Morire in Germania di Ernesto Gagliano

Morire in Germania In anteprima «Il viaggio» di Bernward Vesper, romanzo autobiografico delgi iovane c< Morire in Germania ALTO, magro, la sigaretta all'angolo della bocca. Una foto ci mostra cosi Bernward Vesper in un corteo di protesta al fianco di Gudrun Ensslin. I due avevano vissuto assieme, era nato un figlio, Felix, poi ciascuno aveva preso la sua strada: lei è scomparsa nella clandestinità, nel terrorismo, ed è morta tragicamente in prigione («suicidio» dicono le cronache) come la sua amica Ulrike Meinhof. Lui è rimasto con il bambino, le droghe, in una continua fuga. E alla fine si è dato la morte in una clinica psichiatrica, nel 1971. Ora esce anche in Italia, pubblicato da Feltrinelli un suo libro postumo, incompiuto, che si intitola «H viaggio». In Germania è stato un caso letterario che ha scosso l'opinione pubblica, lo hanno definito un breviario della disperazione, la storia di un Werther dell'era atomica. Heinrich Boell ha detto che chi voglia tentare di capire le cause del terrorismo tedesco deve considerare quest'opera una lettura d'obbligo. Ha un po' del saggio e del romanzo, dell'autobiografia e del pamphlet politico. La vicenda si svolge su tre piani che si accompagnano e si intrecciano. Ci sono i ricordi del passato dove domina la vita con i genitori (il padre Will Vesper era un poeta ufficiale alla corte di Hitler, la madre una proprietaria terriera). Poi c'è un viaggio reale da Dubrovnik a Monaco e Tubinga. E infine il trip psichedelico (l'io che vola fuori di se stesso, immagini che'si scompongono e ricompongono tra lucidità e delirio) sotto l'effetto dell'LSD. Un libro frammentario, discontinuo, con pagine che hanno r immediate zza di visioni dettate al registratore, altre lo struggimento dei lontani ricordi di infanzia, di sogni e dolori. O il tono di una cronaca minuta, dove incalzano cose.appena accadute. Tre spirali che si incrociano, in un affresco che ha per sfondo la, rivolta totale, con momenti di grande tensione. «La rivolta — scrive Bernward Vesper — avviene contro quelli che mi hanno conciato così, non è un odio cieco, una smania di tornare indietro nel nirvana, prima della nascila. Ma la ribellione contro i vent'anni nella casa paterna, contro il padre, la manipolazione, la seduzione, lo spreco della gioventù, dell'entusiasmo, dell'élan, della speranza... Perché come me siamo stati tutti defraudati». 7 Ceneri sessantottesche? Non è soltanto questo, le idee affondano in un groviglio esistenziale. Ecco il padre, primo grande accusato. Uno stile piano, o «resoconto semplice» come l'autore lo definisce, ci riporta alla fine della guerra nella tenuta «Gut Triàngel», un parco con villa presso Luneburgo. Qui il giovane Vesper in un ambiente borghese riceve un'educazione di «buoni sentimenti» e «rigore tedesco». Ordine, pulizia, fedeltà al Reich, n padre ha nascosto in cantina due bottiglie di cognac per la vittoria finale che non arriverà mai. Arrivano, invece, gli alleati. Ma quell'uomo, tutto d'un pezzo, parla di tradimenti, di menzogne sui sei milioni di ebrei uccisi, di Hitler costretto alla guerra. Dedica al figlio insegnamenti ariani sul tipo: «Mantieni puro il tuo sangue, non è soltanto tuo». E il bambino cresce cosi in quest'aria opprimente. «/ lividi delle botte passano. Ma le devastazioni che essi hanno prodotto infrangendo i bisogni di libertà, amore e creatività non sono più revocabili». Lo accompagnerà sempre una rabbia, mista alla dolcezza di certi stati d'animo e a paesaggi della campagna in cui è cresciuto. E poi quel marchio nazista che lo fa esplodere quando, anni dopo, una vecchietta ad una riunione lo riconosce. «Sei il figlio di Will Vesper? Heil Hitler». Nein — lui dice a se stesso — nein e nein. H suo rifiuto, la sua perenne fuga comincia di li Fa l'apprendista stampatore, studia all'Università di Tubinga e a Berlino, diventa uno dei leader della sinistra extraparlamentare, protesta contro gli americani in Vietnam e la bomba atomica. Si ribella contro tutto il sistema «borghese e imperialista». E' un rivoluzionario con qualche dubbio («La rivoluzione ha bisogno di un popolo che abbia bisogno della rivoluzione») e molte esigenze immediate. «Il movimento cambia soltanto l'obiettivo, ma non è in condizione di soddisfare i bisogni. Nel peggiore dei casi sacrifica la nostra generazione. Ma ora si tratta di cominciarla qui la libertà, cioè di sviluppare Ilo. Questo è tutto». Nella sua visione il mondo è in mano ai robot dai capelli corti che opprimono la vita selvaggia, la ricerca della libertà. La società è una gabbia stretta e sbagliata. La protesta politica si mescola ad una angoscia esistenziale. «C'è voluta della perfidia per depositarci qui senza la benché minima possibilità di orientarci. Perché non siamo stati messi in condizione di rispondere anche a una sola domanda importante?». La droga diventa una compagna assidua, ne' teorizza. l'uso, ne registra gli effetti si stupisce dell'«irrazionale avversione di molti individui della sinistra» che temono di perdere negli stupefacenti le loro idee faticosamente conquistate sui rapporti sociali. Lui nella droga scopre un nuovo piano della realtà, una specie di dilatazione dell'io. E sarà un graduale decadimento, tra fugaci bagliori. Nel filo più reale del racconto lo vediamo in viaggio sulla sua Volkswagen. Incontra ragazze, fa l'amore (qualcuno ha osservato che per lui sono «solo corpi»), guarda con ironico distacco i piccoli borghesi prigionieri delle loro abitudini i «vegetables» come li chiama, riscava, accanto agli anni dell'infanzia, in un passato più vicino dove ogni tanto ricorrono due nomi: Gudrun e il figlio Felix, il «piccolo sole». E' come un traguardo che lo attende, una stella che lo riscalda. Vesper non era un terrorista, ma tra i suoi amici figurano i nomi di Andreas Baader, Horst Mahler, Fritz Teufel e altri. In taluni passi è il multante che disserta: compaiono scene di incontri al collettivo politico metropolitano milanese (quello di Renato Curcio), confidenze di un'amica tedesca che è andata ad addestrarsi con i guerriglieri palestinesi. Ciò che appare dominante, tuttavia, è quel fondo di rabbia-disperazione, di protesta senza ritorno, inframmezzata dai «deliri azzurri» che emergono dall'acido. Un autoritratto rivelatore, doloroso. I pezzi del mosaico (che doveva essere ancora limato e ripunto) alla fine combaciano, pur tra ombre confuse. Le ultime pagine sono scambi di lettere con l'editore per la pubblicazione del libro. Lui è in clinica ad Amburgo. Eppendorf chiede ansiosamente denaro, pensa al piccolo Felix, fa progetti Dice: «L7n giorno o l'altro dovranno lasciarmi uscire e dopo, vivo non mi riavranno più!». Ma la corrispondenza di colpo si interrompe. Bernward Vesper, 33 annidi è ucciso. Il suo viaggio è finito presto. E' stato un viaggio, abbastanza solitario, intorno a se stesso. Ernesto Gagliano Bernward Vesper con Gudrun Ensslin a Berlino. Foto Michael Rute

Luoghi citati: Berlino, Germania, Italia, Monaco, Tubinga, Vietnam