Il poeta prega e bestemmia

Il poeta prega e bestemmia «Prose in poesia» di Valesio Il poeta prega e bestemmia Paolo Valesio PROSE IN POESIA Società di poesia, Milano; 93 pagine, 4000 lire LINGUISTA bolognese, da tempo insegnante a Yale negli Stati Uniti, Paolo Valesio, prima col romanzo L'ospedale di Manhattan (1978), e ora con questo volume, Prose in poesia, si configura come scrittore interessante, parallelo e, tuttavia, diverso dal linguista che lo supporta. Per cogliere il senso della sua ricerca varrà, inizialmente, intendere il titolo di questo Prose in poesia, diverso da quello similare ma non identico di «poemetti in prosa» che, secondo la convenzione, prosaicizzerébbe una materia, diciamo così alta o poetica, mentre esso dà qui, semmai, un tessuto ritmico, di verso o di paragrafo funzionalmente poetico, a una materia assunta al livello comune dell'esistenza, e quindi della lingua (sia pur «eulta», composita) che la esprime. Ecco allora cogliersi in atto un'operazione, che, a volte, sa divenire attivamente espressiva e, altre volte, può risultare, al più, parallela di quella metalinguistica dello specialista che, più o meno da presso, la nutre. Questo risulterà più che evidente nel primo testo della sezione iniziale del libro, «I dwloghi dei morti (bar, hotel Plaza, New York)», in cui il prelievo di brani di parlato in un bar alla moda, e il loro montaggio secondo sequenze ritmiche e non di rado sorprendenti, crea naturalmente effetti di alienazione e ironia, Un effetto che, nel seguente «Effare l'in-fame», più che mai giuocato sulla creativa e allitterativa frammentazione e ricomposizione linguistica, andrà molto più a fondo nel cogliere il nucleo di questa poesia, nella sua sostanziale riduzione simbolica del vecchio ineffabile a «in-fame» o «ob-scaeno», e cioè a materia da non dirsi, da tenersi fuori scena, che tuttavia, alla fine, ben bene si esprime, e in particolare nella coltivatissima e, tuttavia, sanguigna riformulazione dell'atto archetipico di eros, in tutte le sue possibili variazioni: «...tecum ludere / il-ludere, / de-ludere: / la lubido / la possiede; / quel che le lubet / è glubere, / a quella sporca 7 («dime porca, / che me piase») / glu-glu. la ghiottona / ingolla tutto, / e glubendo / squassai glutei...». E' un vero tour de force non solo linguistico, che al fondo dei riti di eros, della sua emiliana laicità, trova la sfida della bestemmia, e nell'ancora seguente «Pregando a Manhattan», l'inconscio della gùiculatoria, la spinta espressiva a un totale ribaltamento mistico (e riformatore e rivoluzionario) della parola nel suo allucinato scatenamento nel campo della frase: «...quel martello dell'Agitatore che inchioda le sue tesi di y protesta alla porta dell'edificio sacro è come il martello / che ribadi Cristo alla Croce. / Semplice e settario, chiaro e sfrontato...». Saranno queste le punte estreme, e anche più attivamente risolte, in cui Valesio potrà toccare, per una via sua, la difficile costante Bataille; un modulo che, in altri casi, può risolversi sul limite più facile da lui stesso prospettato della postavanguardia, che riscontriamo nella diversa perspicuità delle due «Lettere» da Roma e da Venezia; o nell'andamento ironico, ma dalla più consueta demistificazione linguistica, di «Esame per l'ammissione alla scuola per terapisti della riabilitazione», che sa, tuttavia, cogliere la sua punta di vero, nella variazione di nuovo critica e mistico-rituale sull'acqua: «...lustrale, sacrificale ecc...», o nella deiezione ironica del quasi-racconto in verso che risponde alla domanda «sull'uso continuato della droga». Certo è che la poesia di Valesio meglio funziona quando vince il limite della sémplice «performance» scenica.o linguistica; quando proietta la sua mai perduta e sanguigna radice emiliana, nel gelo protestante e riformatore del nuovo spazio Usa Quando, commemorando la morte di un poeta così tipicamente e romanticamente americano come Robert Lowell, di fronte al diniego ironico o sprezzante dei suoi allievi, ha il coraggio di dire: «...e io lo amò...»; o quando, inventando l'accorto animale in fuga fra un continente e l'altro di «n viàggio del coyote», ha la coscienza favolistica di dire che: «...anche i poeti hanno generalmente le mani lisce é bianche...» di ehi mette a segno i suoi colpi Marco Forti

Luoghi citati: Manhattan, Milano, New York, Roma, Stati Uniti, Usa, Venezia