Una madre nata dalla figlia di Francesca Sanvitale

Una madre nata dalla figlia / destini di una famiglia nel romanzo di Francesca Sanvitale Una madre nata dalla figlia Francesca Sanvitale MADRE E FIGLIA Einaudi, Torino, 230 pagine, 8000 lire. f vi UN A donna diventa, a poco a poco, la madre della propria madre. Nella sua ansiosa, perversa tenerezza, fatta di immaginazione e di oscuri rimordi, nel suo disperato risalire a ritroso la corrente dell'amore e della vita, vorrebbe restituirle ciò che ha perduto o non ha mai avuto, rimpicciolirla, ridurla alla misura di un bambino, di un feto, di un desiderio; vorrebbe farla rinascere dentro di sé e assistere ai suoi giochi, al suo primo ballo, alle sue prime avventure. E così, raccontando la propria storia, la storia della propria vita con la madre, è il romanzo della madre che, alla fine, si trova ad aver scritto... Credo che, se fossi stato costretto a renderne conto in una scheda o in un risvolto di copertina, avrei cercato di riassumere così r«argomento» del nuovo romanzo di Francesca Sanvitale. Ma, per fortuna, nessuno mi ha costretto a farlo, e sono libero di contraddire quanto ho appena scritto e assicurare al lettore che, in realtà. Madre e figlia è molto più di questo. Nella sua durata reale, neireffettiva complicazione e ricchezza delle sue pagine, il romanzo si allarga e si ramifica — rispetto al nucleo emotivo e poetico che ho tentato, non senza arbitrio, di isolare — in almeno due direzioni. Da una parte, la storia della madre (la storia «ottocentesca» di una fanciulla aristocratica costretta a una vita di solitudine, di emarginazione e quasi di stenti da un amore sfortunato dal quale le è nata una figlia — la protagonista — che porta, «scandalosamente», il suo stesso cognome; si trasforma, per via di accenni volutamente impliciti e intermittend. in una sorta di saga o tragedia familiare lungo l'arco di tre quarti di secolo. Intorno all'immagine del castello avito, luogo della fantasia e dei sogni non meno che della memoria, si agitano i delicati, spauriti spettri di una diaspora fortuita e implacabile, di una vicenda (al tempo stesso personalissima ed esemplare; di decadenza e sventura Non soltanto la contessina Marianna, precipitata dalla propria «colpa» nell'inferno dello squallore piccoloborghese. ma anche i suoi fratelli incarnano, ciascuno a suo modo, la fine di un mondo e di un'epoca: dal giovane che. sconvolto dagli orro: ri della grande guerra, si mura in una mite follia, al giocatore impenitente che. ridotto in miseria, si fa «prestare» dalla nipote i denari per andare a suicidarsi sulla Costa Azzurra Dall'altra parte, malgrado (o forse attraverso; il suo sforzo di annullarsi, di far perdere le proprie tracce nell'angoscioso amore per la madre, la stessa protagonista. Sonia, finisce col tracciare di sé uno straordinario, dolente, sonnambolico ritratto: le pagine dedicate ai suoi rapporti con il figlio, al trauma di un aborto', al terribile silenzio che la divide dal marito, all'amore pateticamente inventato per il giovane neurologo che cura la madre, sono di una densità, di una verità, di una penetrazione davvero insolite e struggenti. E ancora bisognerebbe ricordare l'estatica esattezza dell'ambiente, del clima, evocati con pochi cenni, con sottile magìa onomastica: quella Milano Anni Trenta, per esempio, con i suoi tram sferraglianti. i suoi grigi «giardinetti», i cinema dove si proiettano film con Shirley Tempie e uscendo dai quali, nel soffice pomeriggio nebbioso, si discute se la piccola diva sia. come sembra, una bambina o invece, come qualcuno insinua, una nana... Madre e figlia è il secondo romanzo di Francesca Sanvitale. Il primo, // cuore borghese, è uscito otto anni fa. Penso che non si tratti di una circostanza irrilevante. Non ho alcun feticismo dello scrivere poco, ma sonò convinto che un certo tipo di racconto (un racconto che nasce dalla profondità dell'esperienza e non dalla forza muscolare dello sguardo, dal senso della vita; abbia bisogno di una crescita non frettolosa, di una lunga, paziente distillazione. Il bellissimo libro di Francesca Sanvitale appartiene, senza dubbio, a tale categoria. Anche per questo, la sua struttura è sfumata, sepolta, quasi inawertibile: è come se il romanzo rifiutasse, intimamente, il proprio destino oggettuale, la propria «letterarietà», e i singoli accorgimenti e procedimenti espressivi ai quali l'autrice ricorre con mirabile efficacia {flash-back, ripetizione di sequenze secondo un'ottica diversa, inserti onirici, passaggi dalla prima alla terza persona) tendessero a rinnegare ogni strumentalità o adeguatezza, a esibire con tremante, limpida audacia il segreto delle proprie radici psichiche, del grumo o serbatoio di dolore che li alimenta e li mantiene in vita. j Giovanni Raboni

Persone citate: Einaudi, Francesca Sanvitale, Francesca Sanvitale Madre, Giovanni Raboni, Shirley Tempie

Luoghi citati: Milano, Torino