Soavi a Lionni: c'è un artista perduto nel bosco di Giorgio Soavi

Soavi a Lionni: c'è un artista perduto nel bosco Intervista allo scrittore che ha dedicato un romanzo al famoso grafico Soavi a Lionni: c'è un artista perduto nel bosco MILANO — Passeggia leggero Giorgio Soavi per la sua casa milanese, così sommersa dai quadri, Morandi, Polon, Picasso, Topor, Sutherland, Giacomettì, che uno nuovo e mica grande potrebbe creargli qualche problema. Così come qualche problema d'ansia sembra dovergli dare l'ultimo dei ventisette libri che ha scritto in poco meno di trent'anni. n romanzo si chiama, Sogni di gloria e sta uscendo da Rizzoli (pagine 131, lire 6000) Con una bella copertina di Folon. E' il ritratto fra reale e immaginario di uno dei personaggi più fascinosi e vitali della grafica internazionale: Leo Lionni, olandese di origine, newyorchese d'adozione, per decenni prestigioso art-director di «Ttme-Life», amico di Calder, Steinberg, Ben Shahn, conosciuto in tutto il mondo come uno dei pochi e veri inventori e illustratori di fiabe per bambini. Soavi l'ha incontrato nel '54 a New York e ne è rimasto incantato; incantato dalla grande capacità di fare il suo mestiere, di saper capire la gente e farla lavorare, uno Ziegfeld di oggetti, disegni, corpi tipografici, ma anche un artista in proprio, un pittore inquieto e lacerato, capace di mollare soldi, fama e gloria per ritirarsi fra gli ulivi di Liguria prima, nei boschi di Porcignano in Chianti poi, per seguire, prò- vare a ricucire quell'io diviso di chi stimola a produrre arte e chi la fa. Così Soavi racconta di Lionni gli anni americani pieni di successo, ma che mortificano l'artista e gli anni italiani più quieti, attenti al lavoro creativo, ma riconosciuto ancora da una cerchia troppo ristretta di ammiratori, in «un paese triste», in una infelicità rotta raramente da scoppi di riso. Soavi, da lontano, segue l'amico, cercando di capire affettuosamente le scontentezze, le delusioni, o gli improvvisi scoppi d'euforia di questo suo «gemello», «doppio», come lui teso ad «ascoltare il sibilo lontano dell'invenzione farsi un po' più vicino». — Come ha reagito Lionni leggendo il romanzo, di cui è protagonista? •Io gli ho spedito il manoscritto, i personaggi si chiamavano come nella realtà: Leo e Nora, poi ho atteso. Ma non molto. Mi è arrivata una telefonata di Leo a Cortina. Sentivo dalla voce che stava come uno che ha preso un pugno, ma non lo dà a sentire perché è educato. E infatti per tre quarti della telefonata mi dice quanto è bello il libro, che è il mio più bello. E' uno che ci sa fare, non bisogna dimenticarlo, è stato veramente uno degli "uomini del Re", l'art-director di "Time-Life" ai tempi di Henry Luce, uno che sapeva vedere gli uomini prima che ci fossero. Un uomo tutto charme, stravagante, con un gran tatto. E poi con l'aureola di quella profr sione che da noi non esis ' >. — Ma del re ,nzo, cose ha detto? «La prima bàttuta è stata: "Ma il protagonista del libro sei tu"». —E lei come ha reagito? «Io gli ho risposto: "Certo". Mica potevo fare la suora tradita. Però ho poi aggiunto: "Certo sono anche io, i problemi nostri sono gli stessi"». —Tutto qui? «No, dopo un momento di silenzio ha aggiunto: "Tu, però, mi hai dato un grande dolore. Mi fai vedere come uno sconfitto, alla fine del libro". Allora ho dovuto spiegargli che siamo tutti sconfitti, che gli artisti hanno crisi e sconforti ma sono capaci, dieci minuti dopo, di averle superate, di non ricor- , darsene più. I libri invece una fine devono darsela. E la telefonata finisce più o meno così, ma discretamente bene. Poi mi richiama ancora una volta e questa volta è per dirmi che sta molto meglio, chiede solo che cambi il nome suo e quello della moglie. «In verità Lionni una volta mi aveva chiesto di scrivere su di lui. Ero andato in campagna a trovarlo. Io ho pensato: forse vorrà una prefazione ad un catalogo, ad una mostra. Ed ero un po' seccato, dicevo in macchina tornando indietro- alla mia morosa che non scrìvevo a comando. E lei mi diceva che l'aveva trovato un uomo formidabile. Cosi ho cominciato a raccontarle di New York, dove l'avevo conosciuto. Lei ne era affascinata e quando siamo arrivati a Milano ho detto: ho raccontato un romanzo, ora potrei scrìverlo». — La stesura non le ha dato dunque problemi. «Pensavo fosse così. Son partito per il mare, in un mese ne avevo scrìtto metà. Poi d'improvviso mi sono piantato e per quattro anni non sono più riuscito ad andare avanti. Perché? Ci ho messo tanto a capire perché. Poi mi son reso conto di quale fosse il problema: ero entrato nella storia di uno che non ce la fa. E non ce la facevo io a continuare. Mi ero così identificato con il personaggio da rimanere fermo». — Lionni artista è un personaggio così emblematico da giustificare un libro? «E' un mito esemplare tra quei miti americani cari alla mia generazione, ai miei interessi. Era l'artista costretto a fare due lavori per fare il suo vero lavoro, quello appunto dell'artista. Mi ricordo ai tempi d'Ivrea all'Olivetti i ritornelli di Volponi e Ottierì: "Come siamo sfortunati, dobbiamo fare due mestieri"... Ma questo tipo di balle non mi piacevano, sarebbe stato più intelligente decidere cosa voler fare. Anch'io: se fare lo scrittore o cosa. Questo era il nodo, il grande nodo da sciogliere». — C'è un rapporto molto stretto fra la sua scrittura e le arti figurative, molti dei suoi libri sono racconti di pittori e del loro mestiere. Perché? «Perché me la cavo meglio che non se fossi messo direttamente a confronto con il problema, mettiamo, di una mia zia che sta partendo. Io ricorro ad una immagine più nota, mi appoggio a qualcosa che già esiste. La pittura mi ha dato molto, io faccio partire tutto da lei. Ma non sono capace e non voglio, come invece vogliono i direttori di giornali che non ti ascoltano mai perché stanno sempre parlando con Spadolini, fare crìtica d'arte. A me non importa che uno sia espressionista, neogotico. A me interessa l'ottica della loro descrizione. Per questo il mio lavoro di scrittóre tiene conto di ciò che han fatto e fanno i pittori. E poi oggi c'è veramente bisogno di sveltire il racconto. Lo scrittore moderno non ce la fa più a raccontare come avrebbe volu- to, deve fare una sintesi. Appoggiarsi a elementi figurativi popolari come la pittura e il cinema. Il bacio "della donna ragno di Manuel Puig è un ottimo esempio». — Oreste Del Buono in una intervista a «Tuttolibri» diceva, a proposito del romanzo" di Cassola su Guttuche, letterariamente, la pittore è frusta quella del foto- so figura del così come grafo. «Nessun personaggio è mai esaurito, neanche il pittore o il fotografo. In Sotto il vulcano di Malcolm Lowrey c'è tutto quanto si era già visto e tutto è nuovo. Sé ci avesse parlato di Viareggio così come ci ha descrìtto Cuemavaca, saremmo tutti corsi a vedere Viareggio. Mi ricordo di un giorno, qualche anno fa, quando Saul Bellow mi disse qui a Milano che se ne sarebbe andato su a Cortina. A cosa fare, pensavo oltre che a lavorare. E lui mi diceva che con la moglie, un po' di formaggio preso in cooperativa e un bottiglione di vino, si sperdevano fra i boschi. Ecco che Cortina, ai miei occhi non più abituati a vederla, a viverla così, tornava la montagna degli Anni Trenta. Per me c'era la routine che uccideva l'immagine,' una atrofizzazione, per lui un modo di viverla più animale. Allora anche i luoghi dovrebbero essere esauriti e invece no. Se Gogol arrivasse oggi a Roma fra contesse e terrazze, vorrei vedere!». Nico Orengo ... Un disegno di Lionni per «Geraldina, Giorgio Soavi topo-musica», ed. Emme. In alto: