La mia realtà è sempre altrove di Osvaldo Guerrieri

La mia realtà è sempre altrove RENZO ROSSO La mia realtà è sempre altrove MILANO — La sua pagina è stata definita di «cristallo», perché ha non solo la trasparenza, ma anche le rifrazioni, la geometria, la precisione del cristallo. La purezza della scrittura, ammirata da Gadda, lascerebbe supporre una mente altrettanto geometrica, invece Renzo Rosso, quando parla di sé. usa l'aggettivo «oscuro». «Di tutti i personaggi — dice — il mio è il più .oscuro. Potrei usare una lunghissima serie di parole chiare, addirittura nitide, ma ho il sospetto che non corrisponderebbero d una nitidezza reale interna". Gli è difficile catalogare persino alcuni momenti della sua vicenda personale, spiegare perché ha lasciato Trieste, perché ha abbandonato il violino dopo i lunghi studi e il diploma al Conservatorio. «Quei periodi ed altri sono stati molto intensi, ma non potrei scriverne fino ad arrivare alla chiarezza. Perché me ne sono andato da Trieste ? Tutti i motivi personali non danno una risposta sicura. Credo di averlo fatto attraverso l'istinto culturale. Sentivo che a Trieste cominciava a mancare l'ossigeno •>. Era il 1951. Rosso aveva 25 anni e si era appena laureato in filosofia. «La tesi aveva un titolo molto bello: Anti-Hegel e Hegel in Kierkegaard. Mi appassionava la lotta di Kierkegaard con Hegel e il sistema. Era la lotta di un uomo che ha costruito i suoi libri e la sua filosofia dell'esistenza in funzione di un altro scrittore restandone avvinto. Non c'è brano del Diario che non porti il segno dell'incidenza hegeliana. Non riuscii mai a prendere partito per l'uno o per l'altro. Entrambi rappresentavano qualcosa di peculiare. Il loro dibattito a distanza riproduce i dibattiti di oggi. Tutto questo mi ha lasciato un grande interèsse per le ragioni dell'individuo e mi ha fatto provare il terribile fascino dei pensiero generale che. nel momento in cui viene espresso, perde le caratteristiche individuali •». Ed ecco, da una dichiarazione di natura filosofica, la visione letteraria, il sostegno ideale e concettuale dell'opera di Rosso. U primo libro è del 1960. S'intitola L'adescamento ed è stato ripubblicato, in una nuova edizione, nel 1975. L'ultimo è // segno del toro e sta per uscire da Mondadori. Fra i racconti dell'esordio é questa equazione letteraria che. dice Rosso, «ha un piccolo nucleo pieno di avventura" che lo «attirava molto e ha quasi l'andamento di un giallo", vi sono le tappe de La dura spina (1963/. Sopra il museo della scienza (1967; e Gli uomini chiari (1974;. E c'è l'esperienza drammaturgica, con le commedie La gabbia, rappresentata nel '68 e, 77 concerto, inscenato dal Gruppo della Rocca per due stagioni consecutive, nel '79 e nell'Ottanta. «L'esperienza narrativa e quella teatrale sono completamente diverse, — -spiega lo scrittore — tanto è vero che. fino a quando non ho capito questo, ho scritto pagine di teatro che erano degli aborti. Il teatro è un fatto fondamentalmente sociale, anche per chi lo scrive. Ma è così difficile fare in Italia un teatro drammatico serio. Il modo più giusto per alzare uno specchio sulla nostra società è la farsa ». Sarebbe interessante sapere quali siano ; rapporti fra l'opera di Rosso e la sua esperienza individuale. «L'esperienza individuale può essere un grande nutrimento, a patto che perda i caratteri individuali". E' una chiave per capire la «fantasticheria dell'abisso» o la realtà senza realismo dello scrittore? Qual è il suo rapporto con la realtà? «Viviamo nella trasformazione. Il tempo, a starci attenti, è un grande modificatore. Una delle cose che modifica è il tempo stesso, le durate interne e gli oggetti di queste durate. Il mio rapporto con la realtà si esprime perciò nell'atteggiamento di sfuggire sempre agli schemi, dare il massimo rilievo a ciò che varia, che è variato, anche al caso". La realtà, per Rosso, è un continuo mutare di fatti, una maschera che ha in sé il positivo e il negativo, la durezza è la dolcezza A questo proposito racconta un episodio di quand'era ragazzo: «Nel marzo del '45. con quattro operai dei cantieri di Trieste, fuggii dal campo di lavoro di Zabice. ai confini con la Jugoslavia. Percorremmo a piedi settantacinque chilometri. Eravamo sema documenti e attraversavamo una tona controllata dai nazisti e dagli ustascia. Alcuni compagni che ci avevano preceduti nel tentativo di fuga erano stati presi e impiccati. Ebbene, quel viaggio fu estremamente, drammatico, ma si svolse in un'atmosfera ZFgrande allegria, cantavamo brani dei cori verdiani". Aggiunge, citando alcuni racconti de Gli uomini chiari, che è spinto spesso dal desiderio di tentare «la massima oggettività al punto da uscire dall'altra parte, da trasformare la materia in antimateria". Ma secondo quali princi-" pii e verso quali scopi? «Principii ne ho. non ho traguardi. Un'opera di narrativa non ha altro traguardo che se stessa. A chi mi chiedeva dove portasse questo o quel libro, quale fine si fosse riproposto o se avesse un messaggio, ho sempre risposto che il messaggio era l'opera in sé. Scrivere è una coazione, non un progetto. In certi casi la lingua preme più che in altri, perché la lingua non è mai un corpus finito. Ma c'è un altro stimolo, è lo stimolo delle cose che non esistono, di ciò che manca, soprattutto nella vita sociale, in fatto di felicità, di uguaglianza, di giustizia. E quindi scrivere è cercare di rispondere a queste mancarne ». Se i suoi romanzi sono il sogno di una mancanza, quale assenza esprime II segno del toro? «L'assenza di una giustizia perfetta e complementare a quella degli uomini. Anche questo romanzo è una' tappa della mia esplorazione, anche adesso sono partito completamente da zero, dimenticando tutto quello che ho fatto prima \ Osvaldo Guerrieri Renzo Rosso (Foto Salvatore Consolazione)

Persone citate: Foto Salvatore Consolazione, Gadda, Hegel, Kierkegaard, Renzo Rosso

Luoghi citati: Italia, Jugoslavia, Milano, Mondadori, Trieste