americana dal 1969 al 1973 Kissinger si fa un monumento L'ex segretario di Stato racconta giorno per giorno la sua Realpolitik, ispirata ai modelli di Metternich e di Bismarck - Le sue scelte tattiche furono sempre guidate da un solo obiettivo strategico: garantire, nella distensione, il primato degli Stati Uniti -1 suoi giudizi su Nixon, Chou En-Lai, Brandt e Moro NESSUNO meglio di Kissinger, è evidente, poteva meglio curare la continuazione e la sistemazione di quella «leggenda» che durante gli anni del potere egli stesso aveva tanto attentamente provveduto a creare e diffondere, sulla propria straordinaria maestria diplomatica. Questo «ponderoso volume» («Gli anni della Casa Bianca». SugarCo, Milano, pp. 1150. L. 16.000) (la definizione è dell'autore), presentato modestamente come un «resoconto» della politica estera americana durante la prima presidenza Nixon ( gennai o1969-gennaio 1973). è in realtà il monumento che il Kissinger storico eleva al Kissinger diplomatico; un monumento ancora incompleto, perché il quadriennio successivo (seconda presidenza Nixon e presidenza Ford) sarà trattato in un altro volume. L'imponente costruzione, d'altra parte, è stata anche eretta, esplicitamente, come autodifesa, condotta con tale convinzione delle proprie buone ragioni da risultare, per così dire, impermeabile, da non concedere praticamente mai un punto alle critiche avversarie. Passando da Harvard a Washington, dal mondo accademico a quello politico, quindi «dall'attività di riflessione a quella decisionale». Kissinger si portava infatti dietro la concezione che aveva maturato in due decenni di studi storici, fondata essenzialmente sulla Realpolitik: non a caso il suo primo lavoro aveva avuto come «eroe» Metternich. Meglio ancora Bismarck, l'uomo politico del diciannovesimo secolo che lo aveva «maggiormente impressionato», come rispose, con scarso tatto, a De Gaulle che lo aveva interrogato in proposito. Ma proprio questa ambizione di commisurarsi con Bismarck, prendendolo come modello ideale, rivela il limite invalicabile di Kissinger. Come ha scritto Ralf Dahrendorf, una distanza di anni luce separa i due personaggi, poiché Bismarck era un leader politico nella pienezza' del potere, mentre Kissinger è stato soltanto un altissimo funzionario, l'assistente per la sicurezza nazionale (poi anche se gre - tario di Stato) del presidente, per di più un presidente di cosi forte leadership personale quale Nixon: Kissinger, in verità, nega tale dote a Nixon, affermando che il presidente «dimostrava una grande forza quando si trattava di prendere delle decisioni, ma non altrettanta quando si trattava di dirigere il governo» : una pennellata di quel ritratto tutto luci ed ombre di Nixon che si viene delineando attraverso l'intero libro, in conclusione con la prevalenza delle ombre. H Nixon che ne vien fuori è forse peggiore di quanto l'abbiano descritto i suoi stessi nemici: un uomo «imbozzo lato» nell'isolamento, al quale «era quasi fisicamente impossibile avere a che fare con gente che fosse in disaccordo con lui», capa- ce di assumersi le responsabilità e di decidere, ma «senza nutrire alcuna illusione». Non ci vuole molto a trovare in questa personalità chiusa e contorta le radici della catastrofe del Watergate. Tornando al problema generale, si deve riconoscere che i limiti sopraddetti al potere di Kissinger non gli hanno tuttavia impedito di fornire idee, metterle in opera, dare una marcata impronta alla politica estera americana. Ma allora il discorso deve volgersi alla questione di merito, alla validità o meno d'una Realpolitik, che egli più precisamente qualifica come «geopolitica» (e lasciamo andare la pessima eco che il termine suscita). Così intesa, la vecchia Realpolitik non si limita più ad una fredda, lucida valutazione delle forze in campo e quindi alla ricerca d'un equilibrio che sia 0 più vantaggioso per la propria parte, ma diventa, per quanto a prima vista possa apparire paradossale, una nuova versione,, ammodernata e molto più elaborata, di quella strategia del containment (teorizzata da Kennan ed attuata in maniera diversa da Acheson e Dulles) che Kissinger sottopone a rigorosa critica. La differenza tra il containment e la geopolitica sta. come la vede Kissinger, nel fatto che il primo mirava ad «un risultato finale che restaurasse la normalità... a un accordo definitivo con l'Unione Sovietica», la seconda invece parte dalla consapevolezza che il rapporto di forze si sposta continuamente, sicché non bisogna dar tregua all'Unione Sovietica, occorre anzi «contenere» le sue iniziative (o quelle altrui che comunque si ritengano favorevoli a Mosca, se non da essa ispirate) in permanenza, in tutto il mondo e in ogni più remoto angolo. Acutamente perciò Stanley Hoffmann (in una recensione di questo libro che è un vero saggio, su The New York Review of Books) definisce Kissinger «il perfetto guerriero freddo»: la tattica era cambiata, ma l'obiettivo strategico restava sempre lo stesso, di piegare l'Unione Sovietica ad accettare una distensione in termini americani. E poiché era da escludere che Mosca subisse, così si imponeva l'unica alternativa possibile, in termini appunto di Realpolitik kissnigeriana, di una serie senza sosta di «confronti», dal Vietnam e dal Cambogia al Cile, dal Medio Oriente all'Europa, dai negoziati sulla limitazione delle armi strategiche (Salt) alla diplomazia triangolare, con l'«apertura» americana alla Cina. Come Kissinger abbia condotto la politica estera degli Stati Uniti, giorno per giorno e talvolta ora per ora. in questi ed in tutti gli altri settori mondiali, costituisce il tessuto fittissimo del presente volume; dove poi abbia portato la politica di Kissinger, ossia quale giudizio complessivo si debba dare sui suoi risultati, questo riguarda un periodo storico ancora aperto perché ci si possa pronunziare. Bisognerà inoltre, ovviamente, confrontare la versione di Kissinger con altre versioni, con i documenti, studiare soprattutto l'incidenza sul corso degli avvenimenti di altri fattori (economici, sociali, culturali) che non quel¬ lo solo del gioco del potere. Va comunque almeno detto che con le astratte semplificazioni della geopolitica (a quale fine ultimo, poi? Con quale visione globale del mondo futuro?) si corre il rischio di perdere di vista l'effettiva realtà umana, si può arrivare a scrivere: «L'operazione in Cambogia non (corsivo di K.) poneva problemi morali... Si trattava di una scelta di carattere squisitamente tattico». Limitiamoci dunque, anche per ragioni di spazio, al Kissinger non attore, ma scrittore di storia. Sotto questo aspetto nessuno gli può negare il merito di avere scritto un'opera che sarà lettura obbligatoria per tutti gli studiosi dell'argomento ma intanto è già, di per sé una lettura affascinante noi nostante la mole ed il tessuto, come si diceva, così fitto Ma è un tessuto continuamente variegato da aneddoti, resoconti vivaci ed animosi (contro gli avversari) di incontri e scontri, ricostruzioni a ritmo serrato dei processi decisionali fra i dirigenti americani, interpretazioni, anche discutibili, di caratteri individuali e nazionali. Si impone all'ammirazione, in particolare, una splendida galleria di ritratti, affettuosi (Goldà Meir). lusinghieri (Chou En-lat l'.eroe. contemporaneo di kissinger), venati di diffidenza (Brandt), sprezzanti (Haldeman e Erlichman, i famigerati «prussiani» di Nixon). Fra gli italiani emerge Moro, «taciturno quanto intelligente»; ma l'unica prova concreta che Kissinger ebbe del suo ingegno «fu la complessità bizantina della sua sintassi.,Ma poi gli feci un effetto soporifero; durante più della metà degli incontri che tenne con me mi si addormentò di fronte: cominciai a considerare un successo il semplice fatto di tenerlo desto. Moro si disinteressava chiaramente degli affari internazionali...». Se dovessimo giudicare Kissinger da queste righe e dalle poche pagine che dedica all'Italia non sapremmo se tacciarlo più di faciloneria o di insulsa arroganza. Ferdinando Vegas Le illustrazioni di questa pagina sono tratte da un opuscolo satirico tedesco, che veniva provocatoriamente distribuito alla Fiera di Francoforte durante la conferenza stampa dell'ex segretario di Stato. Le vignette di Hans Trailer sono * accompar gnate da testi ironici di Peter Knorr.