La rivoluzione marxista «tradita» dai giacobini

La rivoluzione marxista «tradita» dai giacobini Violenza e terrorismo nella storia del movimento operaio La rivoluzione marxista «tradita» dai giacobini Giacobinismo, violenza e marxismo è il tema del dibattito, promosso dalla Einaudi all'Università Statale di Milano, per l'uscita del secondo volume della «Storia del marxismo», dedicato a «Il marxismo nell'età della Seconda Internazionale». Tema storico, ma anche di attualità, come sottolieano le due domande alla base del convegno: «Quale spazio hanno avuto la violenza e il terrorismo nella storia del marxismo e del movimento operaio? Quali tracce ideologiche, quali dottrine politiche, quali esperienze di lotta?». A queste domende hanno cercato di rispondere gli autori delle tre relazioni, gli storici Israel Getzler, Giacomo Marramao e Massimo L. Salvadori, e i loro tre interlocutori, Norberto Bobbio, Pietro Ingrao, il filosofo Mario Dal Pra. Abbiamo chiesto a Massimo L. Salvadori una traccia del proprio intervento. Salvadori, docente di storia contemporanea all'Università di Torino, studioso di Kautsky e della Seconda Internazionale, su cui ha scritto un contributo alla «Storia del marxismo», è anche autore di saggi su «Eurocomunismo e socialismo sovietico», «Gramsci e il problema storico della democrazia», «La questione meridionale da Cavour a Gramsci», «Gaetano Salvemini», tutti editi da Einaudi, oltre che della grande «Storia dell'età contemporanea. Dalla restaurazione all'eurocomunismo», in tre volumi, edita da Loescher. DEMOCRAZIA, violenza, giacobinismo a ca-1 vallo fra Otto e Novecento nel movimento operaio europeo: un problema quanto mai complesso. Ma semplifichiamo al massimo. Vi erano a quell'epoca due poli opposti: la Gran Bretagna e l'impero russo. Nella prima per i lavoratori la democrazia erano le libertà politiche e civili la possibilità di lottare in modo organizzato per le riforme sociali. La violenza era totalmente respinta; e il giacobinismo non aveva alcuna radice. Nell'impero russo, per le masse contadine e operaie la democrazia non aveva rap¬ porto possibile con un'eredità liberale inesistente. Non essendo concessa alcuna possibilità di affrontare i conflitti sociali e politici all'infuori dello scontro con il sistema autocratico, la democrazia acquistava, per forza delle cose, un significato «quarantottesco»: l'abbattimento dell'ordine costituito con la violenza dal basso, quando si creasse una perdita di efficacia della violenza autocratica, al fine di dare potere alle masse del popolo. D rapporto fra democrazia e violenza era quasi istintivo in Russia. Lenin in opposizione ai marxisti «occidenta¬ listi» (i menscevichi), compi la sua prima «rivoluzione» sul piano teorico e pratico allorché fece del neogiacobinismo la matrice della sua strategia negli anni 1902-1904. La democrazia e la violenza delle masse — egli ragionò —devono essere sottoposte ad un progetto cosciente e ad una organizzazione in grado di dirigere disciplinatamente e dall'alto il processo rivoluzionario. Quel che occorre, allo scopo, è insomma un partito «neogiacobino», che dal giacobinismo ricavi l'ispirazione a dirigere le masse in modo rivoluzionario dall'alto e dal marxismo tragga (coda che il giacobinismo non può dare) la visione dello sviluppo sociale moderno e della complessità dei suoi rapporti. La concezione neogiacobina di Lenin fu non a caso sottoposta a violente e accusatorie critiche all'interno del marxismo russo e internazionale.. Contro Lenin si schierarono in prima fila Martov. il leader del menscevismo, Trockij e Rosa Luxemburg; i quali fecero fin da allora emergere quella che doveva rimanere una costante nelle polemiche dirette contro il bolscevismo: essi sostennero che nella concezione leniniana veniva negato il tratto decisivo del marxismo, antitetico al giacobinismo, vale a dire il processo di «autoliberazione» delle masse, ed emergeva un progetto elitistico di direzione autoritaria dei lavoratori, di cui il partito dei rivoluzionari di professione costituiva l'oggettivazione. Il bolscevismo sostituiva il marxismo, come teoria e pratica della rivoluzione delle masse proletarie con la dottrina giacobina della leadership esercitata da una minoranza di rivoluzionari illuminati che trascinava in modo subalterno le masse. Mentre in Russia Lenin compiva la sua «rivoluzione» strategica, Bernstein realizzò il più serio e organico tenWàvo compiuto nell'Europa continentale di scindere la democrazia e il socialismo da ogni tipo di violenza e di neogiacobinismo. Non è senza significato ch'egli fu fortemente influenzato dalle esperienze del movimento operaio e dalle condizioni della lotta politica e sociale inglesi. Bernstein che concepiva la democrazia in stretto rapporto con l'eredità e i valori liberali, cercò di far trionfare nell'impero tedesco una strategia riformatrice che poggiava sulla lotta per l'allargamento degli spazi di democrazia politica. Senonché le condizioni politiche dell'impero, la cui classe dirigente continuava a considerare la socialdemocrazia come un «nemico interno» ed era decisa ad opporsi alla piena democratizzazione del Paese, fecero fallire la strategia di Bernstein e indussero il partito socialdemocratico a rimanere legato ad un radicalismo rivoluzionario di facciata, che rifletteva l'o- stilità delle masse verso quello Stato che le respingeva. Un altro «polo» teorico-pratico fondamentale è infine da menzionare: quello rappresentato dal sindacalismo rivoluzionario soprattutto francese. I sindacalisti rivoluzionari, delusi dal socialismo politico e parla? mentare, ostili alla democrazia borghese, decisi a mantenere viva l'idea di rivoluzione miravano ad una democrazia dei lavoratori da ottenersi mediante l'azione sindacale rivoluzionaria, che respingeva il giacobinismo in quanto espressione di un progettualismo politico autoritario. In questa corrente riviveva in forma aggiornata l'istanza anarchica; aggiornata, nel senso che protagonista della rivoluzione e . della violenza sociale non era più il «popolo» ma la massa dei lavoratori immessa nei moderni rapporti di produzione. Massimo L. Salvadori

Luoghi citati: Europa, Gran Bretagna, Milano, Russia